Fitto al Parlamento Ue insiste sulla crisi climatica, ma in Italia il Pnacc giace chiuso in un cassetto
Esprime «solidarietà al popolo della Spagna». Dice che «ciò che è successo vicino a Valencia è davvero devastante». Con una formula che ripete spesso nel corso della sua audizione a Bruxelles, aggiunge: «Se sarò confermato, sono pronto a lavorare immediatamente per a garantire il nostro rapido e immediato sostegno». E poi, il commissario designato alla politica di Coesione europea, Raffaele Fitto, si dilunga sugli effetti della crisi climatica e sulle misure necessarie per contrastarla: «Negli ultimi mesi abbiamo visto distruzioni tremende causate da alluvioni e incendi in diversi Stati membri. I disastri naturali stanno diventando purtroppo più frequenti. Reagire immediatamente è essenziale. Contribuire al Piano di adattamento climatico europeo è fondamentale per migliorare la prevenzione. Sviluppare la resilienza idrica è pure cruciale. Il Piano di adattamento fornirà il quadro di finanziamento e di attuazione per le strategie di adattamento. Tramite l’utilizzo mirato dei fondi della politica di coesione, l’Unione europea può garantire che le comunità siano preparate meglio per le sfide del futuro. Naturalmente la politica di coesione deve anche contribuire a realizzare i nostri obiettivi climatici concordati».
Tutto giusto, condivisibile, sacrosanto. Se non fosse che tutto ciò viene dichiarato da chi fino a poche settimane orsono faceva parte di un governo che ha approvato ormai un anno fa senza finanziarlo il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, lasciato poi a prendere polvere in qualche cassetto ministeriale senza che sia stato neanche istituito il necessario Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici. Un governo sordo alle richieste di prestare le dovute attenzioni alla crisi climatica e che ha messo a punto una manovra di bilancio in cui c’è poco o nulla su transizione e adattamento. Un governo, a proposito di «resilienza idrica», che anziché concentrare il massimo degli sforzi per le infrastrutture idriche della Sicilia, intende finanziare un’opera come il Ponte sullo Stretto. Un governo, infine, guidato Giorgia Meloni, leader di quel partito, Fratelli d’Italia, che in modo compatto nel Parlamento europeo si era astenuto nel 2020 e nel 2021 sul Next generation Eu. Come pure, del resto, aveva fatto lo stesso Fitto (confluito in Fdi cinque anni fa) che ora parla proprio della necessità di un «rafforzamento della politica di coesione dell’Ue», dell’utilità del Pnrr e di un’Italia «vittima del suo successo» (rispondendo a una domanda sul fatto che nel nostro Paese sono in corso numerose indagini sull’uso dei soldi stanziati), avendo ricevuto molti fondi da Next generation Eu. Quei voti di astensione, dice ora Fitto rispondendo a chi solleva la questione, rispecchiavano «una posizione di attesa», e ora dopo l’esperienza fatta da ministro degli Affari europei con delega al Pnrr, «se dovessi votare domani mattina, quell’astensione sarebbe un voto favorevole».
Dice Fitto di fronte agli europarlamentari: «Non sono qui per rappresentare un partito politico o uno Stato membro, ma per il mio impegno per l’Europa». Molte sono le perplessità sull’opportunità di dare un via libera a questa designazione. E non solo tra i banchi delle forze di sinistra e ambientaliste. «Se le sembro un fascista, faccia lei...», risponde a una eurodeputata Verde che era intervenuta in modo molto polemico nei confronti della sua storia politica. Ma non è questo il punto. Anche tra le file dei Socialisti & Democratici ci sono dubbi sul dare il proprio consenso a una figura come quella di Fitto, che per di più dovrebbe ricoprire l’incarico di vicepresidente della Commissione Ue. Il braccio di ferro tra Ppe e S&D non è del tutto finito dopo l’audizione. E non è un caso che il voto sia slittato «a data da destinarsi». In attesa, molto probabilmente, che una mediazione da parte della stessa Ursula von der Leyen sciolga gli ultimi nodi. E che tutti digeriscano l’ipotetica soluzione a cui gli sherpa stanno lavorando: procedere con un unico voto alla conferma di tutti e sei i vicepresidenti.