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La transizione va avanti senza di noi? L’Italia non ha un Pniec adeguato

Alla Camera la denuncia in sei punti chiave di Greenpeace, Kyoto club, Legambiente, T&E e Wwf: chiedono al Governo Meloni un intervento immediato
 |  Green economy

Ancora una volta le principali associazioni ambientaliste del Paese – Greenpeace, Kyoto club, Legambiente, Transport&Environment e Wwf – hanno assunto oggi una posizione unitaria, portata all’attenzione del Parlamento grazie a un intervento presso la sala stampa della Camera dei deputati, per sottolineare l’inadeguatezza del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, aggiornato quest’estate dal Governo Meloni, in quanto «si rivela una volta di più poco ambizioso e incoerente con gli obiettivi dell'Unione europea». Un Piano che continua a sostenere i combustibili fossili, a promuovere false soluzioni come gas e nucleare, e a ignorare le opportunità di una transizione ecologica reale.

Un percorso di decarbonizzazione che potrebbe essere fonte di sviluppo, come emerso anche dal recente rapporto Draghi sulla competitività, e che invece rischia di trasformarsi nell’ennesimo treno che l’Italia si lascia passare sotto al naso.  Uno scherzo che potrebbe inoltre contribuire a un costo da 15 miliardi di euro per l’Italia: il prezzo per comprare sul mercato Eu Ets i crediti di CO2 necessari a compensare il mancato taglio delle emissioni previsto per rispettare il regolamento europeo Esr (Effort sharing regulation).

«Il Pniec aggiornato – spiegano le associazioni ambientaliste – rappresenta una grave occasione mancata per l’Italia di posizionarsi come leader nella lotta alla crisi climatica e nella transizione verso un’economia verde e sostenibile. Le scelte di continuare a sostenere i combustibili fossili, ritardare l’espansione delle energie rinnovabili e ignorare le problematiche sociali legate alla povertà energetica rischiano di compromettere non solo il futuro ambientale del Paese, ma anche la sua capacità di garantire una transizione equa per tutti i cittadini».

Per questo le cinque associazioni chiedono «un impegno immediato» da parte del Governo italiano per rivedere il Pniec, riallineandolo agli obiettivi climatici e alla necessità di rilancio duraturo dell’economia decarbonizzata. E nel frattempo ne denunciano le lacune in sei punti principali, che riportiamo di seguito:

Partecipazione insufficiente: nonostante numerosi appelli, il percorso di aggiornamento del Pniec mostra evidenti mancanze nel coinvolgimento della società civile e delle associazioni ambientaliste. Le consultazioni sono state limitate e a senso unico, senza un vero confronto su soluzioni alternative. Questo rappresenta una violazione dell’Articolo 10 del Regolamento sulla governance, che prescrive una partecipazione pubblica tempestiva ed efficace, e dell’Articolo 11, che richiede l’istituzione di dialoghi multilivello sul clima e l’energia. Il Pniec, inoltre, è stato adottato senza che la Valutazione ambientale strategica (Vas) avviata sia stata completata: a oggi, ottobre 2024, il necessario Rapporto ambientale è ancora in sospeso. 

Combustibili fossili e sussidi: il Pniec continua a sostenere i combustibili fossili, nonostante le indicazioni della Commissione europea che sollecitano l’eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili e una chiara roadmap per il loro phase out. Al contrario, il piano continua a promuovere nuove infrastrutture fossili, come i terminali di Gnl, nonostante la domanda di gas sia destinata a diminuire significativamente nei prossimi anni. False soluzioni come la cattura e stoccaggio della CO2 (Ccs) e la prospettiva inverosimile di costruire centinaia di piccole centrali nucleari (mentre resta irrisolto il nodo del "deposito unico nucleare") sembrano puntare invece a mantenere alti i consumi di gas nel Paese. Investire in queste infrastrutture espone l’Italia al rischio di stranded assets (investimenti in fonti fossili destinati a perdere valore a causa della transizione verso l'energia pulita e delle normative climatiche), il cui costo verrà sopportato dai contribuenti. 

Mancanza di ambizione nella riduzione delle emissioni: il Pniec non riesce a colmare il divario tra le attuali politiche e gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra previsti dal Regolamento effort sharing (Esr) e dal Regolamento Lulucf. La Commissione ha raccomandato ulteriori misure in settori chiave come trasporti, edifici e agricoltura, ma il Pniec prevede solo una riduzione del 40,6% delle emissioni, ben al di sotto dell’obiettivo del 43,7%. Inoltre, il piano fa affidamento su tecnologie come energia nucleare e cattura del carbonio (Ccs) che, tra l’altro, non sono realisticamente praticabili entro il 2030 e oltre e rischiano di disperdere in maniera irreparabile le risorse per la transizione. 

Fonti rinnovabili e autorizzazioni: nonostante l’aggiornamento dei target sulle energie rinnovabili, il Pniec manca di una roadmap credibile per il 2030 e oltre. Gli obiettivi fissati per il 2030 (39,4% del consumo finale da rinnovabili) sono inferiori a quelli necessari per puntare all’obiettivo 100% rinnovabili al 2035. Secondo il recente rapporto Ecco e Althesys, l'Italia potrebbe raggiungere il 100% di energia rinnovabile entro il 2035, ma solo aumentando significativamente la capacità di installazione annuale, un aspetto che il Pniec non considera adeguatamente. Inoltre, i processi di autorizzazione, ulteriormente complicati dai recenti interventi normativi,costituiscono sempre di più un ostacolo per il rapido sviluppo di energia rinnovabile. 

Povertà energetica: il Pniec non risponde in maniera adeguata alla questione della povertà energetica. Sebbene faccia riferimento a misure esistenti come i bonus sociali, queste restano insufficienti e non affrontano le cause strutturali della povertà energetica, lasciando oltre 4 milioni di famiglie in condizioni di precarietà. Con un budget limitato di 200 milioni di euro in due anni, il piano attuale coprirebbe solo 40.000 famiglie, richiedendo oltre 200 anni per raggiungere tutte le famiglie bisognose. 

Trasporti: entro il 2030, quasi due terzi dell’energia “rinnovabile” totale nei trasporti dovrà essere fornita dalle bioenergie. Ma un impiego così massiccio di biocarburanti espone l’Italia alla dipendenza dall’import di materie prime (che già oggi garantisce il 94% dei feedstock) e a probabili frodi lungo le catene di approvvigionamento. Il forte ricorso ai biofuels risulta particolarmente negativo in specie nel trasporto stradale, dove l’elettrificazione è la soluzione più matura e meno emissiva, con la quale ridurre contestualmente la domanda di energia primaria e l’inquinamento atmosferico. Inoltre, il Pniec italiano assegna un ruolo chiave ai carburanti sintetici, ma pianifica di "sprecarli", per oltre il 90%, per la mobilità su strada e rotaia, quando il loro uso andrebbe destinato all’aviazione e al trasporto marittimo, settori molto più difficili da elettrificare. 

Redazione Greenreport

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