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Miniere sottomarine: il governo italiano diviso tra tutela e sfruttamento

Greenpeace: «Bisogna fermare sul nascere le estrazioni minerarie negli abissi»
 |  Inquinamenti e disinquinamenti

Il Deep Sea Mining (DSM) è un’industria nascente, fonte di notevoli preoccupazioni, diventata una questione emblematica e una priorità nell’agenda politica globale. Insieme all’opposizione dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, di numerose aziende private, della comunità scientifica, della società civile e dell’industria della pesca, oggi anche un numero crescente di Stati chiede una moratoria o una pausa precauzionale per questa nuova industria.

Secondo l’indagine “Il Deep Sea Mining: la corsa alle estrazioni minerarie negli abissi e il ruolo dell’Italia”, pubblicata oggi da di Greenpeace, «L’Italia gioca un ruolo chiave nell’autorità internazionale che deve regolamentare le estrazioni minerarie nei fondali marini, l’International Seabed Authority (ISA), eppure i ministri italiani titolati in materia (Made in Italy, Protezione civile e Politiche del mare, Ambiente e Sicurezza Energetica) e la stessa premier Meloni hanno posizioni ambigue e confuse, a metà tra la protezione dell’ambiente e il sostegno a queste nuove e pericolose attività estrattive».

Valentina Di Miccoli, campagna Mare di Greenpeace Italia, ricorda che «Secondo molti scienziati l’impatto del Deep Sea Mining sui fondali avrebbe conseguenze devastanti per la biodiversità marina. Specie in gran parte ancora sconosciute, adattate ad ambienti unici, rischiano infatti di essere esposte a diversi impatti: dalla sospensione di sedimento, all’immissione di luce e rumore, fino all’inquinamento chimico. L’avvio delle estrazioni minerarie negli abissi sarebbe in netto contrasto con gli impegni recenti assunti dal nostro Paese in numerose sedi internazionali sulla protezione del mare. Ci auguriamo che l’Italia si aggiunga presto alla lunga lista di nazioni che chiedono a gran voce una pausa precauzionale o una moratoria».

Anche il recente simposio “Blue economy e il ruolo delle materie prime critiche nello sviluppo di economie oceaniche sostenibili: sfide, opportunità e innovazione” organizzato dal ministero delle imprese e del made in Italy (MIMIT) e dall’Isa  non ha chiarito la reale posizione dell’ItaliaPer Greenpeace « La discussione è molto accesa e le conseguenze delle decisioni che verranno prese a livello internazionale sono estremamente importanti per la tutela dei mari e degli oceani. In questa discussione l’Italia gioca un ruolo rilevante, ma le dichiarazioni dei ministri italiani raccolte da Greenpeace risultano confuse e divise tra sfruttamento e tutela dei fondali, denotando una scarsa conoscenza del tema. Se il ministro Nello Musumeci (Protezione Civile e Politiche del Mare) dichiara di essere favorevole a patto che sia garantita la tutela dei fondali marini, ma senza spiegare come potrebbe questa essere effettivamente garantita, il ministro Adolfo Urso (Imprese e Made in Italy) afferma che nella legge sulla blue economy ci sarà spazio per tutte le industrie che lavorano con il mare, comprese quelle che si offrono per le estrazioni negli abissi. E mentre la premier Giorgia Meloni sostiene che questa è una delle tante sfide che ci attendono, un dominio nuovo nel quale l’Italia intende giocare un ruolo di primo piano, si mostra più cauto il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, che in occasione della visita in Italia del segretario generale dell’ISA, ha manifestato la necessità di approfondire le conoscenze scientifiche e di avere un approccio ecosistemico per lo sfruttamento delle risorse minerarie nelle zone di alto mare. Il nostro governo sembra quindi oscillare tra la tutela e la possibilità di sfruttare i fondali marini: nel Piano del Mare dedica una parte allo sfruttamento delle risorse minerarie sottomarine, ma al tempo stesso invoca “un approccio precauzionale basato sul minimo impatto sugli ecosistemi marini”. In ogni caso, ad oggi l’Italia non è tra i Paesi che si sono schierati per una pausa precauzionale o una moratoria». 

A luglio è in programma una riunione dell’ISA per discutere nuovamente il codice minerario che dovrebbe regolamentare a livello internazionale queste attività ma, per la prima volta dopo diversi anni, è stata inserita in agenda la proposta di una politica generale per la protezione e la conservazione dell’ambiente marino.

Greenpeace Italia chiede al governo Meloni di schierarsi dalla parte della conservazione ambientale e di tutelare l’interesse pubblico e non quello di poche industrie. Auspichiamo che l’Italia, dalla posizione importante in cui si trova, anteponga sul tavolo della discussione internazionale la protezione di mari e oceani rispetto allo sfruttamento dei fondali per gli interessi di una manciata di industrie. È essenziale che l’ISA faccia propria l’idea di una moratoria sulle attività estrattive in acque profonde fin quando non si avrà un quadro chiaro e misurabile delle conseguenze ambientali ed ecologiche derivanti da tale attività, che al momento sono ancora in fase di studio e delineano per lo più forti impatti sulla biodiversità marina. Sottolineiamo, oltretutto, come un via libera alle estrazioni minerarie risulterebbe totalmente non allineato al Trattato globale per la protezione degli oceani, recentemente adottato dalle Nazione Unite (firmato anche dall’Italia) e in attesa di ratifica da parte di molti Stati, tra cui l’Italia. Il nostro Paese, in numerosi tavoli di lavoro internazionali, ha più volte ribadito la necessità di aumentare le misure di protezione di mari e oceani impegnandosi a raggiungere l’obiettivo del 30x30 3 che necessariamente comprende la protezione anche dei fondali marini abissali. Ci auguriamo che questo sia l’obiettivo concreto da raggiungere».

Oggi, l’organizzazione ambientalista ha lanciato una nuova petizione rivolta  al nostro governo affinché supporti una moratoria internazionale che blocchi l’avvio del Deep Sea Mining e protegga il mare dallo sfruttamento minerario.

Redazione Greenreport

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