Was report, cresce l’economia dei rifiuti ma restano criticità sul fronte degli impianti
L’ormai tradizionale appuntamento del think tank Althesys sullo stato dell’arte della gestione rifiuti in Italia – il Was annuale report, giunto quest’anno all’11esima edizione – traccia un quadro di crescita economica per il settore a livello nazionale, oggi molto diverso rispetto all’inizio dei monitoraggi un decennio fa, ma con ancora acute criticità sul fronte degli impianti di gestione.
Il report guarda a entrami i grandi comparti in cui si dividono i rifiuti che generiamo ogni giorno, ovvero gli urbani (29,1 mln t/a che arrivano dalle nostre case) e gli speciali (161,4 mln t/a, provenienti da attività produttive, commerciali, sanitarie, etc). Due mondi che si toccano sempre da più vicino, anche perché i rifiuti urbani una volta passati da una fase di trattamento si trasformano in speciali.
Nel 2023 il valore della produzione dei principali 120 operatori, attivi nella raccolta, trattamento o smaltimento dei rifiuti urbani raggiunge gli 11,8 miliardi di euro, in aumento del 3,8% rispetto all’anno precedente. Le aziende della raccolta hanno gestito 22 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, in linea con l’anno precedente (+0,1%). Nel settore operano numerose piccole-medie aziende e pochi grandi gruppi, col 92% del valore della produzione, pari a 10,9 miliardi di euro, si deve ai 110 operatori della raccolta e trattamento che hanno servito più di 46 milioni di abitanti, equivalenti al 78% circa della popolazione.
Gli investimenti dei maggiori 120 operatori nel 2023 raggiungono gli 1,1 miliardi di euro, in aumento dell’8,6% rispetto all’anno precedente. La componente principale, che incide per il 55%, è data dalle risorse destinate agli impianti, pur in calo rispetto al 57% segnato nel 2022. Gli operatori metropolitani segnano il maggior aumento degli investimenti rispetto all’anno precedente (+75,2%). Seguono gli operatori privati (+45,5%) e le piccole-medie multiutility (+38,5%), mentre le grandi multiutility sono le sole a vedere un calo (-7%) pur garantendo la metà degli investimenti totali, il 52,6%. L’area più interessata è quella del Nord, ma gli investimenti sono quasi raddoppiati sia al Centro che al Sud.
Nel corso del decennio, come già accennato tra i principali cambiamenti si nota la convergenza tra il settore dei rifiuti urbani e quello dei rifiuti speciali. Le principali 59 aziende specializzate nella raccolta e trattamento dei rifiuti speciali registrano un giro d’affari di 4,7 miliardi di euro (+12%). In generale, aumentano gli investimenti (+24%), con l’industria interessata da varie partnership e acquisizioni. Le iniziative che hanno interessato il comparto sono state molteplici, spaziando dalle diverse tipologie di plastiche, ai materiali compositi, dalla produzione di energia e biometano da scarti agroalimentari, sottoprodotti e reflui zootecnici alla produzione di combustibile solido secondario (Css). I player mappati vedono una forte concentrazione nel Nord, dove opera ben il 52%, contro il 29% del Sud e Isole e il 19% del Centro Italia. L’industria dei rifiuti speciali è comunque composta per lo più da piccoli e medi operatori diversificati e piccole imprese specializzate, che incidono insieme per l’83% del totale.
«Il rapporto – commenta Alessandro Marangoni, a capo del think tank di ricerca Althesys – delinea un settore del waste management in crescita i cui mutamenti in atto stanno ridefinendo le strategie delle aziende, attirando l’interesse di sempre più numerosi player da altri settori e facendo sorgere nuove alleanze per condividere risorse e know-how. Dalla prima edizione del report, che analizzava i dati per il triennio 2011-2013, fino all’edizione di oggi, sono emersi diversi elementi di mutamento, ma permangono anche criticità non ancora risolte, come quelle relative alla situazione impiantistica».
Anche il Pnrr sta incidendo solo in parte: il parco impianti per trattare e per smaltire i rifiuti continua, infatti, a vedere «disparità territoriali, con alcune in situazioni di sovraccapacità e altre ancora carenti».
È il caso, ad esempio, degli scenari al 2035 per la frazione organica, con «un’abbondante sovraccapacità in certe aree e altre ancora inadeguate, soprattutto in alcune zone del Centro e del Sud Italia». Sono 28 i progetti ammessi a finanziamento nella Linea 1.1 B del Pnrr. Nuove sfide si affacciano per i prossimi anni tra cui, per esempio, quella della gestione dei pannelli fotovoltaici a fine vita: oggi esistono almeno 15 impianti attivi in Italia, ma ne serviranno molti di più. Il tessile è un altro settore in cui l’Epr sta muovendo i primi passi: in attesa del decreto che lo regolerà sono sorti o sono in avvio diversi textile hub, alcuni finanziati dal Pnrr.
Sullo sfondo resta la strutturale carenza d’impianti di prossimità per gestire gli scarti dell’economia circolare – i cosiddetti rifiuti da rifiuti e da depurazione –, che ammontano a 42 mln t/a e sono la frazione di rifiuti più esportata dall’Italia, con l’export a segnare +24% nel 2022 in base agli ultimi dati Ispra.