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Più trivelle, meno rinnovabili e addio Parigi: lunedì su il sipario del Trump 2.0

Il secondo mandato del tycoon, che formalmente parte lunedì, già prevede un depotenziamento dell’Inflation reduction act, nuovi progetti di espansione dei combustibili fossili e l’uscita dagli accordi sul clima delle Nazioni unite
 |  Crisi climatica e adattamento

«La crisi climatica è più grande di qualsiasi nazione o ideologia politica», dice Alexandra Scott, esperta senior Diplomazia climatica di Ecco, il think tank italiano per il clima. Il riferimento è al cambio di vertice che ci sarà formalmente Oltreoceano lunedì, con la proclamazione di Donald Trump a quarantasettesimo presidente degli Stati uniti. Ci sono due differenze fondamentali, sottolinea Scott, rispetto al primo mandato, quando pure il tycoon scelse «un percorso diverso da chi costruiva opportunità economiche e resilienza attraverso azione climatica e cooperazione globale»: «La prima è la scala degli impatti che la crisi climatica sta causando, solo ultimi in termini di tempo, gli incendi di Los Angeles. La seconda è la portata delle opportunità economiche offerte dai mercati delle energie rinnovabili e delle tecnologie pulite del futuro». La conclusione? Questa: «Le promesse fatte da Trump all’elettorato su immigrazione, inflazione e sicurezza non possono essere mantenute senza agire per prevenire gli impatti climatici e abbracciare la nuova economia». Ma sarà questo il ragionamento che muoverà le azioni del nuovo inquilino della Casa Bianca?

Finora Trump ha sempre continuato a negare la realtà del cambiamento climatico, a dare del «fesso» a chi parla di global warming perché non capisce che si tratta soltanto di variazioni metereologiche, ad abbracciare i combustibili fossili a differenza di quel che sostiene all’apparenza il suo sodale e pro-solare Elon Musk e a criticare le politiche per il clima attuate dal presidente Biden. Ma al di là dei recenti drammatici fatti di Los Angeles, ormai è sempre più evidente a molti americani che i diffusi problemi economici, sociali e ambientali sono in ultima analisi legati a un pianeta che si sta riscaldando con un ritmo accelerato mai registrato prima. E Trump di fatto si insedia alla Casa Bianca mentre sono ancora fumanti le macerie degli edifici intorno a Hollywood.

Si vedrà presto come intende muoversi Trump in questo contesto, a seconda degli ordini esecutivi che emetterà nei primi giorni del suo mandato. Ad esempio, che ne sarà dell’Inflation reduction act (Ira) fortemente voluto da Biden, delle sovvenzioni per l’energia pulita, dei divieti di trivellazione? Nel corso della campagna elettorale Trump ha promesso di cancellare gran parte delle leggi sul clima approvate negli ultimi quattro anni, ma l’abrogazione di importanti disposizioni dell’Ira richiederebbe il sostegno del Congresso: lo seguiranno tutti i membri Repubblicani, che in questi anni nei loro distretti hanno beneficiato di enormi opportunità di finanziamento? Trump potrebbe trattenere i fondi Ira non spesi, ma i governatori dello schieramento Repubblicano sarebbero d’accordo? 

Più semplice, invece, rispettare la messa in campo della promessa «drill, baby, drill», abbandonando al passato i divieti di trivellazione e rilanciando petrolio e gas al posto di eolico e solare: i Repubblicani del Congresso, del resto, hanno sempre battuto sul tasto del «dominio energetico» con annessa necessità di favorire l’esplorazione di combustibili fossili. Tra l’altro tanto Trump quanto il suo candidato segretario all’energia, Chris Wright, che ha guadagnato miliardi nell’industria del fracking (la fratturazione idraulica del terreno per raggiungere giacimenti di gas), non hanno fatto mai mistero di desiderare un aumento delle esportazioni del gas naturale liquefatto, e quindi c’è da scommettere che il blocco delle licenze per le esportazioni di Gnl ha i giorni contati.

C'è poi il capitolo auto elettriche. Trump e vertici del partito Repubblicano hanno a più riprese definito i crediti d'imposta per i veicoli elettrici uno spreco e hanno giurato di annullare il programma messo in piedi negli ultimi anni dall'amministrazione Biden. Uno dei primi atti del tycoon potrebbe dunque essere proprio mirato a porre fine a una serie di incentivi per la produzione nazionale di mezzi dotati di motori non endotermici, alle agevolazioni per le infrastrutture di ricarica e alle normative sulle emissioni. Bisognerà però vedere come si posizionerà la stessa industria automobilistica statunitense, che in questi anni ha usufruito delle msiure varate da Biden e che già in questi ultimi mesi ha lanciato chiari messaggi a favore del mantenimento di questi incentivi. 

Un’ultima questione è quella su cui ci sono meno dubbi o incognite, ma che è tutt’altro che ultima in termini di possibili conseguenze: Trump l’ha detto e ridetto nel corso della campagna elettorale e tornerà a ritirare gli Stati uniti dall’Accordo di Parigi. Ci vorrà un anno perché l’addio diventi effettivo, mentre ci vorrà molto meno tempo per valutare quanto questa decisione made in Usa possa creare un effetto domino su scala planetaria, facendo compiere ad altre nazioni una analoga, deleteria, scelta.

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Consulente per la comunicazione e attività di ufficio stampa anche per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, Unisin/Confsal, Ordine degli Architetti di Roma. Ha pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.