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Intervista al presidente di Fondazione Symbola Ermete Realacci

«Nell’economia circolare l’Italia è una superpotenza. Peccato che la politica non se ne accorga»

«Brutta campagna elettorale, a destra come a sinistra. Il governo sul nucleare sbaglia totalmente e lo stop in Sardegna a nuove rinnovabili favorisce chi vuole il carbone»
 |  Interviste

Le pellicole fotografiche Kodak e lo skyline di San Gimignano, le marmitte catalitiche e i cenciaioli di Prato. E poi citazioni dell’antropologa statunitense Margaret Mead, passaggi a memoria dell’enciclica Laudato Si’, e soprattutto cifre, percentuali, dati e grafici a profusione che alla fine dell’excursus storico-geografico-scientifico ti dimentichi pure quale fosse la domanda iniziale, o magari capisci che poi non era tanto quello il punto, perché alla fin fine il mondo va avanti lanciato lungo ben altre traiettorie, rispetto a quelle che intravvediamo da queste parti.

Chiedi a Ermete Realacci cosa ne pensa di una campagna elettorale in cui ambiente e crisi climatica sono catalogate sotto la voce “non pervenute” e subito lo scenario si ribalta, il particolare cede il posto al generale, il piccolo diventa grande e il grande piccolo, il passato un monito per il futuro e il presente una sfida che altri stanno giocando al posto nostro. Presidente onorario di Legambiente, ex parlamentare e tra i fondatori del Kyoto Club, Realacci è oggi presidente di Symbola, fondazione che si occupa di green economy, innovazione, sviluppo e di quell’“economia della qualità” che caratterizza molte imprese italiane.

Intervista

Imprese, a sentire certe forze politiche oggi al governo, danneggiate dalle norme europee a favore di transizione energetica, sostenibilità, adeguamento ai cambiamenti climatici…

«Guardi, abbiamo appena presentato a Brescia un rapporto realizzato da Symbola insieme a Ipsos e alla Camera di Commercio della città. Sa qual è il titolo? “Sostenibilità è qualità”. Certi partiti possono anche continuare con le fake news, possono anche insistere nel dire che l’auto elettrica danneggia le fabbriche automobilistiche italiane, che le case green costerebbero uno sproposito quando in realtà farebbero risparmiare cinque volte quel che i proprietari di appartamenti risparmiano con la cancellazione dell’Imu sulla prima casa. Ma la verità sa qual è? Che i cittadini non sono sprovveduti, e sanno farsi i conti in tasca, né ragionano solo secondo matrici proposte da istituzioni o mondi scientifici, seguendo cioè obiettivi che sono utilissimi per confrontare le politiche dei governi ma che non fanno presa sulle persone».

E allora cos’è che fa presa riguardo le tematiche ambientali, secondo il sondaggio che avete condotto?

«Intanto, da quest’analisi emerge che nei cittadini la percezione della sostenibilità è in crescita ed è molto legata al tema della qualità».

Non al contrasto della crisi climatica o alla necessità di non lasciare in eredità alle prossime generazioni un pianeta peggiore?

«Sono tre i fattori che orientano l’attenzione delle persone sul tema della sostenibilità. Il primo è di carattere etico: è solido, ma riguarda soltanto il 7-8% della popolazione. Il secondo fattore che richiama l’attenzione su tali questioni è la preoccupazione: in questo caso parliamo di una percentuale più ampia, intorno al 22%, ma in queste persone la paura per i cambiamenti climatici - gli eventi meteo estremi, la siccità e le inondazioni, le migrazioni - compete con altri tipi di paure come le guerre. Il terzo fattore, quello di gran lunga maggioritario, perché interessa tutta la restante percentuale di intervistati, il 70%, riguarda il fatto che il cittadino collega la sostenibilità alla qualità, tende cioè a pensare che un prodottosostenibile è migliore anche per lui e che un’impresa sostenibile è più degna di fiducia».

Non è sempre stato così: cosa è cambiato secondo lei in quest’ultimo periodo?

«Si è fatto via via più evidente che la narrazione secondo cui la sostenibilità ela transizione verde danneggiano l’economia è falsa, perché anzi sempre più dati stanno dimostrando che l’economia circolare e l’attenzione alla sostenibilità costituiscono importanti fattori di competitività. E questo vale soprattutto per l’Italia».

Perché?

«Perché nell’economia circolare, anche se pochi lo sanno, l’Italia è una superpotenza in Europa. Solo per citare un dato: recuperiamo circa l’83% dei rifiuti prodotti. Siamo molto oltre la media europea, che si ferma al 54%, e siamo ben oltre anche la Germania, che si attesta su circa il 70%. E perché l’Italia è forte quando fa l’Italia e punta su coesione, innovazione, bellezza».

Merito delle politiche adottate nel nostro Paese?

«Non abbiamo introdotto normative particolari. Piuttosto, questo ottimo risultato dipende dalla tipologia propria della nostra produzione. Privi di materie prime, abbiamo dovuto utilizzare una risorsa che non inquina e totalmente rinnovabile: l’intelligenza umana. Pensiamo, solo per fare un esempio, ai cenciaioli di Prato, cioè quei commercianti che con particolari lavorazioni estraevano dagli stracci acquistati a poco prezzo dei tessuti rigenerati e buoni per le future produzioni. O pensiamo alle industrie metallurgiche del bresciano. Per questo oggi, anche se c’è ancora molto da fare, siamo tra i più efficienti nell’economia circolare. E oggi come emissioni pro capite di CO2 siamosotto alla Cina. Perché produciamo ricchezza usando meno energia e meno materie prime. E perché abbiamo capito che le imprese che investono sulla transizione vanno meglio: producono di più, esportano di più, creano più posti di lavoro. Come dimostra da molti anni il Rapporto GreenItaly prodotto da Symbola e Unioncamere con tanti partner e intelligenze».

