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Le proposte della Federazione europea per la gestione dei rifiuti, in vista delle elezioni

Dalla Fead un manifesto per portare il riciclo al centro del Green deal europeo

Mensi: «Fino ad oggi i materiali riciclati non hanno avuto lo stesso supporto dell’energia rinnovabile, sia in termini politici che economici»
 |  Interviste

Seppur troppo lentamente, l’Europa continua ad avanzare in un pilastro della transizione ecologica qual è la produzione di energia da fonti rinnovabili, che ad oggi copre quasi un quarto della domanda europea.

Al confronto un altro pilastro altrettanto importante, quello dell’economia circolare, continua ad arrancare: il tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo copre appena l’11,5% dei flussi di materia del Vecchio continente.

Eppure non c’è lotta efficace alla crisi climatica senza economia circolare, dato che la movimentazione e l’utilizzo dei materiali contribuiscono per il 70% alle emissioni globali di gas serra.

Per contribuire al necessario cambio di passo, in vista delle elezioni Ue la Federazione europea per la gestione dei rifiuti (Fead) ha elaborato un ambizioso manifesto, che chiede sostenere la competitività oltre che la sostenibilità dell’industria europea puntando sulla circolarità dei materiali.

Ne abbiamo parlato con Claudia Mensi, la laboratory manager di A2A Ambiente e rappresentante di Assoambiente che dal 2023 guida la Fead, rappresentando così ben 3.000 aziende presenti in 18 Paesi europei, con 320mila addetti che gestiscono circa il 60% del mercato dei rifiuti urbani e oltre il 75% dei rifiuti industriali e commerciali in Europa.

Intervista

La legge europea sulle materie prime critiche è appena entrata in vigore, ma l’Ue è ancora sprovvista di uno strumento legislativo che definisca obiettivi di riciclo per tutti i rifiuti che generiamo, e non solo per singole frazioni come urbani o Raee. Cosa propone il manifesto Fead per colmare la lacuna?

«Il manifesto di Fead è il frutto di un lungo lavoro iniziato già nel 2023, dove assieme ad alcuni esperti selezionati dal board, abbiamo definito la nostra visione al 2030. Ci siamo resi conto che è necessario cambiare rotta nell’utilizzo delle materie prime, spostando l’uso complessivo dei materiali verso i riciclati.

Per raggiungere questo obiettivo è necessario stabilire a livello europeo 2 target obbligatori: il primo sul tasso di utilizzo dei materiali riciclati a partire dal 2030, e il secondo sul tasso di riciclo. Per noi è importante che tutti i rifiuti generati abbiano un obiettivo ambizioso, non solo quelli urbani, ma anche quelli industriali.

Pertanto la nostra proposta è di avere un atto legislativo che si occupi di utilizzo dei materiali circolari (Circular material use act), dove per tutte le tipologie di rifiuti si stabilisca un target di riciclo al 75% per il 2035».

I più recenti dati disponibili (2022) mostrano che l’Ue soddisfa il 23% della domanda di energia grazie alle rinnovabili, mentre il tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo (Cmu) si ferma all’11,5%. Perché la materia rinnovabile finora non ha ottenuto lo stesso sostegno dell’energia rinnovabile?

«Purtroppo fino ad oggi, i materiali riciclati non hanno avuto lo stesso supporto dell’energia rinnovabile, sia in termini politici che economici. Inoltre, non si é mai preso in considerazione l’effetto beniefico che l’utilizzo di materia rinnovabile ha in termini di emissioni in atmosfera.

Ad esempio, nel caso della plastica, il centro ricerche della Commissione europea (Jrc) ha mostrato una riduzione di gas serra in misura compresa tra 1,1 e 3,6 tonnellate di CO2 equivalente per ogni tonnellata di plastica riciclata. Un volume pari al 4% dell’impegno di riduzione delle emissioni dell’Italia.

Tutto ciò non viene riconosciuto alle aziende del settore del riciclo e nessun incentivo economico è attualmente previsto, soprattutto per compensare i casi in cui la materia prima vergine è molto piú economica rispetto al materiale riciclato.

È importante che le istituzioni capiscano anche il valore ambientale del materiale riciclato, oltre a quello economico, in grado di creare posti di lavoro duraturi e a livello locale».

L’Italia non è da meno del resto d’Europa, considerando che gli incentivi per il riciclo sono praticamente assenti: anche il recente credito d’imposta per le imprese che acquistano prodotti riciclati si ferma a circa 10 mln di euro. Quali e quanti incentivi servirebbero al riciclo?

«Servono misure stabili e a lungo termine per sostenere il settore del riciclo. Non si può pensare che decreti una-tantum e con importi residui possano risolvere il problema.

Innanzi tutto, riteniamo che a livello europeo sia importante stabilire che la maggior parte dei prodotti messi sul mercato abbia un contenuto di materiale riciclato.

