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Il misterioso alfabeto dei capodogli. Come decodificare un linguaggio alieno (VIDEO)

Un passo avanti verso la dimostrazione che altre specie hanno livelli di complessità comunicativa che non sono stati ancora identificati
 |  Natura e biodiversità

Il nuovo studio “Contextual and combinatorial structure in sperm whale vocalisations”, pubblicato su Nature Communications da un team di ricercatori del Computer science and artificial intelligence laboratory del Massachusetts institute of technology (Mit Csail) e della Cetacean translation initiative (Project Ceti) fa fare un passo avanti all’affascinante studio dei cetacei e della loro sofisticata comunicazione: secondo gli scienziati del Mit, «ora, grazie all’apprendimento automatico, siamo un po’ più vicini a comprendere questi giganti buoni».

Infatti, i ricercatori hanno utilizzato algoritmi per decodificare l'alfabeto fonetico del capodoglio, rivelando «strutture sofisticate nella comunicazione dei capodogli simili alla fonetica umana e ai sistemi di comunicazione in altre specie animali».

Lo studio dimostra che i codas dei capodogli, le brevi sequenze di clic che usano per comunicare, «variano in modo significativo nella struttura a seconda del contesto conversazionale, rivelando un sistema di comunicazione molto più intricato di quello che si era capito prima».

Il team di  Mit Csail e Ceti ha analizzato 9.000 codas  registrati tra le famiglie di capodogli dei Caraibi orientali osservate dal Dominica sperm whale project e che si sono rivelati un punto di partenza determinante per scoprire il complesso sistema di comunicazione di queste gigantesche creature marine. Oltre a questa miniera d’oro di dati, il team ha utilizzato anche un mix di algoritmi per il riconoscimento e la classificazione dei modelli, nonché apparecchiature di registrazione sul corpo, scoprendo che «le comunicazioni dei capodogli non erano infatti casuali o semplicistiche, ma piuttosto strutturate in modo complesso e combinatorio».

I ricercatori hanno identificato una sorta di “alfabeto fonetico del capodoglio”, nel quale i vari elementi che i ricercatori chiamano “ritmo”, “tempo”, “rubato” e “ornamento” interagiscono per formare una vasta gamma di codas distinguibili. «Ad esempio – spiegano al Mit – le balene modulano sistematicamente alcuni aspetti dei loro coda in base al contesto della conversazione, come variare gradualmente la durata dei richiami (rubato) o aggiungere ulteriori clic ornamentali». Ma, cosa ancora più notevole, hanno scoperto che «gli elementi costitutivi di base di questi codas potevano essere uniti in modo combinatorio, consentendo alle balene di costruire un vasto repertorio di vocalizzazioni distinte».

Gli esperimenti sono stati condotti utilizzando tag acustici di bio-registrazione (in particolare “D-tag”) applicati ai capodogli del clan dei Caraibi orientali. Questi tag hanno registrato gli intricati dettagli degli schemi vocali dei capodogli. Sviluppando nuove tecniche di visualizzazione e analisi dei dati, i ricercatori del Csail hanno scoperto che «i singoli capodogli potevano emettere vari modelli di codas in lunghi scambi, non solo ripetizioni dello stesso codas. Questi modelli sono sfumati e includono finissime variazioni che anche gli altri cetacei producono e riconoscono».

Una delle autrici principali dello studio, Daniela Rus, direttrice del Csail e del Project Ceti e professoressa di ingegneria elettrica e informatica al Mit, sottolinea che «ci stiamo avventurando nell'ignoto, per decifrare i misteri della comunicazione dei capodogli senza alcun dato di verità preesistente. L’utilizzo dell’apprendimento automatico è importante per identificare le caratteristiche delle loro comunicazioni e prevedere cosa diranno dopo. I nostri risultati indicano la presenza di contenuti informativi strutturati e mettono in dubbio anche la convinzione prevalente tra molti linguisti secondo cui la comunicazione complessa è unica per gli esseri umani. Questo è un passo avanti verso la dimostrazione che altre specie hanno livelli di complessità comunicativa che non sono stati ancora identificati, profondamente legati al comportamento. I nostri prossimi passi mirano a decifrare il significato dietro queste comunicazioni ed esplorare le correlazioni a livello sociale tra ciò che viene detto e le azioni del gruppo».

