Per porre fine all’inquinamento da plastica negli oceani sono necessari obiettivi MOLTO più ambiziosi
Le microplastiche sono presenti in tutti gli oceani e alcune delle maggiori concentrazioni si trovano a migliaia di chilometri dalla terra ferma. Queste minuscole particelle di plastica possono essere pericolose per la vita marina e dagli oceani ritornano nei nostri sistemi alimentari umani. L’United Nations Environmental Assembly (UNEA) vuole adottare una risoluzione giuridicamente vincolante per eliminare completamente la produzione di inquinamento da plastica a partire dal 2040, comprese le microplastiche oceaniche.
Lo studio “Slow biological microplastics removal under ocean pollution phase-out trajectories”, pubblicato su Environmental Research Letters da Zhenna Azimrayat Andrews e Claire Hunt dell’Imperial College di Londra e da Karin Kvale di GNS Science, suggerisce che «Ridurre l’inquinamento da plastica del 5% all’anno stabilizzerebbe il livello di microplastiche – plastiche di lunghezza inferiore a 5 mm – nella superficie degli oceani». I ricercatori hanno sviluppato un modello per prevedere l’impatto sulle microplastiche oceaniche in 8 diversi scenari di riduzione dell’inquinamento da plastica nel prossimo secolo, a partire dal 2026 fino al 2100 e lo studio dimostra anche che «Una riduzione dell’inquinamento del 20% all’anno non ridurrebbe in modo significativo i livelli di microplastiche esistenti, il che significa che persisteranno nei nostri oceani oltre il 2100».
I risultati dello studio dmostrano però che « Se i Paesi riducessero l’inquinamento da plastica di oltre il 5% ogni anno, la quantità di microplastiche nell’oceano potrebbe stabilizzarsi, anziché continuare ad aumentare».
La Azimrayat Andrews ha sottolineato che «La plastica è ormai ovunque nell’ambiente, e l’oceano non fa eccezione. Anche se i nostri risultati mostrano che le microplastiche saranno presenti negli oceani anche dopo la fine del secolo, stabilizzare i loro livelli è il primo passo verso l’eliminazione».
Le microplastiche rappresentano la minaccia maggiore quando si accumulano nella superficie dell’oceano, dove vengono consumate da pesci e altri animali dei quali si cibano anche gli esseri umani. All’Imperial College di Londra ricordano che «Un modo in cui le microplastiche possono essere rimosse dalla superficie dell’oceano è aggregandosi a minuscoli organismi viventi o materiali di scarto, come detriti organici o escrementi di animali. Questi grumi possono affondare nelle profondità dell’oceano, portando con sé le microplastiche». Secondo I calcoli del team di ricerca, combinati con le osservazioni del mondo reale e i test del modello, «La galleggiabilità delle microplastiche impedisce a questi grumi di affondare, intrappolandoli vicino alla superficie. comprendere come questi accumuli influenzano i livelli di microplastiche nell’oceano è importante per fissare obiettivi volti a ridurre l’inquinamento da plastica».
Ma da questo ne consegue che «Dato che la vita marina trattiene le microplastiche vicino alla superficie, anche se il livello di inquinamento prodotto ogni anno fosse ridotto, ci sarebbero ancora microplastiche nell’oceano superficiale per secoli. Quando affondano, dureranno molto più a lungo negli strati più profondi dell’oceano, dove il loro impatto non è ben noto».
La Azimrayat Andrews aggiunge: «Non potrà mai esserci una rimozione completa delle microplastiche da tutte le profondità dell’oceano, adesso dobbiamo solo conviverci. Ma l’attuale produzione globale di inquinamento da plastica è così grande che anche una riduzione annuale dell’1% dell’inquinamento nel complesso farebbe una grande differenza».
Si tratta del primo studio che esamina l'efficacia degli obiettivi di riduzione previsti dal trattato globale sulla plastica e le ampie riduzioni necessarie per ridurre la contaminazione indicano che «E’ necessaria una politica internazionale più coordinata, piuttosto che l’obiettivo proposto dalle Nazioni Unite di ridurre l’inquinamento da plastica a zero entro il 2040».
Le ricercatrici sperano che la loro analisi possa aiutare a orientare i negoziati delle Nazioni Unite, che sono previsti quest’’anno.
La Azimrayat Andrews conclude: «Se vogliamo andare verso una società con meno plastica, il cambiamento deve avvenire a un livello più alto: a livello industriale. Nessun singolo individuo dovrebbe portare il peso del mondo sulle proprie spalle. Pertanto, abbiamo bisogno di un’integrazione di stili di vita più sostenibili, piuttosto che le persone debbano fare scelte individuali, e così organizzazioni come il servizio sanitario nazionale non hanno questa pressione per diventare zero plastica in 10 anni perché lo ha detto l’Onu. Le organizzazioni nazionali dovranno ridurre l’uso della plastica, ma nel frattempo il cambiamento sistemico nei settori industriale e commerciale potrebbe consentire una maggiore possibilità a organizzazioni come il servizio sanitario nazionale».