
Nel Mar Rosso l’ambiente marino è costantemente minacciato dalle operazioni militari

Il Mar Rosso, dopo la tregua già infranta a Gaza, sembrava tornato ad un’apparente normalità, che ha impedito deliberati attacchi allo shipping internazionale che, dal Golfo di Aden, passando dallo Stretto di Bab el-Mandeb, transitano per risalire il Mar Rosso fino all’imboccatura del Canale di Suez.
La tregua con Hamas ha, inoltre, fatto registrare positivi effetti anche per gli ordinari transiti delle navi mercantili in quell’area, tanto che i cosiddetti “ribelli” Houti, che di fatto governano la regione costiera dello Yemen, da diversi mesi non hanno fatto registrare attacchi a mercantili in transito.
La tregua non dichiarata ma applicata in maniera precisa e continua, tuttavia, è stata interrotta sabato scorso a causa dei bombardamenti degli Usa in Yemen, che hanno provocato anche la morte di almeno 58 persone. La risposta del governo de facto yemenita non si è fatta attendere, lanciando un attacco missilistico contro la portaerei nucleare Harry S. Truman – fortunatamente senza serie conseguenze – della quale abbiamo già parlato qualche settimana fa (prima che entrasse ad operare nel Mar Rosso), per via della collisione avvenuta con una nave bulk cargo Besiktas M., battente bandiera panamense e che per fortuna non fece registrare conseguenze sulle due unità che, infatti, poterono proseguirono per le loro rispettive destinazioni.
Tornando alle operazioni militari che si stanno svolgendo nell’area del Mar Rosso meridionale, non possiamo non tornare indietro alla recente memoria, ripensando alle navi già affondate come, ad esempio, il mercantile britannico Rubymar, colpito nel febbraio 2024 nel Mar Rosso da missili lanciati dalle milizie yemenite degli Houthi mentre era in transito nello stretto di “Bad el-Mandeb” oppure a quelle colpite sempre da missili come la petroliera greca Sounion e rimasta in fiamme alla deriva nel Mar Rosso per interminabili settimane, con un carico di circa 150.000 tonnellate di greggio, mentre diversi sversamenti dalle falle causati dai missili continuavano ad inquinare l’area in cui si trovava la petroliera e che la stessa società incaricata del recupero riuscì ad assicurare il rimorchio della cisterna solo dopo diversi infruttuosi tentativi; per inciso, vogliamo evidenziare il fatto che delle successive operazioni di messa in sicurezza e di svuotamento delle cisterne del carico, non si sono avute che poche notizie frammentarie e imprecise, meno ancora, reperti fotografici o video che mostrassero le operazioni di bonifica e di messa in sicurezza effettuate, lasciando molti dubbi sull’esito finale delle operazioni di allibo.
Questo richiamare alla memoria fatti concreti che hanno arrecato gravi pregiudizi per l’integrità dell’ambiente marino, verificatesi appena l’anno scorso, sollevano il serio interrogativo, non solo su come scongiurare ogni possibile minaccia all’integrità del mare nell’area che, come sappiamo, è particolarmente delicata sotto un profilo ecosistemico ma, a nostro avviso, deve diventare una formidabile occasione per pianificare un Contingency planning internazionale che assicuri un elevato standard di operatività per la gestione di tutte le emergenze ambientali che in quell’area possono realmente accadere; sappiamo molto bene che in quell’area geografica non sono presenti sistemi aeronavali in grado di intervenire prontamente per contenere e/o contrastare qualunque forma d’inquinamento marino dovesse verificarsi.
Il recentissimo caso della chimichiera statunitense “Stena Immaculate”, collisa con la portacontainer “Solong” battente bandiera portoghese, davanti le coste orientali dell’Inghilterra, qualcosa ci avrà pur insegnato.