Quando dice “abbiamo” a chi si riferisce? Perché a guardare esternazioni e comportamenti di chi guida i processi politici non sembra questa l’impostazione.

«No, parlo di aziende italiane e di ampi settori dell’economia e della società che hanno capito che essere buoni conviene».

E delle forze politiche, cosa dice?

«Che dovrebbero smetterla di trattare questa materia, da destra e da sinistra, come stanno facendo da ormai troppo tempo senza capire che stanno sbagliando approccio».

Cosa intende dire?

«A destra dovrebbero smettere di trattare la sostenibilità come una pura costrizione. E a sinistra dovrebbero smettere di trattarla come un dovere necessario. È sì un processo che bisogna portare avanti, ma non solo perché è giusto, ma anche perché se non ci si muove in quella direzione si danneggia l’economia. E la lezione ormai tutti dovrebbero averla imparata, a destra come a sinistra».

Si riferisce alle conseguenze già in atto dei cambiamenti climatici? Alle ingenti spese per far fronte agli eventi meteo estremi?

«Ci sono quegli eventi drammatici, certamente, ma guidare il cambiamento climatico aiuta anche l’economia. Mentre restare indietro la danneggia. Penso a quanto successo per esempio con le marmitte catalitiche».

Le marmitte catalitiche?

«Quando vennero immesse sul mercato, in Italia la Fiat e anche i sindacati dicevano che l’auto da noi era particolare, diversa, che producevamo modelli più piccoli rispetto agli altri paesi, meno inquinanti e via dicendo e che non interessava quella nuova tecnologia. Poi è arrivato l’obbligo di montarle e abbiamo dovuto comprarle dai tedeschi: avevamo perso troppo tempo.

Ecco, oggi si rischia lo stesso con le auto elettriche. Siamo l’unico Paese in Europa che ha continuato a dare incentivi ai motori a combustione interna. E questo mentre in Cina, il maggiore mercato automobilistico del mondo, ormai il 44% delle autovetture vendute ad aprile sono o ibride o elettriche.

Questo dovrebbero capire le forze politiche: che chi sull’innovazione arriva prima è più competitivo, che affrontare la crisi ambientale è necessario ma è anche un’opportunità di sviluppo e rilancio. Come dice il Manifesto di Assisi promosso da Fondazione Symbola e Sacro Convento, affrontare con coraggio la crisi climatica non è solo necessario ma rappresenta una grande occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo e per questo più capaci di futuro».

Parla delle politiche pubbliche, ma anche guardando al dibattito pubblico non siamo messi benissimo. Che ne pensa della campagna elettorale in vista del voto europeo di giugno?

«È una brutta campagna elettorale. Di ambiente e di Europa si parla poco e spesso in maniera sbagliata. A destra si va avanti con le solite parodie, spesso ridicole, a sinistra non c’è traccia di proposte economiche. Non c’è il coraggio di cui è intrisa la Laudato Si’ di papa Francesco, non c’è la comprensione che affrontare questa crisi permette di costruire un futuro migliore, non c’è la presa di coscienza, per dirla con l’antropologa americana Margaret Mead, che “il profeta che ammonisce senza offrire soluzioni accettabili alimenta i mali che enuncia”».

Come giudica il fatto che il governo, perseguendo l’obiettivo decarbonizzazione, dice che le rinnovabili non bastano e si deve puntare sul nucleare?

«È una spinta solo ideologica e sbagliata. Basta guardare i dati mondiali. Nel 2023 l’87% della nuova potenza elettrica installata è stata prodotta da fonti rinnovabili. Il restante 13% da gas, petrolio, carbone e nucleare. Perché sono arrivati più incentivi sulle rinnovabili? No, perché costano meno, fine».

Costano meno, dice, ma magari secondo qualcuno rovinano il paesaggio e in Italia c’è una Regione, la Sardegna, governata da una giunta di centrosinistra, che ha approvato una moratoria di 18 mesi all’installazione di nuovi impianti eolici e fotovoltaici a terra: cosa ne pensa?

«Ovviamente bisogna farle bene. Se qualcuno proponesse delle pale eoliche a Piazza dei Miracoli avrei dei dubbi sulla chiusura dei manicomi. Ma anche le torri di San Gimignano hanno modificato lo skyline delle colline toscane. Le rinnovabili sono il futuro. Rinviare o fare battaglie che ne limitino lo sviluppo e la diffusione favorisce soltanto chi vuole continuare col carbone. Ricordo ancora quando in tanti sostenevano la necessità di dare incentivi per il carbone del Sulcis. Abbiamo sprecato tempo e soldi in quantità mostruosa. Quella è ideologia, pura ideologia. Continuare a difendere ciò che è indifendibile dal punto di vista storico, ambientale, ma anche economico. La Kodak ha fatto la storia della fotografia e della cinematografia, ma oggi chi investirebbe nella tecnologia delle pellicole da 35 millimetri? Io penso che è arrivato il momento di dare concretezza alla predizione di Alexander Langer: “la conversione ecologica si potrà affermare quando sarà percepita come socialmente desiderabile”. Quel momento è giunto. Ne parleremo anche al Seminario Estivo della Fondazione Symbola a Mantova il 27, 28 e 29 giugno. Il titolo è preso da Sant’Agostino: “Noi siamo i tempi”».

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Ha svolto attività di ufficio stampa per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale e pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.