
Greenpeace condannata a pagare 660 milioni di dollari: una battaglia legale che minaccia il diritto di protesta

Dieci anni dopo le proteste guidate dalle comunità indigene contro l’oleodotto Dakota Access, Greenpeace si trova al centro di una battaglia legale senza precedenti. Energy transfer (Et), l’azienda responsabile della costruzione dell’oleodotto, ha intentato una causa contro Greenpeace International e sue due entità statunitensi (Greenpeace Inc e Greenpeace Fund), accusandole di aver orchestrato le manifestazioni.
Ieri, una giuria di nove persone della Contea di Morton ha emesso un verdetto pesantissimo, in base al quale Greenpeace dovrà pagare oltre 660 milioni di dollari di risarcimento. Gli ambientalisti hanno però immediatamente dichiarato la volontà di fare ricorso contro la decisione.
L’organizzazione ambientalista ha definito la causa temeraria e infondata, denunciando il verdetto come un attacco alla libertà di espressione e al diritto di protesta pacifica. Per Greenpeace, il caso rappresenta un chiaro esempio di Slapp (Strategic lawsuit against public participation), ovvero cause legali utilizzate per mettere a tacere attivisti e organizzazioni non profit.
Negli ultimi anni, le multinazionali dei combustibili fossili hanno sempre più spesso utilizzato azioni legali per colpire le organizzazioni ambientaliste. Secondo Greenpeace, il verdetto contro di loro potrebbe incoraggiare ulteriori attacchi contro chiunque si opponga ai progetti delle grandi compagnie energetiche.
«Stiamo assistendo al pericoloso ritorno degli stessi comportamenti che hanno alimentato la crisi climatica, acuito le disuguaglianze sociali e ambientali e anteposto i profitti dei combustibili fossili alla salute pubblica e a un pianeta abitabile. La precedente amministrazione Trump aveva passato quattro anni a smantellare le politiche di protezione dell'aria e dell'acqua e la sovranità indigena. Ora insieme ai suoi alleati vuole finire il lavoro zittendo ogni forma di protesta pacifica. Non ci tireremo indietro. Non ci faremo mettere a tacere», ha dichiarato Mads Christensen, direttore esecutivo di Greenpeace International.
Negli ultimi anni, Greenpeace ha già affrontato cause legali intentate da giganti del settore come Shell, TotalEnergies ed Eni. In alcuni casi, le organizzazioni ambientaliste sono riuscite a respingere le accuse: nel 2024, Greenpeace France ha avuto la meglio su TotalEnergies, mentre Greenpeace UK e Greenpeace International hanno costretto Shell a ritirare la sua causa. In Italia, Greenpeace Italia e ReCommon dovranno difendersi in tribunale nei prossimi mesi contro una Slapp avviata da Eni.
Nonostante il duro colpo ricevuto negli Stati Uniti, Greenpeace ha annunciato che porterà avanti la battaglia contro Energy Transfer anche in Europa. Nel febbraio 2024, Greenpeace International ha avviato il primo test della Direttiva anti-Slapp dell’Unione Europea, presentando una causa nei Paesi Bassi contro l’azienda statunitense per recuperare i danni subiti.
«Energy Transfer non ha scritto l'ultima parola su di noi in questa battaglia, abbiamo appena iniziato la nostra azione legale anti-Slapp contro i suoi attacchi alla libertà di parola e alle proteste pacifiche. Porteremo Energy Transfer in tribunale a luglio nei Paesi Bassi. Non ci fermeremo», ha dichiarato Kristin Casper, consigliere generale di Greenpeace International.
