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Urge tutelare la vera “agroecologia” per continuare a immaginare alternative di vita

Per preservare integrità e coerenza, è fondamentale contrastare l'abuso del termine, promuovere politiche pubbliche innovative e incoraggiare azioni dal basso
 |  Crisi climatica e adattamento

Ultimamente tutti parlano di agroecologia, ma di quale agroecologia? Con quali obiettivi?

L'agroecologia è innanzitutto un movimento trasformativo capace di rispondere alle crisi ecologiche, sociali ed economiche. I suoi principi sono sempre più minacciati dal rischio di inquinamento da parte di governi, istituzioni e grandi imprese, che spesso ne distorcono il significato originario per piegarlo alle logiche di mercato. Inoltre spesso si usa confondere l'agroecologia con pratiche superficiali di agricoltura ecologica-organica, che si limitano a sostituire input chimici con input organici senza mettere in discussione le logiche di mercato sottostanti. Un approccio, limitato ad una maggiore efficienza e diminuzione di input chimici, che in tale modo porta avanti il modello estrattivo e la dipendenza da risorse esterne, oltre a non riconoscere le asimmetrie di potere che sono alle base della iniquità ed insostenibilità dei sistemi agroalimentari mondiali.

Le agroecologie sono molto più di una pratica agronomica, portano con sé un movimento politico, culturale e locale che promuove sovranità alimentare, l’autonomia e la giustizia sociale. Per questo bisogna tutelare tali elementi sfidando le narrative egemoniche e rifiutando le false promesse del capitalismo verde, che legittimano pratiche intrappolate nelle logiche agroindustriali. Nella galassia quasi interminabile di agricolture cosiddette “sostenibili”, in molte troviamo incorporate tecnologie come organismi geneticamente modificati (Ogm), tecniche di evoluzione assistita (Tea) e primato dell’efficienza tramite agricoltura di precisione finalizzata a metodi produttivistici e basati su chimica di sintesi.

Queste soluzioni non affrontano le radici della crisi agroalimentare, ma perpetuano il controllo delle grandi imprese sul sistema agroalimentare e sulle diverse filiere, oltre a innescare effetti negativi sulla biodiversità e la salute del pianeta. Anche l'agricoltura biologica certificata, pur rappresentando un progresso rispetto ai modelli convenzionali, non è detto che sia automaticamente agroecologica: potrebbe limitarsi a sostituire input senza trasformare le dinamiche di potere o favorire la resilienza locale.

Per preservare integrità e coerenza, è fondamentale contrastare l'abuso del termine, promuovere politiche pubbliche innovative e incoraggiare azioni dal basso. Solo attraverso un approccio coraggioso e visionario, radicato nei territori e sostenuto da comunità attive, l'agroecologia potrà realizzare il suo potenziale trasformativo e contribuire a un futuro più giusto e sostenibile.

Per contrastare il rischio di cooptazione, è cruciale innanzitutto unificare i movimenti agroecologici a livello locale, in primis da noi, in Italia, e fare pressione perché si adottino politiche pubbliche che promuovano modelli di produzione e di mercato radicati nei territori, come per esempio i Sistemi di garanzia partecipativa (Sgp), processi di autocontrollo comunitario basati sulla trasparenza e sul coinvolgimento diretto di produttori e consumatori. Inoltre, è necessario che favoriscano i mercati locali e solidali, incentivando reti di economia di prossimità, supportino il recupero di terreni abbandonati combinando la produzione alimentare con iniziative sociali, educative e culturali. In questo processo l’educazione alla sovranità alimentare è necessaria per sensibilizzare agricoltori e consumatori sui benefici di un approccio agroecologico autentico.

Senza dimenticare che un cambiamento reale inizia dalle nostre azioni quotidiane, quindi svincolarsi dalle logiche della grande distribuzione e promuovere un'economia locale e partecipativa, rifornirsi attraverso modelli alternativi di mercato che valorizzano i piccoli produttori locali come le Csa (Community-supported agriculture), promuovendo filiere corte e sostenibili. Purtroppo, troppo spesso la classe politica si trova ostaggio di interessi economici o corporativi, oppure manca della conoscenza necessaria per agire in modo trasformativo. Una politica intelligente deve essere anche coraggiosa: rompere gli equilibri di potere, sfidare l'influenza delle multinazionali e mettere in crisi il sistema per rinnovarlo. Questo non è un compito per politici tradizionali, ma piuttosto per i movimenti giovanili, sognatori e disposti a rischiare per un futuro più equo e sostenibile.

a cura di Fulvio Vincenzo, Responsabile tema ambiente presso Cospe

COSPE

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