Materie prime critiche, oggi in Italia nessun minerale metallifero estratto ma grandi potenzialità
Le cosiddette materie prime critiche sono fondamentali per vincere la sfida della transizione verde. Minerali come il litio, il cobalto, il nichel, il rame e le altre cosiddette terre rare che, come ha recentemente evidenziato anche la Banca centrale europea, giocheranno nei prossimi anni un ruolo sempre maggiore nella corsa a garantire i fabbisogni produttivi ed energetici. Il problema è che l’Europa parte da una situazione di svantaggio, in questo settore, rispetto a Stati Uniti e soprattutto Cina. E l’Italia, all’interno dei paesi comunitari, parte da una situazione non facile, perché dentro i nostri confini non viene estratto alcun minerale metallifero. Guardando al bicchiere mezzo pieno, invece, c’è da dire che recenti indagini segnalano che le potenzialità non mancano e che, se i lavori di ammodernamento andranno come programmato, a breve nel nostro paese ci saranno delle vere e proprie eccellenze a livello europeo, come la miniera di fluorite di Genna Tres Montis, in Sardegna.
A fornire un quadro dettagliato su scala nazionale è l’Ispra, che questa mattina a Roma ha presentato il database GeMMA (Geologico, Minerario, Museale e Ambientale) alla presenza del vice ministro Vannia Gava. La Banca dati, aggiornata nell’ambito del progetto PNRR GeoSciencesIR, rappresenta, il punto di partenza per l’elaborazione del programma minerario nazionale, imposto dal Regolamento EU 1252/2024 (Critical Raw Materials Act) e affidato all’ISPRA con il DL 84/2024.
Dai dati ufficiali comunicati risulta che in totale sono 76 le miniere ancora attive in Italia, 22 relative a materiali che rientrano nell’elenco delle 34 Materie Prime Critiche dell’UE. In 20 di queste, si estrae feldspato, minerale essenziale per l’industria ceramica e in 2 la fluorite (nei comuni di Bracciano e Silius), che ha un largo uso nell’industria dell’acciaio, dell’alluminio, del vetro, dell’elettronica e della refrigerazione. In particolare, la miniera di fluorite di Genna Tres Montis (Sud Sardegna), che rientrerà in piena produzione al termine dei lavori di ristrutturazione, rappresenterà una delle più importanti d’Europa. Delle altre 91 miniere di fluorite attive in passato, alcune molto importanti - da rivalutare con i prezzi attuali quadruplicati rispetto al 1990 - sono localizzate nel bergamasco, nel bresciano ed in trentino, oltre a quelle sarde e laziali.
Feldspato e fluorite, dunque, sono ad oggi le uniche materie prime critiche lavorate in Italia. Ma i permessi di ricerca in corso, i dati sulle miniere attive in passato e quelli sulle ricerche pregresse e recenti, documentano la potenziale presenza di varie materie prime critiche e strategiche come il litio, scoperto in quantitativi importanti nei fluidi geotermici tosco-laziali-campani e come diversi altri minerali da cui si producono metalli indispensabili per il modello di sviluppo decarbonizzato, la green tech, la transizione digitale e la indipendenza da paesi terzi. Sull’estrazione del litio da geotermia, tra l’altro, il ministro Pichetto Fratin il mese scorso ha annunciato un programma ad hoc.
Sempre stando ai dati raccolti ed elaborati da Ispra, l’estrazione di minerali metalliferi, che rappresentano la maggior parte dei materiali critici, ha interessato circa 900 siti ma è attualmente inesistente. In Italia non vengono, per ora, estratti Critical Raw Materials metallici e per la loro fornitura il nostro paese è totalmente dipendente dai mercati esteri. Alla luce delle nuove tecniche di esplorazione e dell’andamento dei prezzi di mercato, molti dei depositi conosciuti andrebbero rivalutati.
Depositi di rame, minerale essenziale per tutte le moderne tecnologie, sono già noti nelle colline metallifere, nell’Appennino ligure-emiliano, nelle Alpi occidentali, Trentino, Carnia ed in Sardegna. In diversi siti è stato estratto manganese soprattutto in Liguria e Toscana. Il tungsteno è documentato soprattutto in Calabria, nel cosentino e nel reggino, nella Sardegna orientale e settentrionale e nelle alpi centro-orientali, spesso associato a piombo-zinco. Il cobalto è documentato in Sardegna e Piemonte, dove il deposito di Punta Corna è ritenuto di strategica importanza europea, la magnesite in Toscana e i sali magnesiaci nelle Prealpi venete.
L’accertato giacimento di titanio nel savonese è questione ben nota, così come le problematiche ambientali che ne precludono l’estrazione a cielo aperto. Le bauxiti, principale minerale per l’estrazione di alluminio, sono invece localizzate in quantitativi modesti in appennino centrale ma più consistenti in Puglia e soprattutto nella Nurra (SS), dove la miniera di Olmedo, ultima miniera metallifera ad essere chiusa in Italia, è ancora mantenuta in buone condizioni. Le bauxiti di Olmedo, come le altre bauxiti, contengono possibili quantitativi sfruttabili di terre rare, che sono sicuramente contenute all’interno di buona parte dei depositi di fluorite, come nel caso di Genna Tres Montis.
Possibili depositi di celestina, principale minerale dello stronzio, materiale critico dai molteplici usi, sono documentati nelle solfare siciliane, soprattutto del nisseno. La presenza di litio è nota nelle pegmatiti dell’Isola d’Elba, del Giglio e di Vipiteno, ma è la recente scoperta di importanti quantitativi di litio nei fluidi geotermici tosco-laziali-campani a rivestire un’ottima opportunità di estrazione a basso impatto ambientale. Sette permessi di ricerca sono stati rilasciati dalla Regione Lazio ed inseriti nel database, insieme agli altri attualmente vigenti.
Tra i materiali critici non metalliferi, depositi significativi di barite, importante minerale per l’industria cartaria, chimica e meccanica, sono localizzati nel bergamasco, nel bresciano ed in Trentino. Di fondamentale interesse per la nuova tecnologia sono i depositi di grafite, precedentemente estratti per coloranti, lubrificanti e per la fabbricazione delle matite. I depositi noti sono localizzati nel torinese (attualmente interessati da due permessi di ricerca), nel savonese e nella Sila.
A livello mondiale sta tra l’altro crescendo l’interesse della lavorazione degli scarti minerari come fonte di materie prime. In Italia, dove già diversi progetti sono in campo, le pregresse attività minerarie hanno lasciato un’eredità di circa 150 milioni di mc di scarti di lavorazione (rifiuti estrattivi), che si trovano in strutture di deposito spesso fatiscenti e che rappresentano un serio problema ambientale, con inquinamento diffuso delle acque superficiali/sotterranee e dei suoli da metalli pesanti, cioè gli stessi che potrebbero essere recuperati. Secondo quanto evidenziato da Ispra, è necessario un cambio di paradigma: da rifiuti inquinanti da bonificare, a potenziale risorsa da recuperare.
Il regolamento Ue, sottolinea l’Isituto, riapre, sia pur con grande ritardo rispetto alle grandi economie minerarie mondiali, il tema dell’estrazione mineraria e delle problematiche sociali ed ambientali. Nell’ottica del rilancio della politica mineraria nazionale, conclude Ispra presentando i dati raccolti ed elaborati, occorre puntare su formazione e ricerca di base nel settore minerario, coinvolgendo oltre agli enti di ricerca, la comunità scientifica, le università e le scuole professionali.