Scopamare
Angiolo Murzi, Scopamare, era nato nel 1903 a Rio Marina, dove un uomo di un altro porto di marinai di un’altra Marina, quella di Marciana, Antonio Murzi, un fornaio socialista sansimoniano, aveva sposato una fornaia piaggese e ci aveva fatto 4 figli: Angiolino, Guido, Luigi e Lidia.
Lidia morì di insolazione, Guido e Luigi se li portò via una qualche misteriosa malattia di quelle che allora sterminavano bimbi e mamme e la moglie di Antonio probabilmente morì di parto.
Antonio restò solo con quel bimbetto, chiuse il forno, buttò in mare le chiavi di una vita che sembrava maledetta, prese Angiolino per la mano e abbandonò quella terra butterata di miniere e di pontili rugginosi con il suo unico e taciturno figlio sopravvissuto.
Traversarono l’Elba come in un sogno, con qualche fagotto da caricare su carri e somari e dal Volterraio spuntò Portoferraio con le sue nuove acciaierie che sputavano nerofumo e scintille sulle vecchie saline. Ma Antonio non era uomo da fabbrica e il suo era un viaggio di ritorno per portare Angiolino dove lui era nato e da dove quel bimbo non se ne sarebbe mai più andato.
Angiolino lo seppe subito non appena vide quel pugno di case tra le vigne e il mare, sotto due paesi in collina e un monte appuntito e brullo, brucato dalle capre, e poi il Cotone appollaiato sugli scogli gialli, e quella torre rotonda con attaccato un mozzicone di porto ancora in costruzione e quella costa piena di nascondigli e scogli e lontano, sparita ormai dietro la punta del Cavo, Rio Marina dove non sarebbe mai più tornato.
Antonio nel 1909 sposò in seconde nozze la cotonese Elettra Provenzali e portò come dote Angiolino e un quintale di farina che servì per aprire un altro forno e farci pane in Piazza davanti alla chiesa di Santa Chiara. Quel forno che una stirpe di fornai ha tenuto aperto per 118 anni e che ha visto passare due guerre mondiali che hanno riempito la Marina di lapidi e stampelle, la strage della febbre spagnola, la fame, la pace, e il benessere del dopoguerra e il turismo. Il forno di Elettra, Ida e Nilo che Giandomenico tiene ancora aperto.
Angiolino allora aveva 6 anni e lavorava già al forno e, anche se, e non era da tutti, andò a scuola e imparò a scrivere e a legge diventando un famelico divoratore di giornali quotidiani.
Da Antonio ed Elettra nacquero 12 figlioli e figliole, 4 morirono da piccoli e 8 sopravvissero, 9 con Angiolino. Tra loro, nessuno lo sapeva, c’era anche un poeta giramondo nato quando Angiolino aveva già 27 anni: Manrico Murzi.
Ormai Angiolo era già diventato Scopamare o Scopino, un uomo piccolo ma forte, col naso come un becco di tartaruga marina, piccoli e profondi occhi celesti, taciturno, pescatore formidabile, con pochi amici che come lui facevano ogni giorno l’amore con il mare e ne conoscevano le correnti e i brividi, le onde e l’umore, il tempaccio e la bonaccia e le creature che ci vivono sopra e sotto l’acqua e i pesci rondine che scambiano il mare per il cielo. Scopamare era amico di Topina, Ciotolone e Pomata, con i quali scambiava rare battute, risate, silenzi e bicchieri di vino.
Non aveva tempo per le fidanzate e le fidanzate non avevano tempo per un uomo che risolveva le sue urgenze con qualche puttana di paese o di passaggio, che si scuoteva di dosso la farina notturna e, fatti pochi passi fino alla spiaggia, varava il suo guzzo bianco col sottomarino verde e, vogando alla rovescia, con la poppa verso il mare e la prua verso terra, ritto, con le gambe divaricate a cavallo del banco di mezzo, solcava il mare, metodico e instancabile. Scopino ha passato gran parte della sua vita in mare, da solo, senza aver mai imparato a nuotare. Il suo destino era un lèggero di sughero avvolto in un pezzo di sacco e ben piantato sul fondo della barca. Un destino che non l’ha mai tradito.
Scopamare era un pescatore formidabile che custodiva le sue mire marine e i suoi segreti. Pescatore di lenze, non di reti, solitario e così geloso della sua barca bianca come una sposa da farci salire raramente qualcuno, salvo il suo fratello preferito, Vito, perché anche lui stregato dal mare. E a bordo del guzzo bianco insieme a Scopino c’era proprio Vito quando Angiolino si accorse che in mare c’era qualcosa di strano, come se tutte le creature che lui sentiva, anche se crediamo che siano mute, fossero ammutolite di spavento. E mentre salpava una lenza con attaccato un pesce vibrante vide la tacca di fondo, lo squalo bianco, un’ombra affamata più grande del guzzo. Lui e Vito si sdraiarono terrorizzati sui paglioli, respirando piano perché il pesciaccio non li sentisse. Sdraiati lì sotto il sole, immobili, aspettando che la tacca di fondo azzannasse la barca, la affondasse e trascinasse Scopino annegato in fondo al mare. Ma lo squalo bianco dopo qualche tempo sparì in cerca di qualche preda più facile nel suo eterno pellegrinaggio nel mare. E quel giorno Scopamare ritornò a terra con quasi niente e con tutto quel che aveva: la vita.
