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Gli altri olii alimentari non sono un’alternativa ambientalmente sostenibile all’olio di palma

Meglio puntare sull’olio di palma certificato come “deforestation-free”
 |  Green economy

L’olio di palma è stato pesantemente criticato per il suo ruolo nella deforestazione delle foreste tropicali primarie, in particolare quelle in Malaysia e Indonesia. Questa deforestazione ha portato a una significativa perdita di biodiversità e all’aumento delle emissioni di gas serra.

Di conseguenza, molti prodotti alimentari sono ora pubblicizzati come “senza olio di palma”, spingendo i produttori a smettere di utilizzare l’olio di palma e aumentare invece la domanda di oli vegetali alternativi.

IL recente studio “Deforestation and greenhouse gas emissions could arise when replacing palm oil with other vegetable oils”, pubblicato su Science of the Total Environment da ricercatori del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatic (CMCC) e del Politecnico di Milano, analizza gli impatti ambientali in scenari in cui il 25%, il 50% e il 100% dell’attuale utilizzo di olio di palma viene sostituito con oli di soia, colza e girasole e il potenziale impatto sui cambiamenti dell’uso del suolo, le perdite nella riserva di carbonio forestale e le conseguenti emissioni di gas serra derivanti dalla sostituzione dell’olio di palma con oli vegetali alternativi.

I ricercatori evidenziano che «Sebbene queste alternative mostrino minori input agricoli ed emissioni per unità di produzione, richiedono più terra». La prima autrice dello studio, Maria Vincenza Chiriacò del CMCC si chiede: «Ma dove troviamo questa terra aggiuntiva? Questa espansione dell’uso del suolo potrebbe portare alla deforestazione in altre regioni, trasferendo il problema anziché risolverlo».  

Infatti, sostituire l’olio di palma con altri oli richiederebbe molta più terra a causa del loro minor rendimento per ettaro. I ricercatori hanno stimato che questo cambiamento potrebbe mettere a rischio tra i 28 e i 52 milioni di ettari di foreste negli 8 principali paesi produttori analizzati: Argentina, Brasile, Canada, Cina, India, Russia, Ucraina, Usa, e fanno notare che «Questa conversione del suolo potrebbe compensare eventuali risparmi sulle emissioni derivanti da minori input agricoli, mantenendo o addirittura aggravando i problemi di deforestazione ed emissioni.

La Chiriacò sottolinea che «La sostituzione di olio di palma con altri oli vegetali potrebbe portare a ulteriori problemi di deforestazione. La nostra ricerca dimostra che la migliore soluzione è utilizzare olio di palma purché sia certificato deforestation-free».

Un’altra delle autrici dello studio, Monia Santini, direttrice dell’Istituto per la Resilienza Climatica (ICR) del CMCC, aggiunge che «Tali certificazioni garantiscono che gli oli siano prodotti su terre che non sono foreste, come terre agricole esistenti o terre marginali già destinate all’agricoltura, o su terre che non sono state recentemente deforestate, minimizzando così il danno ambientale».

Lo studio dimostra che «Se la totalità di olio di palma oggi utilizzato fosse certificato come “deforestation-free”, le emissioni dalla produzione potrebbero diminuire del 92%, scendendo da 372 milioni di tonnellate a circa 29 milioni di tonnellate di CO2eq».

Per valutare l’idoneità del suolo per le colture di oli alternativi a quello di palma, lo studio ha utilizzato dati delle Global Agro-Ecological Zones (GAEZ) della Fao e altri dataset, combinando la Valutazione del Ciclo di Vita (LCA) con le emissioni di Cambiamento d’Uso del Suolo (LUC) per una visione completa della questione. Questo approccio fornisce informazioni sia sulle emissioni derivanti dalle pratiche agricole che sugli impatti della conversione del suolo.

La Chiriacò conclude: «Stiamo lavorando per estendere queste analisi a scenari futuri oltre il 2050, considerando gli impatti del cambiamento climatico e la fattibilità dell’adozione di diete raccomandate dalla Commissione EAT-Lancet per la salute planetaria. In questo modo, potremmo vedere se i cambiamenti previsti dell’uso del suolo sono sostenibili nel lungo termine e come si allineano con le esigenze dietetiche globali, in un mondo con una popolazione in crescita e un clima in cambiamento».

Redazione Greenreport

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