
I pigmei del Camerun torturati e uccisi per istituire Parchi nazionali [FOTOGALLERY]

Il direttore di Survival international, Stephen Corry, denuncia che «in Camerun "Ecoguards” e soldati stanno perseguitando, torturando e talvolta anche uccidendo i "pigmei" Baka che vivono nella foresta perché cacciano nei parchi che sono stati istituiti sulla loro terra. Un funzionario del governo ha ammesso che viene utilizzata la tortura per ottenere informazioni sul bracconaggio».
Survival rilancia così la polemica con diversi governi e associazioni ambientaliste internazionali accusati di voler espellere dalle loro terre ancestrali popoli autoctoni che con la loro presenza ed usi tradizionali disturberebbero l’integrità ecologica di aree che si vorrebbero destinare alla protezione integrale della natura, ma dove si sviluppa l’ecoturismo e spesso anche la caccia a pagamento per grossi animali rari.
Per questo Survival sta lanciando una nuova campagna urgente chiamata “Parks Need People”, per porre fine alle violenze contro i pigmei e Corry sottolinea: «Molti ambientalisti ritengono che le aree "protette" debbano essere mantenute “incontaminate” e prive di ogni attività umana, tranne il turismo. Non siamo d'accordo: i dati di fatto dimostrano che i popoli tribali sono i migliori ambientalisti. Non è un caso che il 70% delle “ecoregioni” più ricche del mondo sono abitate da comunità indigene. Eppure, nonostante questa correlazione, i popoli tribali vengono ancora sfrattati e tenuti fuori dalle loro terre, per “proteggere” queste cosiddette aree "naturali" e aprirle al turismo».
Quello che è certo in questa delicatissima polemica che in diverse parti del mondo contrappone i diritti dei popoli indigeni alla difesa dell’ambiente (fino ad ora realizzata dagli stessi popoli spesso con un rapporto simbiotico con la natura) è che in Camerun i parchi nazionali sono stati istituiti sulle terre ancestrali dei Baka senza il loro consenso. Secondo Survival i pigmei Baka, che cacciavano e raccoglievano molti prodotti della foresta, «ora sono criminalizzata per la caccia per il cibo , la raccolta di medicinali della foresta o di materiali per costruire le loro case, anche per la realizzazione delle tombe dei loro antenati».
Un Baka, Mbaya Gaston, ha detto a Survival: «Separati dalle loro terre, i mondi popoli tribali cadono a pezzi. Ora ci stiamo ammalando a causa del cambiamento nella nostra dieta. Alla nostra pelle non piace il sole e la vita nel villaggio. Nella foresta siamo sani e mettiamo su peso. Ora, nessuno è forte, tutti ci guardano male. Siamo costretti a bere per dimenticare i nostri problemi».
Per Corry «la situazione sta diventando sempre peggiore per i popoli indigeni di tutto il mondo mentre i governi usano la “conservazione” come giustificazione per i land grabs. Escludendo popoli tribali dalle aree protette non solo si violano i loro diritti, ma è anche controproducente quando si tratta di proteggere l'ambiente».
Survival ha lanciato la campagna “Parks Need People” che sta raccogliendo fondi in difesa dei popoli autoctoni e per chiedere alle grandi organizzazioni ambientaliste internazionali come Wwf e Conservation International di «Rispettare e proteggere i diritti alla terra dei popoli tribali e di garantire che i significativi fondi che vanno alla conservazione non contribuiscano alla sofferenza e alla violenza».
Survival difende quelli che chiama “Conservation refugees” e spiega che <In tutto il mondo milioni di persone - in maggioranza indigeni - sono state sfrattate dalle loro case in nome della conservazione. Solo in India centinaia di migliaia di persone sono state sfrattate dai parchi ed oltre tre milioni di vivere all'interno di parchi, sotto la costante minaccia di essere espulsi».
E non ci sono solo i Pigmei o i masai dell’Africa, ma anche i Wanniyaala-Aletto dello Sri Lanka o i popoli tribali dell’America meridionale. Corry conclude: «Per favore aiutateci. Siamo l'unica organizzazione che difenda i popoli tribali di tutto il mondo. E noi non ci arrenderemo fino a quando tutti noi non avremo un mondo in cui i popoli tribali vedano rispettati e tutelati i loro diritti umani. Nessun contributo è troppo piccolo».
