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Le posizioni di Can Europe, Ecco, Eeb, Eu-Ase su Clean industrial deal, Piano d’azione per l’energia accessibile e pacchetto Omnibus

L’Ue vuole +100 GW di rinnovabili l’anno, ma la nuova strategia industriale europea convince solo a metà

Necessario migliorare il contributo dell’efficienza energetica e la stabilità del quadro normativo, mentre gli ambientalisti denunciano una «deregulation senza precedenti»
 |  Green economy

Per raggiungere i suoi obiettivi energetici e climatici, l'Ue necessita di oltre 570 miliardi di euro all'anno tra il 2021 e il 2030 e 690 miliardi di euro all'anno dal 2031 al 2040 per investimenti nelle energie rinnovabili – per le quali Bruxelles punta a installare +100 GW ogni anno –, nonché nell'efficienza energetica e nella capacità della rete.

La Commissione valuterà inoltre le esigenze di investimento nell'energia nucleare e promuoverà gli investimenti in tecnologie di nuova generazione, come la fusione nucleare, la geotermia avanzata e le batterie allo stato solido. Confermato il taglio del 90% delle emissioni climalteranti al 2040 (rispetto al 1990), portando il tasso di elettrificazione dell’economia europea al 32% (dal 21,3% attuale) al 2030, accompagnando la transizione dell’industria con un fondo di 100 miliardi di euro, l’Industrial decarbonisation bank, alimentato con i proventi delle aste del mercato Ue per le emissioni di CO2 (Eu Ets). Il tutto garantendo risparmi sul costo dell’energia per 45 mld di euro quest’anno, che saliranno a 130 miliardi di euro di risparmio annuo entro il 2030 e 260 miliardi di euro entro il 2040.

È questo il cuore energetico che unisce il Clean industrial deal e il Piano d'azione per l'energia accessibile, entrambi presentati oggi dalla Commissione Ue insieme al pacchetto Omnibus per la semplificazione normativa, che però soddisfano solamente in parte il mondo ambientalista e delle imprese impegnate nella transizione ecologica.

«Il Clean industrial deal riconosce l'importanza dell'efficienza energetica, ma c'è ancora margine per valorizzarne appieno il potenziale come fattore chiave che riduce strutturalmente i costi operativi, migliora la competitività industriale e rafforza la resilienza contro la volatilità dei prezzi dell'energia – spiega la presidente dell’European alliance to save energy (Eu-Ase), Monica Frassoni – Basandosi sugli elementi positivi di entrambe le pubblicazioni, è essenziale rafforzare la coerenza tra queste due iniziative e garantire che il Clean industrial deal diventi un vero motore per l'attuazione ambiziosa e tempestiva del quadro normativo esistente sull'efficienza energetica. Chiarezza e impegno sull'efficienza energetica sono fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi industriali e climatici dell'Europa».

Allargando il quadro delle osservazioni, Frassoni evidenzia come oggi siano stati «riaffermati gli obiettivi del Green deal», ma anche che «c'è sicuramente un reale rischio di non solo indebolire, ma anche tornare indietro su una serie di impegni che non solo i governi degli stati Ue e la maggioranza del Parlamento europeo, ma anche una parte importante degli attori economici avevano preso di fronte al rapido aumento dei rischi e dei costi relativi ai cambiamenti climatici e di fronte alla dipendenza dalle forniture da combustibili fossili da attori ostili come la Russia. Oggi le priorità, dice la Commissione, non sono cambiate. Ma per rendere più "competitivo" il nostro sistema industriale bisogna semplificare (giusto) senza deregolamentare e bisogna puntare su tecnologie "clean". Qui casca l'asino: quali sono le tecnologie "green" anzi "clean" (nuovo mantra) più promettenti? Mentre il commissario all'Energia Jorgensen lo ha detto chiaro e tondo (rinnovabili ed efficenza energetica), nei documenti presentati si capisce chiaramente che la battaglia sarà proprio su chi avrà diritto ad essere sostenuto perché considerato strategico per il futuro, e quali industrie dovranno essere più aiutate nella loro transizione e a spese di chi».

L'efficienza energetica, ad esempio, non è ancora in prima linea. Eppure dal 2000, nonostante l'aumento significativo della produzione industriale europea, i miglioramenti nell'efficienza energetica hanno già contribuito a una riduzione del 21% del consumo energetico industriale nell'Ue; anche il consumo energetico dei moderni chip per l'intelligenza artificiale è diminuito del 99% rispetto ai modelli del 2008 per eseguire gli stessi calcoli. Di fatto, l'ecosistema industriale dell'efficienza energetica contribuisce con almeno 150 miliardi di euro all'anno all'economia dell'Ue ed è un motore di innovazione, con oltre 15.700 brevetti concessi per soluzioni di efficienza energetica negli ultimi vent'anni.

