L’innalzamento del mare rischia di sommergere un terzo delle zone umide mediterranee
Le variazioni del livello del mare alimentate dalla crisi climatica, seppur minime – dell’ordine di pochi millimetri l’anno – sono continue e appaiono ad oggi irreversibili. Nel trentennio appena concluso, si sono alzati gran parte dei mari italiani, soprattutto lungo le coste, con valori medi pari a circa +2.4 mm/anno.
Nello scenario peggiore, entro il 2100 nel Mediterraneo si registreranno in media +161 cm. Il bacino del Mediterraneo secondo il sesto rapporto dell’Ipcc, con i suoi 46000 km di coste, è ritenuto un'area particolarmente vulnerabile (hot-spot) ai cambiamenti climatici con conseguenze difficilmente prevedibili in termini sociali, economici e ambientali.
Entro la fine del ventunesimo secolo saranno interessate dall’innalzamento del livello medio del mare, direttamente o indirettamente, milioni di persone. La problematica è particolarmente sentita soprattutto in quei paesi, come l’Italia, in cui le aree potenzialmente interessate dal fenomeno sono fortemente antropizzate.
In questo contesto, cosa succederà alle zone umide? Per rispondere, uno studio appena pubblicato sulla rivista Conservation biology – alla cui redazione ha partecipato un ricercatore Ispra –, ha analizzato 938 zone umide costiere situate in 8 paesi circummediterranei importanti per lo svernamento degli uccelli acquatici.
I risultati non sono incoraggianti, anche e soprattutto per l’Italia, dove ampie aree delle più importanti zone umide rischiano di essere inghiottite dal mare nel giro di pochi decenni.
«I differenti scenari di innalzamento del livello del mare da oggi al 2100 hanno evidenziato che più di un terzo delle zone umide indagate sono esposte al rischio di sommersione, anche secondo gli scenari più ottimistici – sottolinea l’Ispra – Ampi tratti di costa, che ospitano zone umide di importanza internazionale per gli uccelli acquatici ai sensi della Convenzione di Ramsar sono fortemente a rischio, come ad esempio il Golfo del Leone (Camargue) la quasi totalità delle coste tunisine e libiche, le lagune costiere alto-adriatiche (Delta del Po, Laguna di Venezia, lagune di Grado-Marano e Panzano), il Golfo di Cagliari, la costa fra Manfredonia e Margherita di Savoia».
Che fare? Le soluzioni si muovono sempre lungo i soliti due binari: mitigazione (tagliando le emissioni di gas serra dovute ai combustibili fossili) e adattamento dei territori.
Anche i risultati dello studio «sottolineano l’urgenza di lottare contro i cambiamenti climatici e di elaborare strategie di adattamento al processo di innalzamento del mare, per mitigarne l’impatto sulla biodiversità. Priorità dovrebbe essere data – concludono dall’Ispra – a interventi mirati di ripristino o gestione degli habitat, in grado di assecondare le dinamiche naturali degli ambienti costieri (Nature-based Solutions), per prevenire gli effetti deleteri dell’innalzamento dell’acqua e consentire il mantenimento della biodiversità».