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I futuri limiti della sopravvivenza e della vivibilità in condizioni di caldo estremo

«Dobbiamo dare alle persone gli strumenti di cui hanno bisogno per rendere vivibili giorni in cui non è possibile sopravvivere»
 |  Crisi climatica e adattamento

Il caldo da record di quest’estate, associato a giornate che sembravano più lunghe e a ritmi più lenti, ci ha mostrato una finestra su un futuro preoccupante per le prossime estati, come in Arizona, nei ricchi Stati Uniti, dove ci sono stati blackout che hanno coinvolto  interi quartieri cittadini e centinaia i morti premature dovute al caldo e in aumento tra alcune delle popolazioni più vulnerabili dell'Arizona, con la città di Phoenix che si è ritrovata nei titoli di testa dei giornali statunitensi per i record di caldo battuti uno dopo l’altro. Man mano che cresceva l’attenzione nazionale, la domanda che cominciavano a farsi in molti era: con me si vive qui?

E, come sperimentiamo da diversi anni ripetutamente sulla nostra pelle noi italiani, le conseguenze del caldo estremo non colpiscono solo che vive in Arizona. A novembre, IN Brasile una giovane donna di 23 anni  è morta per arresto cardiorespiratorio  durante un concerto di Taylor Swift in Brasile, dove la temperatura superava il 48° C.

Jennifer Vanos, di Global Futures e della  School of Sustainability  dell'Arizona State University (ASU) e dell’università di Washington, studia il caldo estremo e i suoi impatti sulla salute ed è la principale autrice del nuovo studio “A physiological approach for assessing human survivability and liveability to heat in a changing climate” pubblicato su  Nature Communications, che analizza le temperature alle quali gli esseri umani possono sopravvivere. Lo studio o dimostra che «Le attuali stime dei limiti massimi di temperatura e umidità utilizzate per la sopravvivenza umana potrebbero non dipingere il quadro più accurato degli impatti sulla salute umana su un pianeta in via di riscaldamento».

La Vanos  spiega che «Negli ultimi dieci anni circa, abbiamo utilizzato quella che chiamiamo “temperatura del bulbo umido” di 35 gradi Celsius, o 95 gradi Fahrenheit, come limite per la sopravvivenza umana. Il limite della temperatura del bulbo umido per la sopravvivenza umana indica le combinazioni massime di temperatura e umidità che gli esseri umani possono tollerare senza subire inevitabili colpi di calore per una durata fissa di esposizione. L'idea è che si possa  sopravvivere fino a 6 ore a quel livello di esposizione al calore. Quella cifra semplifica eccessivamente ciò che accade fisiologicamente nel corpo quando è esposto a quella temperatura, e non tiene conto di altre variabili importanti come l'età o altri fattori di vulnerabilità».

La scienziata fa notare che «La temperatura a bulbo umido comunemente utilizzata per la sopravvivenza umana presuppone che la persona sia al chiuso o all’ombra, spogliata, completamente sedentaria, completamente acclimatata al calore e di “dimensione media”. Queste ipotesi non sono in linea, nella maggior parte dei casi, con il modo in cui l’umanità affronta la stagione estiva. Lo studio  modella scenari che si adattano a fattori quali umidità, età, livello di attività ed esposizione al sole e fornisce una gamma di temperature sicure basate su una serie di caratteristiche. Non volevamo solo comprendere meglio le condizioni in cui le persone potevano sopravvivere. Volevamo capire le condizioni che permettevano alle persone di vivere la propria vita. Se l’unico modo sicuro per vivere in una zona è essere completamente sedentari, le persone non vorranno viverci. Essere in grado di trascorrere del tempo all’aria aperta e vivere la propria vita senza vedere un aumento sostenuto della temperatura interna è un parametro davvero importante da comprendere oggi e mentre andiamo verso il futuro.

Gisel Guzman Echavarria, una studentessa dell'ASU, è stata determinante nel creare i grafici utilizzati in tutto lo studio per dimostrare i risultati della ricerca finanziata dalla National Science Foundation e che è stata condotta da un team interdisciplinare i climatologi e fisiologi, «Una collaborazione – dice la Vanos - che è cruciale per comprendere la natura intrecciata del caldo e della salute umanaz.

L’autore senior dello studio, Ollie Jay, direttore dell’Heat and Health Research Incubator dell’università di Sydney, è convinto che «Le prospettive combinate consentono una comprensione coerente di come esattamente gli esiti climatici possono avere un impatto sulle persone a livello fisiologico e biofisico. L'attuale stima della temperatura del bulbo umido di 35 gradi Celsius viene utilizzata molto comunemente, un esempio è il rapporto dell'IPCC. Questo tipo di rapporti possono influenzare gli sforzi politici, ma utilizzano un modello per il caldo che è una stima molto conservativa di quali saranno gli impatti sugli esseri umani. Se iniziamo a utilizzare un modello più realistico, basato sull’uomo, gli impatti saranno più gravi. Saranno più diffusi e avverranno prima di quanto previsto».

Vanos e Jay concordano sul fatto che gli intervalli di sopravvivenza forniti nello studio possono fornire uno sguardo importante su un futuro che include una maggiore necessità di infrastrutture di raffreddamento, un approccio personalizzato alla protezione dal caldo e possibili migrazioni umane causate dal caldo.

La Vanos conclude: «Una delle cose più importanti che spero che le persone capiscano da questi risultati è che condizioni alle quali  può sopravvivere una persona giovane adulta molto sana possono essere vissute in modo molto diverso da qualcuno che ha una comorbidità o sta assumendo farmaci su prescrizione. Mentre andiamo verso condizioni di caldo estremo, dobbiamo dare alle persone gli strumenti di cui hanno bisogno per rendere vivibili giorni in cui non è possibile sopravvivere».

Redazione Greenreport

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