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Con questo ritmo, al 2030 la cementificazione costerà all’Italia fino a 212 mld di euro

Dove una legge contro il consumo di suolo c’è, non funziona: il caso Emilia Romagna

Legambiente: «Nemmeno le 4 alluvioni che hanno colpito la nostra Regione sembrano averci insegnato qualcosa»
 |  Crisi climatica e adattamento

Nonostante l’approvazione nell’ormai lontano 2017 di un’innovativa – a dire dell’allora presidente regionale, Stefano Bonaccini – legge contro il consumo di suolo, l’Emilia-Romagna continua a impermeabilizzare il suo territorio a ritmi vertiginosi, come testimonia il rapporto nazionale pubblicato ieri da Ispra-Snpa.

Dall’indagine emerge infatti come sia in valori percentuali che assoluti l’Emilia Romagna si ponga ben al di sopra della media nazionale per suolo artificializzato. Ha la percentuale più alta a livello nazionale (52%) rispetto al consumo di nuovo suolo in aree a pericolosità idraulica media, e ha consumato altri 7,5 ha in aree a pericolosità da frana molto elevata, nonostante quanto accaduto negli ultimi 18 mesi suggerisca invece la necessità di una importante inversione di tendenza. La Regione inoltre registra il valore più elevato di consumo di suolo dovuto a nuovi cantieri e infrastrutture, sia in termini di impermeabilizzazione (19mila ha) che in termini di incremento rispetto al 2022 (+361 ha).

 Venendo al dettaglio dei Comuni, Ravenna ha incrementato la sua superficie consumata di altri 89 ettari, ponendosi tra i primi tre comuni a livello nazionale per consumo di suolo, subito dopo Uta, in provincia di Cagliari e Roma. L’indagine di Ispra evidenzia che molto del suolo consumato si deve alla realizzazione di nuovo residenziale e agli accantieramenti nell’area portuale per la realizzazione della nuova Zls (Zona di logistica speciale).

Ravenna detiene anche il primato di consumo di suolo a livello regionale, seguita da Reggio Emilia (+43 ha rispetto al 2022) e Forlì (+36 ha). Tra i capoluoghi di regione Bologna si classifica al quarto posto, con +21 ha rispetto al 2022, subito dopo Roma (+71), Cagliari (+26) e Venezia (+23).

«La legge 24/2017 ha dimostrando tutta la sua inefficacia – dichiara nel merito Legambiente Emilia Romagna – la presenza di diverse scappatoie e l’inazione della regione nella realizzazione dei Ptav, hanno consentito ai Comuni di continuare a consumare suolo. Nemmeno le 4 alluvioni che hanno colpito la nostra Regione sembrano averci insegnato qualcosa se ancora ci sono in previsione la realizzazione di nuove strade e autostrade, poli logistici, ipermercati».

Che fare? «Chiediamo alla Regione un cambio di rotta deciso – argomenta il Cigno verde regionale –  con la discussione e approvazione in assemblea legislativa della legge di iniziativa popolare sul consumo di suolo, presentata ormai quasi due anni fa, una pianificazione regionale per quanto riguarda la logistica, una semplificazione per la riqualificazione di aree già impermeabilizzate e soprattutto il mantenimento  delle misure penalizzanti per quei territori Comuni ove ancora non ci sarà un  che non avranno approvato il Pug al 31/12/24».

Se dunque a livello nazionale resta evidente l’urgente necessità di una legge contro il consumo di suolo, come chiedono dalla Legambiente nazionale all’associazione dei Consorzi di bonifica (Anbi), è importante far tesoro delle esperienze già maturate sul campo, per non replicare in Parlamento gli errori messi in campo dall’Emilia Romagna. A pagarne il conto, altrimenti, continueremo ad essere tutti noi.

Come calcola infatti Legambiente a partire dai dati Ispra, considerando i costi annuali medi dovuti alla perdita di servizi ecosistemici forniti dal suolo (serbatorio di carbonio, regolatore del ciclo dell’acqua, riserva di biodiversità produzione di cibo e biomassa, solo per citarne alcuni), si può stimare, se fosse confermata la velocità media 2006-2023 fino al 2030, un costo cumulato complessivo compreso tra 173 e 212 miliardi di euro.

Redazione Greenreport

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