L’unico nipote che portò mai in mare, insegnandogli a innescare i nattelli con i pezzi di pinzetta avanzata al forno, fu Riccardo al quale dette un unico e definitivo avvertimento appena salì sul guzzo: «Da qui in avanti si sta zitti». E quando aveva pescato quel che serviva per la numerosa famiglia si diceva tra sé e sé: «Ora basta, andamo a casa», dove placava l’arsura con vino abbondante che gli piaceva parecchio, almeno quanto il silenzio e il mare.
Scopino sapeva che pesce o creatura marina aveva abboccato da come si muoveva la lenza nelle sue dita, sapeva i misteri del mare, ma un giorno, mentre era a traina fuori l’Acqua della Madonna. non capì proprio cosa aveva abboccato, la lenza parlava una lingua che non conosceva. Non lo sapeva almeno fino a che non vide la pinna e il dorso di un ferone, un tursiope, che lo trascinò per miglia e miglia in mare aperto, al largo dell’Enfola. Poi il grosso delfino col naso a bottiglia si slamò, o la fildiseta si spezzò, e la bestia e l’uomo riconquistarono la loro libertà e Scopino ritornò alla Marina cavalcando a lungo la sua barca.
Scopino non si è mai messo le scarpe, estate e inverno, fino a 67 anni e quando nel 1970 Sandie Shaw si presentò sul palco del Festival di San Remo a piedi scalzi come lui, facendo enorme scalpore in un’Italia ancora in bianco e nero, tutta la Marina cominciò a chiamarlo Sandie Show. Ma presto la cantante inglese passò di moda e Angiolino tornò ad essere Scopamare.
Viveva in Vicinato, in una casa affollata di fratelli e sorelle che poi se ne andarono per il mondo o per sposarsi, e dormiva in una stanza grande come il suo guzzo, con un oblò da nave per finestra dalla quale vedeva il campanile della chiesa. Una stanza che odorava di farina come i suoi pochi vestiti che custodiva in un baule da marinaio: due o tre paia di pantaloni di anchina che teneva su con lo spago o una fusciacca, poche maglie per l’estate e l’inverno metteva in più, sopra una maglia di lana a maniche corte, un maglione blu da marinaio e un berretto con la visiera, la topa, per tener calda la testa.
Scopamare in vita sua non ha mai preso una malattia o un raffreddore, non ha mai fumato una sigaretta, non è mai uscito dall’Isola d’Elba se non una volta per andare a Piombino per prendere un peschereccio del Pavoni, un suo parente.
Eppure Riccardo si ricorda come in un sogno – e «Te lo sei sognato» gli diceva la su’ mamma e sorella di angiolino Ida – che Scopino gli aveva raccontato che era stato addirittura all’estero: a Bastia, in Corsica.
La storia è questa: Luigi Pavoni, uno dei pochi che la camicia nera non se l’era levata nemmeno dopo la caduta del fascismo, venne arrestato e deportato a Bastia. I soldati delle truppe di occupazione compravano il pane al Forno di Elettra Murzi che chiese al capitano francese la grazia per il suo parente fascista ma abbastanza innocuo e che aveva già preso abbastanza legnate e paura. La grazia fu concessa ma il Pavoni bisognava andarlo a prendere e Scopino che non sapeva nuotare partì a cavallo alla rovescia del suo guzzo bianco di 4 metri e 15 centimetri, arrivò a Bastia, imbarcò il parente fascista e lo riportò a remi alla Marina. Lui, figlio di un’antifascista socialista che non aveva mai nascosto il suo disprezzo per il duce e le camice nere marinesi.
Scopamare ha lavorato al panificio in Piazza di Sopra fino a 70 anni. Quando è morta Elettra ha abbandonato la sua cuccia da marinaio infarinata in via Garibaldi ed è andato a stare con la sorella Ida e Il cognato Nilo, a 67 anni, infilandosi le prime scarpe della sua vita.
Gli ultimi anni li ha passati leggendo giornali quotidiani di ogni tipo con la sua vista da gabbiano che non lo ha mai abbandonato e stando seduto di fronte al mare che non poteva più cavalcare, su una delle panchine che guardano alla spiaggia dove varava sui parati insevati il suo guzzo bianco come una sposa.
E se ci pensate Scopino se ne stava silenzioso e seduto sulle costole di qualcosa che somiglia a una barca rovesciata senza fasciame, una mezza barca senza chiglia da dove ricordare pesci, totani, delfini, tacche di fondo, bonacce e tempeste e silenzi che hanno riempito la vita di rematore taciturno che parlava con il mare.
Angiolo Murzi è morto a 93 anni, da uomo mite, senza dar fastidio e Dio lo avrà certamente perdonato per essere stato un fantasioso bestemmiatore seriale, perché sicuramente lui e Scopino in qualche giorno sconosciuto di patana, a bordo del guzzo bianco, al largo dove non li vedeva nessuno, o seduti accanto su una panchina in faccia al vento di tramontana quando gli altri si rifugiano a casa, avranno parlato della bellezza del mare e del senso della vita che passa per tutti meno che per Dio, e brindato con il vino buono del prete.
Umberto Mazzantini
Le cose che ho scritto me le ha raccontate Riccardo Mazzei, nipote di Scopino, il resto sono ricordi sfuggenti