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L’impatto dell’agricoltura sulla qualità dell’aria in Lombardia

I preoccupanti risultati di due studi del progetto INHALE, finanziato da Fondazione Cariplo e realizzato da università Bocconi, CMCC e Legambiente
 |  Inquinamenti e disinquinamenti

Le emissioni del settore agricolo, in particolare degli allevamenti, hanno un forte impatto sulla qualità dell’aria e la salute pubblica. Spesso però vengono ignorate nelle politiche pubbliche, sia a livello regionale che europeo.  Due nuovi studi guidati dal Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici (CMCC) in collaborazione con Legambiente Lombardia, dimostrano l’importanza dell’impatto dell’inquinamento agricolo nella Pianura Padana, con importanti implicazioni per le scelte politiche.

Nonostante il parziale blocco dei trasporti e delle attività industriali durante i lockdown del 2020 dovuti all’epidemia di Covid -19, i livelli di particolato nell’atmosfera nel nord Italia sono rimasti elevati, un evento sorprendente che evidenzia come l’inquinamento atmosferico da particolato sia una delle principali preoccupazioni  per la salute delle persone e del pianeta. Ma, nonostante ci siano prove sempre più evidenti che anche l’agricoltura svolga un ruolo significativo,  le politiche che affrontano questo tipo di emissioni tendono a concentrarsi su trasporti e industria,

Nell’ambito del progetto INHALE, finanziato da Fondazione Cariplo, coordinato dall’università Bocconi e implementato insieme a Legambiente Lombardia, i ricercatori del CMCC hanno condotto una serie di studi per valutare l’impatto delle attività agricole sulla salute umana nella Pianura Padana, per  valutare le principali modalità di inquinamento e i possibili miglioramenti della qualità dell’aria derivanti da riduzioni ipotetiche delle emissioni.

Il recente studio “The formation of secondary inorganic aerosols: A data-driven investigation of Lombardy’s secondary inorganic aerosol problem”, pubblicato su Atmospheric Environment da Francesco Granella, Stefania Renna e Lara Aleluia di CMCC, università Bocconi e Politecnico di Milano, ha sfruttato la riduzione delle emissioni non agricole durante il lockdown per analizzare la complessa relazione tra emissioni di ammoniaca, biossido di azoto e concentrazioni di aerosol inorganici secondari, utilizzando tecniche di machine learning e i ricercayori dicono che «I risultati dello studio mostrano che l’agricoltura è il principale produttore di emissioni di ammoniaca nella Pianura Padana e che contribuisce quindi in modo sostanziale alla formazione di particolato secondario e al deterioramento della qualità dell’aria. Questi risultati suggeriscono che le strategie per migliorare la qualità dell’aria dovranno tenere in considerazione simultaneamente la riduzione dei precursori del particolato: ammoniaca e ossidi di azoto».

Granella evidenzia che «Dal punto di vista scientifico, il contributo dell’agricoltura all’inquinamento atmosferico nella Pianura Padana è chiaro. Questo studio fornisce chiare prove che il settore deve entrare a far parte di una strategia più ampia per la qualità dell’aria».

L’altro studio, “Impacts of agriculture on PM10 pollution and human health in the Lombardy region in Italy”, pubblicato su Frontiers in Environmental Science, da Stefania Renna, Jacopo Lunghi, Francesco Granella, Maurizio Malpede e Damiano Di Simine di CMCC, Politecnico di Milano, università Bocconi, università di Verona e Legambiente, oltre all’impatto dell’agricoltura sull’inquinamento atmosferico, valuta l’impatto dell’agricoltura sull’inquinamento da PM10, concentrandosi in particolare sul ruolo dell’agricoltura intensiva sull’inquinamento e la salute pubblica.

La Renna, ricercatrice CMCC, dottoranda al Politecnico di Milano e leader dello studio che si è avvalso anche dei dati di ARPA Lombardia, sottolinea: «Abbiamo dimostrato che lo spargimento di letame in Lombardia contribuisce al deterioramento della qualità dell’aria in inverno, poiché viene rilasciata ammoniaca nell’atmosfera».

La Aleluia Reis del CMCC conclude: «Questa ricerca offre informazioni su come ridurre più efficacemente il PM2,5 secondario inorganico e, a differenza della letteratura esistente, si basa esclusivamente su dati misurati a livello del suolo».  

Redazione Greenreport

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