
Da otto linee di finanziamento a un Fondo unico: come cambierà il bilancio pluriennale dell’Ue

La proposta della Commissione europea per il prossimo bilancio pluriennale prevede dal 2028 la fusione della Politica agricola comune (la Pac, coi suoi 387 miliardi di euro) coi Fondi strutturali e di coesione (392 miliardi di euro) in una logica di razionalizzazione e unificazione, una centralizzazione della programmazione con gli Stati e non più con le Regioni. Si è aperto un vivace confronto su un tema centrale per il futuro dell’Unione europea: ne abbiamo parlato con Luca Menesini, presidente del Gruppo socialista europeo nel Comitato delle Regioni.
Intervista
La Commissione europea l’11 di febbraio ha varato una prima comunicazione al Parlamento e al Consiglio, che porta l’impegnativo titolo “Una road map per il prossimo schema di finanziamento pluriennale”. Di cosa di tratta?
«La nuova Commissione intende rivedere completamente il meccanismo di spesa per la Coesione, in vista del termine dell’attuale programmazione pluriennale (2021-27), quindi a partire dal 2028. Da un lato le forti modifiche geopolitiche di questi anni, dall’altro l’esperienza del Pnrr, stanno spingendo la Commissione a un processo di semplificazione della spesa e di accentramento verso gli interlocutori nazionali e non più regionali. Si ipotizza di varare un unico Fondo europeo al posto delle otto linee di finanziamento che compongono i Fondi di coesione, i Fondi strutturali e i fondi per la Politica agricola comune. Si tratta di una vera e propria “rivoluzione”, dopo decenni di organizzazione stabile dei fondi di coesione, che vedevano un bilanciamento nel rapporto fra la Commissione, gli Stati centrali e gli organismi territoriali come le Regioni. Una riforma per molti versi necessaria e non procrastinabile alla luce della nuova situazione, ma che va gestita con attenzion: ci sono anche molti rischi. Per Ursula Von der Leyen “the status quo is not an option” e su questo tutti concordiamo. C’è bisogno di un cambio di passo nelle finanze europee, ma secondo me lei va nella direzione sbagliata».
Il Comitato delle Regioni esprimerà un parere sulla comunicazione: come si sta sviluppando il dibattito?
«Sì, il Comitato ha avviato una discussione interna che ha fatto già emergere molte perplessità e preoccupazioni, soprattutto per il rischio di una perdita di ruolo delle amministrazioni territoriali a vantaggio di rapporti più centralizzati. Al tempo stesso l’unificazione delle risorse in un unico fondo rischia di produrre l’effetto di una minore ripartizione di finanziamenti alle regioni e agli enti locali, con rischi importanti per la coesione sociale. Ricordiamoci che i fondi per la coesione sono lo strumento che l’Unione europea si è data per non lasciare nessuna area indietro e promuovere la convergenza verso standard omogenei di benessere e servizi.
Se il Fondo unico dovrà essere utilizzato anche per altri flussi di spesa (competitività, difesa, l’industria, digitale, energia) si rischia un serio peggioramento del mostro modello europeo di welfare nei prossimi anni. Invece proprio nel momento in cui si spinge sul pedale della modernizzazione, della produttività e della competitività, servono strumenti moderni di inclusione e coesione, come ci ha sempre insegnato Delors. Nessuno deve rimanere indietro o escluso. Certo va detto che l’organizzazione attuale della spesa appare superata dai tempi, con troppa burocrazia e formalismi, il rischio di finanziamenti a pioggia in molti casi con risultati di coesione e innovazione modesti. Ma siamo impegnati come Comitato per produrre osservazioni e proposte concrete che evitino o riducano i rischi immaginati.
Il Governo spagnolo ha avanzato una proposta che spinge sul debito comune e gli investimenti verdi: questi strumenti devono essere usati per promuovere la crescita, non una riduzione dello sforzo per la coesione».
Quali sono i principali rischi, in generale e per l’Italia, insiti nella proposta di nuovo schema?
«Il rischio principale è che la Commissione medi solo con gli Stati centrali la ripartizione dei fondi e le destinazioni, superando quindi il meccanismo (di sicuro oggi barocco e farraginoso) della discussione con le singole regioni e la produzione di Piani regionali si spesa. L’esperienza del Pnrr ci dice che non sempre “centralizzazione” è sinonimo di efficienza ed efficacia, e di sicuro le Regioni sono più in grado dello Stato centrale di esprimere le progettualità locali per il superamento dei gap di crescita e di benessere. Insomma, si punta a superare un’Europa delle Regioni a vantaggio di uno schema intergovernativo, che toglie autonomia e capacità progettuale ai territori. Elemento reso ancora più preoccupante dal processo ipotizzato di “centralizzazione” della governance europea dei fondi, di fatto in futuro sottratta alle diverse direzioni generali e posta in testa alla presidenza.
L’altro rischio riguarda le voci di spesa. Oggi la Pac e i Fondi di coesione finanziano il sostegno all’agricoltura e ai territori, a ricerca e innovazione, a formazione e capitale umano, alle infrastrutture sostenibili. Se la volontà della nuova Commissione è quella di disporre di un “budget” unico, più grande ma anche più flessibile, capace quindi di far fronte meglio alle emergenze e ai cambiamenti, si rischia di drenare risorse verso strategie importanti di politica di difesa e politica industriale, riducendo le risorse per i progetti finalizzati alla coesione. La fusione degli otto fondi in uno solo, senza una chiara indicazione della ripartizione della spesa, è molto pericoloso. Si rischia di aumentare le diseguaglianze territoriali e su questo punto il Comitato delle Regioni è il luogo deputato alla difesa di questi specifici interessi».
Quali sono invece le opportunità?
«L’attuale modello dei Fondi strutturali appare da tempo ormai complicato, burocratico, lento e rigido. L’architettura della negoziazione fra Commissione, Stati e Regioni è estenuante. I Piani operativi non sempre all’altezza delle sfide, i meccanismi di reporting e rendicontazione inutilmente astrusi, i risultati dei progetti non sempre corrispondono alle aspettative, i tassi di utilizzo da parte degli enti territoriali diversi caso per caso. Tutta questa situazione non può durare. Occorrono meccanismi più rapidi e sistemi di pianificazione più elastici, in un quadro di semplificazione estrema delle procedure, guardando ai risultati più che ai moduli.
Ma questa rivoluzione può essere fatta senza scardinare il ruolo fondamentale delle Regioni e degli enti territoriali, gli unici soggetti che hanno consapevolezza concreta dei problemi di coesione dei territori.
Come rappresentanti delle autonomie locali di area socialista spingiamo molto perché l’Europa faccia passi avanti coraggiosi, abbia più ambizione di soggetto globale autorevole, ma ogni riforma deve preservare i principi di sussidiarietà e coesione territoriale».
Cosa cambierà per le Regioni?
«I bilanci delle Regioni (specie quelle Statuto ordinario) si basano sostanzialmente ormai sui Fondi di coesione, mentre le entrate da tassazione diretta o trasferimento dello Stato coprono sostanzialmente sanità e trasporti. Il secondo pilastro dei bilanci regionali rischia di indebolirsi e questo può produrre effetti dirompenti sulla capacità di spesa e di realizzazione di interventi da parte delle Regioni, specie in una fase in cui lo stesso primo pilastro (i fondi ordinari per le Regioni) è sotto stress, soprattutto per la spesa sanitaria. Un rischio che va assolutamente evitato. Ma questo non significa che le stesse Regioni non possano essere le prime ad avanzare le loro proposte per rendere il meccanismo della coesione più rapido, efficace ed efficiente».
