La bussola per la competitività europea punta ancora verso la decarbonizzazione
È possibile unire la strada della decarbonizzazione a quella della competitività economica? Prima di declinare la domanda al futuro, per rispondere basta dare un’occhiata al passato: dal 1990 alla fine del 2023 le emissioni di gas serra Ue sono diminuite del 36%, mentre il Pil procapite è cresciuto del 57% (mentre in Italia i dati sono rispettivamente -27% e +23%).
Al contempo, è però innegabile che adesso il gap di competitività tra il Vecchio continente e gli altri competitor globali – a partire da Usa e Cina – stia adesso ampliando, e occorre investire in una maggiore autonomia strategica. Ancora una volta, la decarbonizzazione sembra la strada scelta dall’Ue in modo da coniugare sviluppo e sostenibilità: la prima prova per la nuova Commissione Ue a guida Ursula von der Leyen – che nel merito ha già espresso parole di grande chiarezza al World economic forum di Davos – è attesa per questa settimana, quando dovrebbe essere presentata la comunicazione Una bussola per la competitività dell’Ue (che greenreport è in grado di anticipare in bozza, in coda all’articolo).
Dal testo emerge quanto sia essenziale per l’Ue garantire prosperità sostenibile e competitività, preservando la sua economia sociale di mercato unica, completando la doppia transizione verde e digitale, e salvaguardando così la sua sovranità, sicurezza economica e influenza globale.
«L'Europa – si legge nella comunicazione – ha definito un quadro ambizioso per diventare un'economia decarbonizzata entro il 2050. Deve mantenere il percorso verso i suoi obiettivi, inclusi quelli fissati per il 2040, poiché ciò offre certezza e prevedibilità sia alle aziende che agli investitori. Inoltre, come evidenziato dal rapporto Draghi, le politiche di decarbonizzazione rappresentano un potente motore di crescita quando sono ben integrate con le politiche industriali, della concorrenza, economiche e commerciali».
Per quanto riguarda in particolare il fronte energetico, la comunicazione parte dal riconoscere che i prezzi dell'energia sono molto più alti rispetto a quelli delle regioni concorrenti: «L'Europa dipende dalle importazioni di combustibili fossili per quasi due terzi della sua energia. Questa dipendenza può cambiare solo nel tempo, man mano che una quota maggiore di energia viene prodotta da fonti decarbonizzate in Europa. Pertanto, l'Ue deve accelerare la transizione verso l'energia pulita e promuovere l'elettrificazione. Tuttavia – aggiunge la Commissione – alcune delle componenti dei costi energetici sono determinate dal quadro normativo sulle tariffe di rete e sulla tassazione o da lacune nell'integrazione dei mercati energetici, e possono essere mitigate nel breve termine».
Da qui la proposta di articolare un Piano d'azione per l'energia accessibile (Affordable energy action plan), attraverso una serie di misure volte a garantire che famiglie e clienti industriali abbiano un accesso diretto più ampio all'elettricità a basso costo; al contempo, l’Europa deve investire maggiormente nella modernizzazione e nell’espansione della sua rete di infrastrutture per il trasporto e la distribuzione di energia, da qui la volontà di accelerare il lavoro già avviato con il Grids action plan.
«Per proteggere e promuovere le tecnologie pulite e la manifattura decarbonizzata nell'Ue – continua la comunicazione – il Clean industrial deal e le sue misure attuative mobiliteranno in modo coordinato diversi strumenti di politica, dalle facilitazioni per le autorizzazioni e i permessi, agli incentivi di politica industriale, dalle regole riformate sugli appalti pubblici agli strumenti di difesa commerciale, fino ai partenariati internazionali nell'ambito del Global gateway per ampliare l'accesso ai mercati».
Ma la strada per la sostenibilità e la competitività non passa solo dall’energia. Per questo nella comunicazione si delinea inoltre la volontà di predisporre un Circular economy act – compresi requisiti di eco-design per gruppi di prodotti – che possa valorizzare l’economia circolare: «Si stima che il potenziale del mercato europeo della rigenerazione circolare possa crescere dal suo valore attuale di 31 miliardi di euro a 100 miliardi entro il 2030, creando 500.000 nuovi posti di lavoro», osserva la Commissione Ue.
Barra a dritta verso lo sviluppo sostenibile, dunque? In realtà, molto dipenderà da quanto la Commissione a guida Ursula riuscirà a tenere a freno gli sbandamenti a destra il gruppo del Ppe, ovvero il partito popolare di cui è espressione. All’interno della comunicazione in bozza, la Commissione pone un forte accento sulla volontà di deregolamentare e semplificare, ritenendo che per due aziende su tre il carico normativo rappresenta il principale ostacolo agli investimenti a lungo termine. Per questo s’impegna a ridurre del 25% gli obblighi di reporting per le imprese e del 35% per le Pmi, oltre a evidenziare una più ampia ambizione verso uno sforzo straordinario per ridurre la burocrazia.
La complessità degli iter autorizzativi e burocratici rappresenta un’esigenza reale anche per sostenere l’avanzata dell’economia verde – si pensi agli 8-10 anni che passano dalla presentazione di un progetto rinnovabile alla sua (eventuale) messa a terra –, ma sarà il clima politico a decidere di buttare via o meno il proverbiale bambino insieme all’acqua sporca. Basti osservare il fronte politico aperto proprio dal Ppe per provare a frenare le politiche europee sul clima, o quello impostato dalla Francia per provare a rinviare le direttive Csddd e Csrd. Insomma, dietro la volontà dichiarata di puntare la bussola della competitività verso la stella polare dello sviluppo sostenibile, il concreto rischio è che possano nascondersi passi indietro proprio su questo fronte; occorrerà vigilare con attenzione, perché in tal caso la prima vittima sarà proprio la competitività del Vecchio continente.