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Wwf: stop all’arrembaggio dei fondali marini. Urgente una moratoria per le miniere sottomarine

Le possibili soluzioni per ridurre del 58% la domanda di materie critiche per la green economy
 |  Green economy

In concomitanza della 29esima sessione dell’Assemblea e del Consiglio dell’International Seabed Authority (ISA) in corso a a Kingston, in Jamaica, e che si concluderà il 2 agosto, il Wwf lancia un allarme sui possibili impatti delle miniere sottomarine: «E’ la nuova corsa all’oro: quella per accaparrarsi i minerali nascosti negli abissi oceanici come cobalto, litio, nichel, tutte materie necessarie a produrre apparecchiature elettriche. Purtroppo gli impatti irreversibili di questa nuova frontiera dell’estrazione mineraria – il Deep Sea Mining – vengono segnalati anche da scienziati e economisti che prevedono conseguenze di vasta portata per clima, biodiversità e per le industrie e le comunità che dipendono da un oceano sano. I benefici commerciali di questo tipo di sfruttamento delle risorse sono, infatti, limitati a poche aziende, mentre i rischi e gli impatti profondi sono a carico di una società più ampia e del pianeta in generale».
La maggior parte dei fondali marini profondi non rientra nella giurisdizione dei governi nazionali. L’ United Nations Convention on the Law of the Sea (UNCLOS) definisce le profondità marine e le loro risorse come patrimonio comune dell'umanità. Le operazioni di estrazione dai fondali profondi nelle aree al di fuori della giurisdizione nazionale sono regolate dall'(ISA) che è sia responsabile della concessione di licenze per il Deep Sea Mining che della protezione degli oceani dal suo impatto. Il Wwf ricorda che «Sebbene l'estrazione commerciale non sia ancora iniziata, l'ISA ha attualmente rilasciato licenze di esplorazione che si estendono su circa 1,3 milioni di chilometri quadrati di fondali marini profondi creando il potenziale di operazioni minerarie più grande che esista. Quando l'ISA inizierà a emettere contratti per lo sfruttamento commerciale, sarà quasi impossibile invertire la rotta verso le estrazioni. L’ISA è responsabile della stesura di standard e regolamenti sulla gestione e sul finanziamento del monitoraggio e della salvaguardia ambientale. Tuttavia, il monitoraggio e la supervisione delle operazioni offshore in acque profonde sono estremamente costosi: un solo giorno di ricerca in mare aperto può costare fino a 80.000 dollari. L'ISA stabilisce anche un meccanismo di condivisione dei benefici che ridistribuisca una parte dei profitti finanziari derivanti dall'estrazione dai fondali marini profondi a progetti per il bene globale. Sebbene le intenzioni possano essere buone, la presenza di un'unica istituzione incaricata di regolamentare l'attività estrattiva nei fondali marini profondi e allo stesso tempo interessata ai suoi benefici finanziari presenta un possibile conflitto di interessi. In un momento così cruciale dell'Autorità e in una situazione in cui l'umanità si trova ad affrontare una triplice crisi planetaria, è di estrema importanza che la leadership dell'ISA sia guidata dai principi di inclusività, trasparenza e precauzione che mettano la protezione ambientale e l’inclusione dei portatori di interesse al centro delle proprie pratiche».
I fondali marini profondi sono l'ultima frontiera del nostro pianeta. Coprono circa la metà della superficie terrestre e sono in gran parte sconosciuti e inesplorati. Le ultime tecnologie ed esplorazioni in realtà stanno mostrando che i fondali marini sono brulicanti di vita ed esercitano una grande influenza sull'intero ecosistema oceanico e sul nostro clima. Sono circa 1.000 le specie scoperte in un'area di 30 km2 di piana abissale destinata al Deep Sea Mining. Il 90% delle specie animali delle profondità oceaniche studiate di recente sono nuove per la scienza. Nel 2020 Sir David Attenborough, aveva lanciato un allarme: «La fretta di estrarre da questo ambiente incontaminato e inesplorato rischia di creare impatti terribili non reversibili. Dobbiamo farci guidare dalla scienza quando ci troviamo di fronte a decisioni di così grande impatto sull'ambiente».