«L'energia più economica è quella che non utilizziamo, eppure c'è solo un debole impegno per l'efficienza energetica», conferma nel merito Cornelia Maarfield, responsabile dell'energia presso Can Europe, ma il Climate action network non risparmia critiche a ben più ampio raggio: «L'obiettivo climatico del 2040 è l'unico biscotto nel barattolo. Il resto del pacchetto crolla sotto esame – commenta caustica Chiara Martinelli, direttrice di Can Europe – Mentre il Clean industrial deal afferma di mettere la decarbonizzazione al centro, il diavolo è nei dettagli e le ambizioni di alto livello non corrispondono alle proposte effettive. Questo non è ciò che la Commissione ha promesso durante le audizioni dello scorso autunno». In particolare, secondo l’ong ambientalista la prima parte del regolamento Omnibus presentata oggi taglia le gambe a leggi vitali sulla responsabilità ambientale e aziendale con la falsa promessa della semplificazione: «Il pacchetto Omnibus non riguarda la semplificazione, ma una serie di deregulation senza precedenti dichiara nel merito Audrey Changoe di Can Europe – che annulla le leggi sul clima e sulla responsabilità aziendale e annulla i progressi duramente conquistati nell'ambito del Green deal europeo. È profondamente preoccupante che la Commissione si stia piegando alle pressioni della lobby delle grandi aziende, dando carta bianca ai giganti dei combustibili fossili».

Si tratta di un posizionamento in linea con quello della rete delle associazioni ambientaliste europee rappresentata dall’Eeb, secondo la quale «il pacchetto normativo non fa deragliare il Green deal» ma ne indebolisce l'approccio olistico: «I decisori politici dell'Ue sembrano sempre più distaccati dalla triplice crisi planetaria che stiamo affrontando. Il cosiddetto accordo per l'industria "pulita" si concentra sulla decarbonizzazione ma trascura l'inquinamento più ampio e la responsabilità ambientale, non riuscendo a mostrare come l'Ue possa dare il buon esempio. Nel frattempo, le industrie dipendenti dai combustibili fossili che hanno resistito al cambiamento per decenni si sono assicurate un posto in prima fila nel dare forma a questo accordo. È allarmante che la Commissione affermi che l'accordo è "direttamente adattato" alle "esigenze" delineate nella Dichiarazione di Anversa, un manifesto scritto da inquinatori, per inquinatori. L'industria dell'Ue è molto più di semplici settori ad alta intensità energetica, eppure i suoi interessi vengono messi in primo piano». La conferma arriva anche da Frassoni, che nota come von der Leyen oggi sia andata subito a presentare il Clean industrial deal di fronte a 450 industriali che hanno sottoscritto l'anno scorso la cosiddetta Dichiarazione di Anversa, per dire che ha rispettato praticamente tutte le loro richieste.

A chiude il cerchio con maggior equilibrio arrivano le osservazioni del think tank climatico Ecco, con la sua Senior policy advisor politiche europee – Marta Lovisolo – a spiegare: «Secondo Bruxelles, la competitività delle imprese si raggiunge attraverso investimenti nelle tecnologie della transizione, ovvero rinnovabili ed efficienza energetica. Attraverso il Clean industrial deal, l’Europa offre agli Stati membri gli strumenti per garantire che la convenienza economica delle rinnovabili possa essere colta dai consumatori finali. Adesso sta agli Stati, e quindi anche all’Italia, tradurre queste indicazioni in politiche nazionali, in particolare per quanto riguarda le componenti fiscali e parafiscali del prezzo dell’elettricità, che oggi, rendono la bolletta elettrica una delle più care in Europa. Il Clean industrial deal rappresenta un’opportunità strategica per rafforzare la competitività dell’industria europea, offrendo certezza sugli investimenti e accelerando la transizione verso un'economia sostenibile. Tuttavia, è essenziale mantenere un quadro normativo stabile e trasparente per garantire la realizzazione degli obiettivi climatici ed economici dell'Europa».

Ma per quest’ultimo punto, anche Ecco rende esplicite le ampie preoccupazioni catalizzate dalla presentazione del pacchetto Omnibus, che intende semplificare le normative su Csrd (Corporate sustainability reporting directive), Csddd (Corporate sustainability due diligence directive) e tassonomia, riducendone lo scopo e sollevando dubbi sulla trasparenza sugli investimenti per la transizione ecologica e riducendo la responsabilità delle aziende nei confronti delle normative climatiche. «L’innalzamento delle soglie per la reportistica di sostenibilità e il rinvio dell’applicazione di Csrd e Csddd sono elementi che aumentano l’incertezza per imprese e investitori, soprattutto – concludono da Ecco – per coloro che si erano già attivati per rispondere alle normative».

Redazione Greenreport

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