Inoltre, è fondamentale scoraggiare l’utilizzo di materie prime vergini, con misure economiche che sarebbero potute essere adotatte giá da diversi anni. Mi riferisco in particolare alla plastic tax che, ancora una volta, é stata rinviata al 2026. L’obiettivo di questa norma è di disincentivare fiscalmente la produzione e il consumo di plastica monouso vergine, a favore di altri prodotti che, ad esempio, siano realizzati in materiale riciclato. Questa misura sarebbe sicuramente utile per incoraggiare tutti gli Stati membri a ridurre la produzione di rifiuti plastici e soprattutto a stimolare una vera transizione verso un’economia circolare nel settore della plastica».

Il manifesto Fead si propone di portare il tasso del Cmu europeo al 25% entro il 2030 dall’attuale 11,5%, ma si tratta dell’indicatore migliore per misurare davvero la circolarità di un’economia? Nel caso italiano, ad esempio, senza ridurre il consumo di combustibili fossili potrebbe salire solo fino a massimo del 20,5%.

«Il cosiddetto Circular material use rate (Cmur) è un indicatore molto utile che potrebbe avere effetti positivi non solo sull’economia circolare, ma sui consumi a livello europeo. La quantità di nuovi materiali utilizzati nell'economia è circa otto volte superiore alla quantità di materiali riciclati utilizzati; pertanto, il Cmur è influenzato più dall'andamento del consumo di materiali che dall'andamento del riciclo.

Inoltre, l’Agenzia europea per l’ambiente, ha fatto un’analisi accurata che ci possa permettere di capire i modi per poter effettivamente raggiungere alti tassi di utilizzo dei materiali riciclati. E la risposta è che bisogna combinare diverse strategie che prevedono non solo l’aumento del riciclaggio dei rifiuti, ma anche la diminuzione dei nuovi materiali immessi nell’economia e la riduzione dei combustibili fossili.

Infine, sarebbe utile tenere in considerazione anche un indicatore di sostenibilità, che possa valutare l’impatto e l’impronta in termini di emissioni dei prodotti messi sul mercato. Questo ci permetterebbe di controllare la riduzione della CO2 in Europa e di raggiungere l’ambizioso obiettivo di diventare neutrali dal punto di vista climatico nel 2050».

Nel nostro Paese la certezza dell’informazione sulla filiera dei rifiuti speciali venne definita «un’utopia» dalla presidenza Ispra, ormai un decennio fa. Considerando che ancora oggi non sappiamo neanche qual è l’effettivo riciclo della maggiore frazioni di rifiuti generata ogni anno – quelli da costruzione e demolizione –, cos’è possibile fare per migliorare?

«La raccolta dati e la tracciabilità dei rifiuti andrebbero migliorati in tutti i Paesi europei, cercando però di ridurre il carico burocratico per gli operatori del settore. L’Italia ha un sistema di raccolta dati molto ben sviluppato e che permette di avere una buona panoramica della situazione attuale.

Ovviamente però dobbiamo definire un linguaggio comune che ci permetta di avere dati e informazioni confrontabili. L’esempio dei rifiuti da costruzione e demolizione è importante, perché il target previsto dalla Direttiva rifiuti prevede non solo il riciclo, ma anche altre forme di recupero come il rinterro. Per questo andrebbe stimolato il reimpiego nell’economia di questi materiali e un sistema di rendicontazione, che permetterebbe di avere l’immagine completa dell’economia circolare.

Ancora una volta torna utile il Cmur per monitorare questa transizione e per farla avanzare. Bisogna mettersi nell’ottica di creare una domanda costante di materiali riciclati, e il settore pubblico, con la realizzazione delle opere, ha già oggi un grande potere per guidare le scelte del mercato».

Anche l’economia circolare presenta i suoi scarti, i cosiddetti “rifiuti da rifiuti”, che sempre più spesso vengono destinati all’export per mancanza di impianti di prossimità. Quale ruolo dovrebbe avere l’informazione ambientale per favorire l’accettazione sociale degli impianti di gestione lungo tutta la gerarchia europea?

«A differenza di qualsiasi altro settore dell'economia, la gestione dei rifiuti è l'immagine speculare dell'intera economia: opera in tutte le categorie di prodotti, da ciò che viene consumato e scartato nelle case, ai rifiuti industriali, commerciali, da costruzione e demolizione, nonché ai rifiuti pericolosi.

Per avere successo, la transizione verso l'economia circolare dovrà andare di pari passo con l'accettazione da parte dell'opinione pubblica e dell'industria della gestione dei rifiuti come parte intrinseca di una società ben funzionante e come pilastro fondamentale di un approvvigionamento di materie prime più indipendente per l'economia dell'Ue; il nostro ruolo è quello di dimostrare il suo valore locale, economico e ambientale.

A tal fine sarà necessario migliorare la comunicazione, sensibilizzando l'opinione pubblica sul valore dei rifiuti e sull'importanza di sostenere le infrastrutture di gestione dei rifiuti».

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.