Nel suo report il Wwf descrive un lungo elenco dei rischi che comprendono «La distruzione di habitat e la perdita di biodiversità, il rilascio di sostanze chimiche tossiche, prodotti di scarto e pennacchi di sedimenti, l’inquinamento acustico che colpisce balene, delfini, tartarughe marine e pesci, la compromissione delle scoperte e degli sviluppi scientifici futuri e l’interruzione dei mezzi di sussistenza e delle fonti alimentari a causa dell'impatto sulla pesca. Poiché gli ecosistemi marini non hanno confini fisici evidenti, l'estrazione dai fondali marini profondi non può avvenire in modo isolato e i suoi impatti non si limitano al fondo dell'oceano. Le perturbazioni possono facilmente attraversare barriere ecologiche e giurisdizionali, portando a conseguenze inaspettate e non quantificabili, anche sulla terraferma».
Il Wwf ricorda che «L'oceano profondo è uno dei più grandi serbatoi di carbonio al mondo. Si teme che l'estrazione mineraria in profondità possa peggiorare il cambiamento climatico, liberando il carbonio immagazzinato nei sedimenti o interrompendo i processi che aiutano a trasportarlo e immagazzinarlo. Alcuni studi hanno dimostrato che, anche dopo un'estrazione sperimentale su piccola scala, il ciclo del carbonio nelle profondità marine non si è ripreso dopo 26 anni. La perdita di produzione primaria legata ai danni per l’ecosistema potrebbe influire sulla pesca globale, minacciando la principale fonte di proteine di circa 1 miliardo di persone e il sostentamento di circa 200 milioni di persone, molte delle quali vivono in comunità costiere povere. Se da un lato l'estrazione dai fondali marini profondi a livello industriale è stata valutata tra i 2 e i 20 miliardi di dollari, il rovescio della medaglia è rappresentato dal rischio di sconvolgere un'economia oceanica molto più ampia, valutata circa 1,5-2,4 miliardi di dollari annui».
Il summit dei Paesi dell’ISA, l’Italia compresa, discute se il Deep Sea Mining può essere autorizzato in acque internazionali. Il Wwf, insieme alla The Deep Sea Conservation Coalition (DSCC) che riunisce più di 100 ONG, chiede «Un intervento urgente da parte della comunità internazionale per proteggere i fondali profondi attraverso una moratoria globale su tutte le attività di estrazione dai fondali marini profondi» e pubblica un report che contiene “La Mappa dell’arrembaggio alle miniere degli abissi” nella quale il piccolissimo Mediterraneo sembra destinato a svolgere un ruolo marginale riguardante i solfuri massivi, anche se il Deep Sea Mining potrebbe colpire praticamente ogni angolo degli oceani.
La richiesta di una moratoria globale (o di un approccio precauzionale o divieto completo) è già supportata da 27 Paesi, più di 800 scienziati di 44 paesi , 49 aziende e istituti finanziari e il Wwf chiede che preveda che «Queste estrazioni non siano autorizzate almeno fino a quando non saranno compresi i rischi ambientali, sociali ed economici, fino a quando questa attività non potrà essere gestita con la garanzia dell'effettiva protezione dell'ambiente marino e senza che si perda altra biodiversità e non saranno state esplorate tutte le alternative possibili rispetto ai minerali di profondità. A quel punto sarà necessaria un'adeguata regolamentazione per proteggere l'ambiente marino e il benessere umano».
