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Ecco come l’Italia può impedire il traffico di petrolio della flotta fantasma russa al largo della Sicilia
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Ieri sera su Rai3, nel consueto appuntamento con Report, la puntata realizzata in collaborazione con Greenpeace Italia ha fatto suonare il campanello d’allarme ambientale per la pericolosa pratica di effettuare operazioni di trasbordo del greggio (allibi) da nave a nave (ship to ship). Le ragioni per le quali si procede a questo trasferimento di carico, molto probabilmente, sono da ricercare nell’aggiramento delle sanzioni imposte dall’Unione europea per bloccare il commercio di prodotti della Federazione russa e, tra questi, il petrolio greggio.
Abbiamo quindi assistito a come nella zona di Mediterraneo al largo delle coste orientali siciliane vengano trasbordati rilevanti volumi di greggio da petroliere ascrivibili alla cosiddetta “flotta fantasma” russa a delle navi cisterna formalmente in regola, col preciso scopo di aggirare le sanzioni oggi in essere nell’ambito della Unione europea.
Al di là degli aspetti speculativi puramente commerciali, sarebbe opportuno soffermarsi sugli aspetti più attinenti alla salvaguardia ambientale: come facilmente intuibile, queste pratiche di trasbordo attuate in alto mare, ove non esistono ridossi o ripari di qualsivoglia genere, comportano rischi di potenziali inquinamenti marini elevatissimi.
Nel corso del reportage è stato affermato che le Autorità nazionali non possono intervenire per contrastare queste attività, in quanto avvengono in acque internazionali dove la giurisdizione nazionale non troverebbe applicazione. Proviamo a confutare questa (forse) affrettata affermazione, confrontandoci con gli strumenti normativi nazionali ed internazionali cogenti.
Partendo dall’art. 211 dell’Unclos (Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare), quinto comma: “Gli Stati costieri, ai fini dell'applicazione prevista nella sezione 6, possono adottare nella propria zona economica esclusiva leggi e regolamenti atti a prevenire, ridurre e tenere sotto controllo l'inquinamento provocato da navi, che si conformino e diano applicazione alle regole e norme internazionali generalmente accettate, stabilite attraverso la competente organizzazione internazionale o conferenza diplomatica generale”.
Quindi, il legislatore internazionale ha previsto la possibilità di dotarsi di ogni utile strumento atto ad impedire la minaccia d’inquinamento da idrocarburi provenienti dalle navi; tuttavia, occorrerebbe estendere le proprie acque territoriali – che notoriamente arrivano a 12 miglia verso il largo a partire dalla linea di base – e proclamare la cosiddetta Zee (zona economica esclusiva).
Vale la pena richiamare anche che quando le norme e regole internazionali non consentono di far fronte in modo adeguato a circostanze particolari e uno Stato costiero ha fondati motivi per ritenere che in un'area particolare e chiaramente definita della propria zona economica esclusiva, si richiede l'adozione di particolari misure ingiuntive al fine di prevenire l'inquinamento provocato da navi, rese necessarie da evidenti ragioni tecniche correlate alle caratteristiche ecologiche e oceanografiche della zona come pure alla sua utilizzazione, alla protezione delle sue risorse e al carattere peculiare del traffico locale.
In altre è più immediate parole, estendendo da 12 a 24 miglia la zona di mare in cui lo Stato costiero può esercitare la sua sovranità ed applicare le norme cogenti del proprio ordinamento, i fenomeni di trasbordo in mare aperto in parola potrebbero essere se non del tutto debellati, almeno significativamente ridotti.
Allo stato attuale l’Italia dispone di una propria normativa che introduce l’istituto giuridico della “Zona di protezione ecologica”, sulla scorta del quale venne emanata la legge n. 81 del 2006 e che ricomprende le zone di mare riportate nella sottostante tabella, nella quale lo Stato italiano può adottare norme più restrittive per garantire gli standard di qualità ecologica più elevate possibili; però, a parere di chi scrive, la proclamazione della zona economica esclusiva, oltre a dare un significativo contributo nel contrastare il pericoloso transhipment in alto mare, segnerebbe un punto dal quale poter partire per affrontare i molti punti ancora irrisolti per arrivare alla compiuta delimitazione della zona economica esclusiva, che interessa da vicino un grande numero di parchi eolici offshore in progetto.
Tavola estratta dal Piano di Pronto Intervento per la Difesa del Mare e delle Coste (D.M. 389 del 13/10/2022 del MiTE)
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