Skip to main content

Pfas nei pesci del Santuario dei Cetacei lungo le coste della Toscana. E anche nel Tirreno e nello Ionio calabrese

I dati del monitoraggio di Greenpeace: «Nel pescato elevati valori di questi pericolosi inquinanti»
 |  Inquinamenti e disinquinamenti

Secondo il rapporto “Pescato al sapore di  PFAS - Quando il pericolo viene dal mare”, pubblicato da Greenpeace Italia grazie ai dati ricevuti da ARPAT, l’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana, e da ARPA Calabria, dopo una richiesta di accesso agli atti, «Circa il 60% del pescato delle acque, lungo la costa della Toscana, è contaminato da PFOS (acido perfluorottansolfonico), un composto classificato come possibile cancerogeno appartenente al gruppo dei PFAS (composti poli e perfluoroalchilici, pericolosi per la salute umana). La stessa contaminazione non risparmia pesci e crostacei pescati nei mari della Calabria, sia nel versante del Tirreno che in quello ionico».

L’organizzazione ambientalista avverte che «Queste evidenze, seppur relative a una sola molecola delle oltre diecimila appartenenti al gruppo dei PFAS, indicano una contaminazione fuori controllo che espone i consumatori a queste pericolose sostanze attraverso il consumo di pescato. Dalle analisi effettuate in Toscana tra il 2018 e il 2023 sui pesci nelle acque marino-costiere e di transizione, principalmente cefali, in alcuni casi sono infatti emersi valori molto elevati. In un cefalo alla foce del fiume Bruna a Castiglione della Pescaia, in provincia di Grosseto, è stata trovata la concentrazione record di 14,7 microgrammi per chilogrammo. Livelli molto alti sono stati rilevati nei pesci lungo la costa pisana, alle foci dell’Arno e del Fiume Morto (5,99 e 5,65 microgrammi per chilogrammo). Si tratta di contaminazioni di gran lunga superiori alla soglia settimanale tollerabile per il consumo umano fissata dall’EFSA a pari 4,4 nanogrammi per chilogrammo di peso corporeo per la somma di quattro molecole (non solo PFOS ma anche PFOA, PFNA e PFHxS). Anche le indagini effettuate da ARPA Calabria tra il 2021 e il 2023 evidenziano notevoli livelli di contaminazione di PFOS in triglie, naselli e cicale di mare prelevati lungo la costa ionica e tirrenica. Alcune cicale di mare superavano il limite di 3 microgrammi per chilogrammo considerato sicuro per il consumo umano previsto dal Regolamento europeo 2022/2388».

Invece, le analisi effettuate dall’ARPA del Friuli-Venezia Giulia nel 2021 dimostrano l’assenza dell’unico PFAS monitorato (anche in questo caso il PFOS) nei pesci dell’alto Adriatico, anche se queste indagini si limitano a un numero ridotto di campioni e non possono confermare la totale assenza di rischi.

Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace Italia, sottolinea che «I monitoraggi effettuati sul pescato in Toscana e Calabria dimostrano che i PFAS arrivano sulle nostre tavola anche attraverso il consumo di pesci e crostacei. Pur trattandosi di dati parziali e limitati a una sola delle oltre diecimila molecole appartenenti al gruppo dei PFAS, il quadro che emerge è grave e potenzialmente espone al rischio migliaia di persone. Questi risultati confermano, ancora una volta, l’urgenza di vietare l’uso e la produzione dei PFAS per proteggere l’ambiente e la nostra salute. Per quanto tempo il governo continuerà a ignorare il problema?».

Greenpeace Italia conclude: «Sebbene il quadro della contaminazione del pescato sia limitato a un numero ristretto di Regioni e a una sola molecola, ormai è palese che l’accumulo di PFAS incide sul suolo, sull’acqua e sulla nostra catena alimentare, con gravi rischi per la salute umana. I PFAS sono associati a disturbi alla tiroide, danni al fegato e al sistema immunitario oltre che all’insorgenza di alcune forme di tumore come quello ai reni e ai testicoli. A causa di queste preoccupanti evidenze numerose nazioni stanno introducendo norme che limiteranno l’uso e la produzione di queste molecole».

Redazione Greenreport

Greenreport conta, oltre che su una propria redazione giornalistica formata sulle tematiche ambientali, anche su collaboratori specializzati nei singoli specifici settori (acqua, aria, rifiuti, energia, trasporti e mobilità parchi e aree protette, ecc….), nonché su una rete capillare di fornitori di notizie, ovvero di vere e proprie «antenne» sul territorio.