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Occhi puntati su Pechino, Nuova Dehli e, da oggi, su Washington

Decarbonizzazione, l’incognita Usa e gli impegni di Ue, Cina e India al centro degli Stati generali della green economy

Nel giorno della vittoria di Trump, al convegno di Rimini si discutono i risultati raggiunti a livello comunitario, ma con un avvertimento: la lotta ai combustibili fossili non è solo un fatto europeo
 |  Crisi climatica e adattamento

Nel giorno in cui viene decretata la vittoria di Donald Trump e si capisce che la lotta contro la crisi climatica sarà ancora più dura, si è svolta la seconda parte degli Stati generali della green economy, il summit verde organizzato dal Consiglio nazionale della Green economy, composto da 66 organizzazioni di imprese, in collaborazione con il Mase e il patrocinio della Commissione europea e del Mimi. In questa seconda giornata di lavori, svolta a Rimini nell’ambito di Ecomondo, si è discusso soprattutto del fatto che l’impegno climatico riguarda ormai tutte le principali economie del mondo e che i “grandi emettitori” come Usa, Cina, India ed Europa hanno sì avviato ingenti investimenti e programmi per raggiungere l’obiettivo “net zero”, ma l’impegno non può certo arrestarsi ora. Stati Uniti, Cina, India ed Ue sono infatti responsabili del 60% delle emissioni di CO2 mondiali. E la battaglia per vincere la sfida della decarbonizzazione è ancora lunga e piena di insidie.

L’Unione europea con il Green deal ha messo in campo misure normative e strumenti di regolazione incisivi, e i risultatiti cominciano a vedersi. Nel 2023 ha tagliato le emissioni di gas serra del 37% rispetto al 1990, riprendendo, dopo la parentesi del 2022, il processo di decarbonizzazione. Tra il 2022 e il 2023 le emissioni di gas serra sono diminuiti di quasi 200 milioni di tonnellate. E se l’Ue proseguisse di questo passo sarebbe in linea con il target del –55% al 2030. Inoltre, con la legge europea sul clima ha stabilito l’obiettivo vincolante della neutralità entro il 2050.

La Cina, principale emettitore mondiale di CO2 con un aumento significativo negli ultimi anni arrivato a + 39%, è emerso dalle analisi presentate nel corso dell’incontro, è comunque impegnata nella transizione energetica, per diversi fattori: gli enormi impatti della crisi climatica sull’esteso territorio cinese, la crescita delle capacità tecnologiche e produttive cinesi, la scelta di puntare sulla leadership mondiale delle tecnologie di decarbonizzazione e i successi, industriali e delle esportazioni, ottenuti con tale scelta. Nel 2022 La Cina ha venduto il 60% delle auto elettriche su scala mondiale, il 50% degli impianti eolici e il 45% di quelli solari fotovoltaici. Ma resta ancora la principale utilizzatrice mondiale di carbone responsabile di circa il 70% delle sue emissioni totali. 

Gli Stati Uniti, secondo emettitore mondiale, ma il primo pro capite, ha ridotto le emissioni del 14,5% nel 2022 e l’amministrazione Biden ha mobilitato livelli senza precedenti di sostegno governativo per promuovere una più forte e più rapida riduzione delle emissioni di gas serra con l’obiettivo di raggiungere il 100% di elettricità green entro il 2035. Bisognerà vedere cosa accadrà ora che alla Casa Bianca arriva Trump, che non ha fatto mai mistero del suo totale disinteresse per l’impegno alla decarbonizzazione, ma intanto finora grandi città e Stati si stanno muovendo nella giusta direzione: New York prevede di vietare i combustibili fossili in tutti i nuovi edifici entro il 2027, la California richiede che i nuovi edifici siano cablati per il funzionamento completamente elettrico, lo stato di Washington richiede che i nuovi edifici siano dotati di pompe di calore. Ora, ovviamente, la politica climatica passerà al vaglio della nuova amministrazione, e starà ai governatori e agli amministratori locali non mandare in fumo tutto il lavoro fin qui svolto.

«Ormai la direzione è presa - ha detto mostrandosi fiducioso sugli sviluppi futuri statunitensi Raimondo Orsini, direttore della Fondazione per lo Sviluppo - e la nuova amministrazione Trump non cambierà di molto questa direzione. C’è una legge, l’Inflation Reduction Act che è molto difficile modificare e d’altra parte i quattro quinti dei finanziamenti previsti dal provvedimento sono diretti verso Stati Repubblicani». Basterà? Si capirà già nelle prossime settimane. Ma è chiaro che molto dipenderà anche dai risultati che verranno raggiunti attraverso i summit internazionali, a cominciare dall’imminente Cop29, e da come si muoveranno nel frattempo gli altri partner mondiali, a cominciare dai Paesi dell’Asia. 

Il livello totale delle emissioni dell’India è simile a quello dell’Unione europea, ma con una popolazione tre volte più numerosa: quindi con emissioni pro capite ancora basse, meno della metà della media mondiale e circa un quarto di quelle della Cina. Tuttavia, è anche la nazione più popolosa al mondo e uno dei paesi più colpiti dalla crisi climatica: gli eventi meteorologici estremi sono sempre più frequenti e gravi. Alla Cop26 di Glasgow il governo indiano ha annunciato la sua intenzione di diventare un emettitore netto zero solo entro il 2070. Per raggiungere tale obiettivo ha messo in atto politiche per aumentare la produzione di energia rinnovabili e per lo sviluppo di tecnologie a basse emissioni di carbonio, programmando di raddoppiare al 2030 gli investimenti in energia pulita, rispetto ai circa 60 miliardi di dollari del 2022.

«Credo che oggi il Pianeta ci chieda di fare delle scelte coraggiose, non abbiamo molto tempo. Le immagini delle catastrofi climatiche che si stanno abbattendo sulle nostre comunità sono sempre più agghiaccianti – ha detto nel corso dei lavori Antonio Decaro, presidente della commissione Ambiente del Parlamento europeo –siamo difronte a un bivio e dobbiamo chiederci quale mondo vogliamo lasciare ai nostri figli e nipoti. Per questo dobbiamo tenere a mente questi obiettivi: neutralità climatica nell’Unione Europea entro il 2050 e una riduzione interna netta di emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030. Sembrano delle sfide impossibili, ma l’Europa ha già imboccato la sua strada. Non possiamo fare tutto da soli, c’è bisogno di un rinnovato slancio mondiale sugli impegni sul clima e che ognuno di noi faccia la sua parte. La transizione ecologica e ambientale deve essere accompagnata da una transizione sociale, altrimenti l’Europa continuerà a essere vista come nemica che impone scelte incomprensibili che danneggiano soltanto i cittadini».

Redazione Greenreport

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