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Trump promette un’età dell’oro intrisa di petrolio

L’insediamento del 47° presidente Usa, tra la promessa di deportazioni di massa e quella di portare la bandiera americana su Marte, l’addio agli accordi di Parigi, al Green deal e a tutte le politiche per l’ambiente dell’era Biden: «Noi trivelleremo, baby, trivelleremo»
 |  Crisi climatica e adattamento

C’erano pochi dubbi sul taglio che avrebbe dato al suo discorso d’insediamento e quei pochi che c’erano sono stati fugati nella manciata di secondi iniziali. Come da programma, Trump ha giurato come 47° presidente Usa facendo The Donald, mostrando la faccia feroce e annunciando che deporterà milioni di migranti, facendo promesse mirabolanti come una nuova età dell’oro per l’America e la bandiera Usa piantata su Marte, mostrandosi benevolo con chi è dalla sua parte (ha già firmato la grazia per chi aveva guidato l’assalto a Capitol hill) e per niente incline a prendere in considerazione le ragioni degli altri (stop allo ius soli, ci sono solo maschi e femmine, il Golfo del Messico si chiamerà Golfo d’America e altre simili amenità).

Ma, soprattutto, Trump ha fatto The Donald ergendosi a paladino del caro vecchio petrolio e a nemico di tutte le «bufale» sul clima. «La crisi dell’inflazione è stata causata da una spesa eccessiva e dall’aumento dei prezzi dell’energia, per questo oggi dichiaro un’emergenza energetica nazionale e noi trivelleremo, baby, trivelleremo». Cita tra gli applausi il suo «drill, baby, drill» intonato per tutta la campagna elettorale, conferma che gli Usa usciranno nuovamente dagli accordi di Parigi (lo aveva già fatto nel primo mandato e ora vanifica gli impegni assunti da Biden), assicura che il Green deal diventerà solo un ricordo e già è pronto a firmare tutti i decreti necessari per cancellare con un colpo di spugna le politiche per l’ambiente approvate in questi quattro anni di amministrazione Democratica, comprese le misure a favore delle auto elettriche di cui ha beneficiato il suo sodale Musk, che applaude entusiasta in prima fila spalla a spalla con Bezos e Zuckerberg. Basta bufale sul clima, è il messaggio, basta con la volontà di creare problemi inesistenti, basta con questa smania di cercare soluzioni complicate quando ce ne sono di così semplici a portata di mano.

«Abbiamo la più grande quantità di combustibili fossili e li utilizzeremo. Riempiremo le nostre riserve strategiche ed esporteremo in tutto il mondo. Saremo di nuovo una nazione prospera e ricca grazie all’oro liquido sotto i nostri piedi». E pazienza se le macerie di Los Angeles sono ancora fumanti, pazienza se il 2024 è stato riconosciuto come anno più caldomai registrato da enti di ricerca statunitensi e non, pazienza se sugli Usa si sono abbattuti due uragani come Helene e Milton, potenti e devastanti come pochi altri nella storia americana. The Donald è tornato alla Casa bianca e l’America sarà di nuovo grande. Applaudono i miliardari del tech che con il nuovo corso vedono crescere i loro patrimoni, applaudono quelli che gestiscono la finanza internazionale, ben felici di dire addio ai vincoli delle alleanze sul clima, applaudono sovranisti di varie nazionalità ed esponenti della destra, dall’argentino Milei all’italiana Meloni. Per tutti gli altri, c’è poco di che essere entusiasti.

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Consulente per la comunicazione e attività di ufficio stampa anche per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, Unisin/Confsal, Ordine degli Architetti di Roma. Ha pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.