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Cop16, Legambiente: «Passo avanti su tutela biodiversità, ma nell’accordo troppe incertezze»
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Quello raggiunto alla Cop16 bis di Roma, per Legambiente, è un accordo «in chiaroscuro». L’associazione ambientalista giudica positivamente l’impegno a mobilitare almeno 200 miliardi di dollari all’anno entro il 2030 per tutelare la biodiversità e quello per ridurre i sussidi ambientalmente dannosi. Ma, aggiunge il Cigno verde, al vertice che ha concluso ieri i lavori si è persa un’importante occasione per rendere obbligatorio il Fondo di Cali e ora alle promesse devono fas seguito fatti e azioni concrete. Non solo. Il governo italiano, che rispetto questo importante appuntamento internazionale ha tenuto un profilo a dir poco basso, ora deve dare il suo contributo e impegnarsi a recuperare i ritardi rispetto agli obiettivi 2030 della Strategia europea per la biodiversità.
«Il negoziato di Roma – commenta Stefano Raimondi, responsabile biodiversità di Legambiente – è un accordo in chiaroscuro, con qualche significativo passo avanti ma ancora con molte incertezze evidenziate dal fatto che molte delle risoluzioni appaiono solo come buone intenzioni già evidenziate dalle precedenti Cop ma senza ulteriori fatti concreti.– Ben venga da un lato la conferma a mobilitare a favore della biodiversità almeno 200 miliardi di dollari all’anno entro il 2030, anche se le modalità con cui avverrà la gestione dei finanziamenti saranno determinate solo nel 2028. Anche il riferimento all’obiettivo di ridurre, invece, i sussidi alle attività dannose per la natura di almeno 500 miliardi di dollari all’anno entro il 2030 appare come una buona intenzione, peccato però che non sia stata definita una cornice di riferimento ad azioni concrete che vincolino gli stati a delle coperture chiare rispetto al taglio di questi sussidi. Riguardo invece la conferma del cosiddetto Cali Fund, previsto nella prima sessione della COP16 a Cali in Colombia lo scorso autunno e che ha l’obiettivo di mobilitare risorse finanziarie dalle aziende e dalle multinazionali che traggono profitto dallo sfruttamento dei dati genetici sequenziati digitalmente di specie animali e vegetali, si è persa un’importante occasione per renderlo obbligatorio. Questo fondo comune resta infatti uno strumento su base volontaria e occorrerà vedere quante aziende vorranno comunicare la propria volontà di contribuire a ciò. Stando a quanto emerso dalla COP16 di Roma questo fondo comune sarebbe reinvestito nella tutela della natura e in iniziative per la conservazione della biodiversità prevedendo che il 50% sia destinato alle popolazioni indigene e alle comunità locali».
Oltre a quello finanziario, l’altro punto nodale della discussione, ricorda Legambiente, è stato quello del monitoraggio per misurare il raggiungimento degli obiettivi delle misure attuate e da attuare per la biodiversità, e quindi misurare i progressi compiuti sia per ottimizzare gli investimenti e sia per avere risultati concreti. Dall’appuntamento di Roma – sottolinea Raimondi - è stato approvato anche un pacchetto di indicatori per misurare tutti i 23 obiettivi in cui si articola il Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework (Gbf). «Un passo incoraggiante e significativo», riconosce, aggiungendo un commento riguardante specificamente il nostro governo: «Riguardo il ruolo dell’Italia, che in questa Cop16 si è mostrata del tutto assente con il Mase, che ha totalmente sottovalutato l'importanza di questo appuntamento, chiediamo un serio impegno per rispettare quanto stabilito in questo vertice internazionale e un’accelerazione nel recuperare anche i ritardi rispetto agli obiettivi 2030 fissati nella Strategia Europea per la biodiversità, come abbiamo esplicitato anche nelle proposte indirizzate al Governo Meloni e riassunte nel nostro ultimo report Natura selvatica a rischio in Italia».
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