La commissaria Ribera frena gli attacchi delle destre al Green deal
La Commissione europea a guida Ursula von der Leyen sta provando a mantenere saldo lo sviluppo del Green deal, semplificandolo e rileggendolo in un’ottica più orientata a supportare la competitività del Vecchio continente. Anche guardando al di là degli obiettivi climatici e ambientali, si tratta di una strada di fatto obbligata.
L’Ue soffre la dipendenza dall’import per il 58% del proprio fabbisogno energetico (l’Italia arriva al 74,8%) e non va meglio sul fronte della materie prime, da cui è nata l’ambizione di sviluppare l’economia circolare, ribadita all’interno della Bussola per la competitività appena presentata a Bruxelles. Sviluppare il riciclo e le energie rinnovabili – con la parallela elettrificazione dei consumi – è l’unica opzione percorribile per aumentare l’autonomia strategica europea, e con essa la competitività rispetto a partner sempre più ingombranti come Usa e Cina.
Eppure in tutto il continente le destre, dopo i migranti, hanno individuato nell’ambientalismo il nuovo nemico antropologico da offrire in pasto a un elettorato affamato di risposte semplicistiche (anche se inefficaci) di fronte a un mondo sempre più complesso, con le sue molteplici crisi tra loro intrecciate: crisi climatica, disinformazione e disuguaglianze, come emerso con chiarezza dal World economic forum appena conclusosi a Davos.
Proprio a Davos la presidente della Commissione Ue ha ribadito l’importanza dell’Accordo di Parigi sul clima, ha lanciato il Forum globale sulla transizione ecologica, per poi affermare con decisione che «sul Green deal manteniamo la rotta».
Ma anche in questo caso la realtà è più complessa di quella che appare a una prima occhiata. Lo stesso gruppo politico cui appartiene la von der Leyen (il Ppe, popolari di centrodestra) ha aperto un fronte per provare a frenare le politiche europee sul clima; l’estrema destra francese sta facendo pressione (chiedendo sponda al Ppe) per innestare una retromarcia totale sul Green deal; l’eurodeputata del Ppe Monika Hohlmeier ha lanciato accuse – sfociate in uno scandalo sul quotidiano olandese De Telegraaf – su presunte attività illecite di lobbying da parte delle ong ambientaliste di mezza Europa.
In mezzo a equilibri tanto fragili, la vicepresidente esecutiva della Commissione Ue per la Transizione pulita, giusta e competitiva – la spagnola Teresa Ribera – non ci sta a fare buon viso a cattivo gioco. E attraverso il media paneuropeo Euractiv prende di petto tutti i fronti politici aperti sul Green deal.
La proposta francese per affossarlo? «È un grande errore che va contro gli europei. Una delle cose più tristi a cui stiamo assistendo e che stiamo vivendo in questo momento è che ci sono alcune famiglie politiche che stanno usando le paure delle persone, per andare contro le persone», risponde Ribera. Rallentare le politiche per aumentare la penetrazione delle fonti rinnovabili nel mix energetico europeo? «Se vogliamo ottenere prezzi dell'energia accessibili, non ha molto senso». Limitare i finanziamenti alle Ong ambientaliste per timori sulle attività di lobbying? «Penso che questa sia una perversione. Perché non è fare lobbying, è aumentare la consapevolezza pubblica e cercare di identificare dove potrebbero essere le difficoltà e le sfide. E penso che abbiamo bisogno di quello spirito critico».
Prese di posizioni molto nette, che lasciano trasparire quanto sarà faticoso rispettare le intenzioni pur annunciate dalla Commissione Ue sul mantenere il Green deal come perno delle politiche di sviluppo. Per le parti politiche come quelle sociali, è arrivato il momento di schierarsi in modo altrettanto netto e scegliere da che parte stare.