I capodogli hanno il cervello più grande tra tutti gli animali conosciuti  e comportamenti sociali molto complessi tra famiglie e gruppi culturali, che richiedono una forte comunicazione per coordinarli, soprattutto in ambienti estremi come quelli in acque profonde dove cacciano.

Le balene devono molto a Roger Payne, ex consulente del progetto Ceti, biologo delle balene, ambientalista e MacArthur Fellow, che fu una figura importante nel chiarire le loro performance musicali. Nel noto studio “Songs of Humpback Whales” pubblicato su Science nel 1971, Payne ha documentato come le balene possono cantare. Il suo lavoro ha poi dato il via al movimento “Save the whales” che si è rivelato una delle iniziative ambientaliste di maggior successo.

Uno degli autori del nuovo studio, David Gruber, capo e fondatore del progetto Ceti e professore illustre di biologia alla City university di New York, rende omaggio a questo grande scienziato scomparso nel 2023: «La ricerca di Roger evidenzia l’impatto che la scienza può avere sulla società. La sua scoperta che le balene cantano portò alla legge sulla protezione dei mammiferi marini e contribuì a salvare diverse specie di balene dall'estinzione. Questa ricerca interdisciplinare ci porta ora un passo avanti verso la conoscenza di cosa dicono i capodogli».

Ora gli scienziati del Ceti  puntano a «discernere se elementi come ritmo, tempo, ornamenti e rubato portino specifici intenti comunicativi, fornendo potenzialmente intuizioni sulla “dualità del modello” – un fenomeno linguistico in cui elementi semplici si combinano per trasmettere significati complessi precedentemente ritenuti unici per linguaggio umano».

Il principale autore dello studio, Pratyusha Sharma, del Mit Csail e del Ceti, fa notare che «uno degli aspetti intriganti della nostra ricerca è che è parallela allo scenario ipotetico del contatto con specie aliene. Si tratta di comprendere una specie con un ambiente e protocolli di comunicazione completamente diversi, dove le loro interazioni sono nettamente diverse dalle norme umane. Stiamo esplorando come interpretare le unità di significato di base nella loro comunicazione. Non si tratta solo di insegnare agli animali un sottoinsieme del linguaggio umano, ma di decodificare un sistema di comunicazione evoluto naturalmente entro i loro vincoli biologici e ambientali unici. In sostanza, il nostro lavoro potrebbe gettare le basi per decifrare come una “civiltà aliena” potrebbe comunicare, fornendo spunti per creare algoritmi o sistemi per comprendere forme di comunicazione del tutto sconosciute».

Robert Seyfarth, professore emerito di psicologia dell’università della Pennsylvania, che non è stato coinvolto nello studio, commenta su Mit News: «Molte specie animali hanno repertori di diversi segnali distinti, ma stiamo solo iniziando a scoprire fino a che punto combinano questi segnali per creare nuovi messaggi. Gli scienziati sono particolarmente interessati a sapere se le combinazioni di segnali variano a seconda del contesto sociale o ecologico in cui vengono forniti e in che misura le combinazioni di segnali seguono “regole” riconoscibili dagli ascoltatori. Il problema è particolarmente impegnativo nel caso dei mammiferi marini, perché gli scienziati solitamente non riescono a vedere i loro soggetti o a identificare in completo dettaglio il contesto della comunicazione. Ciononostante, questo articolo offre dettagli nuovi e allettanti sulle combinazioni di richiami e sulle regole che ne sono alla base nei capodogli».

Redazione Greenreport

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