Il Panda sottolinea che «Il Governo italiano in questa occasione internazionale potrebbe giocare un ruolo chiave, unendosi formalmente al crescente appello per una moratoria globale sull'estrazione dai fondali marini profondi, assicurandosi che non venga adottato un regolamento sull'estrazione mineraria, ancora prematuro poiché non si può gestire ciò che non si può misurare, e che non venga approvata alcuna licenza o piano di lavoro per l'estrazione mineraria. L’associazione si augura inoltre che l’Italia richieda una revisione della governance dell’ISA, a lungo dovuta, affinché questo organo decisionale risponda ai criteri di trasparenza, inclusività e rispetto dell’ambiente».
Secondo un recente rapporto dell'Institute for Sustainable Futures, «La transizione verso una fornitura di energia al 100% rinnovabile, spesso conosciuta come "rivoluzione energetica", può avvenire anche senza l’estrazione dai fondali marini profondi». Per ilò Wwf «Esistono già delle soluzioni alternative come, ad esempio, combinare tra loro innovazione, riciclo e riparazione che possono soddisfare il bisogno da parte delle industrie di materie prime senza dover estrarre nuovi minerali dagli oceani. A guidare questa ‘transizione sostenibile’ sono gli Obiettivi Onu di Sviluppo Sostenibile 14 (Conservare e utilizzare in modo sostenibile le risorse marine) e 12 (Consumo e produzione responsabili), con cui l’estrazione dai fondali marini è in aperto contrasto. Le aziende possono approvvigionarsi di materiali con metodi di estrazione meno distruttivi e investire in innovazione, riciclo e riparabilità mentre gli stessi consumatori possono riciclare i loro vecchi telefoni, ridurre i consumi e informarsi sulla provenienza dei materiali».
Il report “The Future is Circular” pubblicato dal Wwf nel 2022, indica che «A fronte di una domanda complessiva di minerali nell’ordine di 690 Mt dal 2022 al 2050 in uno scenario “business as usual”, è possibile ridurre la domanda del 58% con la seguente suddivisione: il 30% di questa domanda potrebbe essere soddisfatta da scelte tecnologiche che puntino, ad esempio, ad utilizzare meno minerali critici nelle batterie e motori, il 18% potrebbe essere soddisfatto da un sistema di economia circolare mentre il 10% potrebbe provenire dal riciclo. I minerali di cui abbiamo bisogno sono tutti intorno a noi. Dobbiamo solo essere più intelligenti nel recuperarli/riutilizzarli per alimentare il settore delle energie rinnovabili».
Anche le discussioni con gli investitori rivelano che i rischi legati all'estrazione in fondali marini profondi sono considerati da molti troppo grandi per essere un'opzione di investimento credibile. La Banca Europea per gli Investimenti ha escluso l'estrazione dai fondali marini profondi nelle sue politiche e la più recente Sustainable Blue Economy Finance Initiative dell’UNEP afferma che l'estrazione dai fondali marini profondi non fa parte dell'economia blu sostenibile e dovrebbe essere evitata.
La responsabile mare del Wwf Italia, Giulia Prato, conclude: «L'estrazione dai fondali marini profondi avrebbe un impatto distruttivo sugli ecosistemi e sulla biodiversità delle profondità marine, con ripercussioni sulla pesca, sui mezzi di sussistenza, sulla sicurezza alimentare, e potrebbe compromettere i cicli del carbonio e dei nutrienti negli oceani. Inoltre, questa attività è in contrasto con la transizione verso un'economia circolare, compromettendo così gli sforzi già in atto per aumentare il riciclaggio e ridurre l'uso di risorse limitate. Il passaggio a un futuro a basse emissioni di carbonio richiederà grandi cambiamenti strutturali nella nostra economia e nei nostri stili di vita, avremo bisogno dei minerali critici, ma questi sono tutto intorno a noi: prima di tutto occorre pensare a una vera economia circolare, non una corsa allo sfruttamento delle risorse di aree del nostro pianeta precedentemente incontaminate, come i fondali marini profondi».

Redazione Greenreport

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