Nei Paesi in guerra muoiono di fame tra 7 mila e 21 mila persone al giorno
Secondo il nuovo rapporto “Food Wars, Conflict, Hunger, and Globalization, 2023”, diffuso oggi da Oxfam in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione. «Ogni giorno tra 7 e 21 mila persone muoiono letteralmente di fame in Paesi lacerati da conflitti. La quasi totalità dei 281,6 milioni di persone afflitte da malnutrizione acuta nel mondo vive in 54 paesi attraversati da guerre. Guerre che sono inoltre una delle principali cause del livello record di sfollati nel mondo, a oggi oltre 117 milioni».
Attualmente, nel mondo si registra in questo momento un allarmante aumento del numero di conflitti e di morti connesse, come non si vedeva da decenni. Oxfam ha analizzato 54 Paesi dove sono presenti conflitti attivi, che ospitano rifugiati e che hanno ereditato un conflitto, la cui popolazione nel 2023 è stata colpita da livelli di insicurezza alimentare acuta. In totale le persone colpite sono quasi 278 milioni. L’ONG internazionale Oxfam ha calcolato la cifra della mortalità per fame in base al tasso di mortalità grezzo del Manuale tecnico integrato sull'insicurezza alimentare e del Global Report on Food Crises (GRFC) 2024, che prevede la classificazione della fase di sicurezza alimentare integrata (IPC) 3 o superiore nei Paesi colpiti da conflitti. Si tratta di un numero di morti compreso tra 7.784 e 21.406 al giorno (5 - 15 al minuto). In tutti i 54 Paesi analizzati, la guerra è una delle cause principali dell'insicurezza alimentare, tranne alcuni dove il fattore principale è dato dall’impatto dei cambiamenti climatici o da shock economici. 34 dei 54 Paesi studiati basano la propria economia principalmente sulle esportazioni di materie prime. ll Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha riconosciuto il legame tra conflitto e fame, condannandone l’uso come arma di guerra con l’adozione, nel 2018, della storica risoluzione 2417.
Francesco Petrelli, portavoce e policy advisor per la sicurezza alimentare di Oxfam Italia, sottolinea che «In molti dei Paesi in conflitto, la fame viene sempre più spesso usata come arma di guerra. C’è poi da ricordare che la distruzione sistematica di infrastrutture essenziali per la fornitura di energia e acqua potabile è contraria ad ogni norma del diritto internazionale e sta aumentando in modo esponenziale le sofferenze di milioni di persone».
Paolo Pezzati, portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia, denuncia che «Nella Striscia in questo momento quasi mezzo milione di persone sta morendo di fame Una catastrofe umanitaria dovuta alle decisioni del governo israeliano, che dall’inizio dell’anno impedisce l’ingresso dell’83% degli aiuti alimentari necessari alla popolazione. Nel 2023 ne venivano bloccati il 34%, quindi siamo passati in media da due pasti al giorno prima dell’inizio del conflitto, a uno ogni due giorni».
Il report fa notare che «L'impatto della guerra sulla disponibilità di cibo sta provocando una catastrofe altrettanto grave in Sudan, dove in questo momento oltre 750 mila persone stanno morendo letteralmente di fame. Eppure il Paese - come altri 34 sui 54 analizzati - è ricco di risorse naturali e materie prime, incentrando la propria economia sulla loro esportazione. Basti pensare che il 95% dei proventi delle esportazioni del Sudan proviene dall'oro e dal bestiame; l'87% di quelle del Sud Sudan dai prodotti petroliferi; quasi il 70% di quelle del Burundi dal caffè. In America centrale, invece, progetti sempre più estesi di estrazione mineraria hanno provocato conflitti violenti, costringendo intere comunità ad abbandonare le proprie case».
Petrelli aggiunge che «Non è certo una coincidenza che la combinazione letale di guerra, sfollamenti forzati e fame, spesso si verifichi in Paesi ricchi di risorse naturali. Lo sfruttamento sempre più esteso di materie prime porta ad una maggiore instabilità politica e alla guerra. In contesti dove troppo spesso gli investimenti privati su larga scala - sia esteri che nazionali – hanno come obiettivo il controllo di terra e risorse idriche a danno delle comunità locali».
Il rapporto evidenzia che «I conflitti spesso si sommano ad altri fattori come gli shock climatici, l'instabilità economica e le disuguaglianze, devastando i mezzi di sussistenza delle popolazioni locali. La crisi alimentare che sta colpendo l'Africa orientale e meridionale è causata dal susseguirsi di siccità e inondazioni sempre più intense e frequenti, che si sono sommate all'impennata dei prezzi dei prodotti alimentari a livello globale, seguita alla fine della pandemia e alla crisi in Ucraina. E i primi a fare le spese di tutto questo sono donne e bambini».
Petrelli continua: Mentre l’obiettivo di azzerare la fame entro il 2030 resta irraggiungibile, lanciamo un appello urgente al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, affinché chieda conto delle continue violazioni del diritto internazionale che in contesti di guerra come Gaza continuano ad essere commesse impunemente. La fame non può e non deve essere più usata come un’arma per mettere in ginocchio un intero popolo. Per spezzare questo circolo vizioso è essenziale affrontare insieme le cause alla base dei conflitti in corso e non solo offrire soluzioni temporanee. Allo stesso tempo non si può pensare di porre fine ai conflitti, ad esempio in Africa, senza sradicare le profonde disuguaglianze e le violazioni dei diritti umani che la alimentano. - conclude Petrelli - Gli sforzi per la Pace devono essere accompagnati da investimenti per sradicare la povertà, A partire dalle politiche per costruire coesione sociale e soluzioni economiche che diano priorità alla costruzione di sistemi alimentari sostenibili».
In vista della riunione dei ministri dello sviluppo del 22 ottobre che avrà al centro l’attuazione operativa dell’Apulia Food Systems Initiative (AFSI), Oxfam assieme alla società civile globale, riunita nel Civil7, chiede quindi con forza che «Le decisioni che verranno prese, soprattutto sul piano degli investimenti: promuovano un modello agro-ecologico; combattano con regole nuove le speculazioni finanziarie sul cibo; favoriscano la partecipazione alle decisioni dei piccoli contadini dei Paesi del sud globale; onorino gli impegni finanziari dei Paesi G7 per far fronte agli appelli dell’Onu sulle crisi alimentari in corso, ad oggi del tutto insufficienti».