È stato il clima ad aguzzare l’ingegno dei nostri antenati
Secondo lo studio “Past climate change effects on human evolution”, pubblicato recentemente su Nature Reviews Earth & Environment da un team di ricercatori guidato da Axel Timmermann dell’ IBS Center for Climate Physics della Pusan National University sudcoreana e al quale hanno partecipato gli italiani Pasquale Raia dell’università di Napoli Federico II e Alessandro Mondanaro dell’università di Firenze, «I cambiamenti climatici hanno stimolato l’ingegno dei primi uomini, portandoli a trovare soluzioni che hanno avuto un impatto determinante su adattamento, sopravvivenza ed evoluzione della specie umana».
Lo studio evidenzia come le forti oscillazioni climatiche, avvenute durante il Pleistocene, abbiano drasticamente alterato gli ecosistemi e gli ambienti occupati dalle specie di ominidi che si sono avvicendate nel corso del tempo. Per rispondere a questi cambiamenti, i nostri antenati sono stati costretti a evolversi – soprattutto a livello cognitivo – per colonizzare gradualmente aree con condizioni climatiche svantaggiose.
All’università di Firenze spiegano che «Tali riscontri sono stati resi possibili grazie allo sviluppo di nuove simulazioni paleoclimatiche che hanno inglobato una serie di parametri atmosferici ed astronomici in modo da poter ampliare notevolmente le conoscenze sulle condizioni climatiche degli ambienti abitati dai nostri antenati. Inoltre, la costruzione di un database univoco, che raccoglie i tantissimi dati archeologici sulla presenza umana in Africa e in Eurasia negli ultimi 3 milioni di anni, ha dato la possibilità di stimare le nicchie climatiche dei nostri antenati e la loro evoluzione nel tempo attraverso una serie di tecniche e tramite l’uso di diversi algoritmi statistici. I risultati di tali modelli hanno quindi avuto un ruolo determinante per comprendere e quantificare il reale effetto dei cambiamenti climatici sull’evoluzione umana».
Mondanaro, ricercatore di paleontologia e paleoecologia del Dipartimento di scienze della Terra dell’UniFi ha elaborato e curato – sotto la guida di Raia - i database antropologici e ha preso parte alla calibrazione di gran parte dei modelli statistici utilizzati per stimare la nicchia climatica delle specie umane, sviluppando un algoritmo per modellizzare la nicchia dei Denisoviani, (ominidi vissuti tra i 280.000 e 30.000 anni fa, e ora soiega che «E’ stato messo in luce che i primi esponenti del genere Homo, come H. habilis e H. ergaster, abitavano una gamma di ambienti molto limitata che ospitava i cosiddetti open environments, quelli che oggi conosciamo più comunemente come ambienti di savana, e avevano scarsa capacità di colonizzare nuovi ambienti con condizioni ambientali diverse da quelli nativi” spiega il ricercatore. Circa 2 milioni di anni fa, con la comparsa di H. erectus, il genere Homo è uscito per la prima volta fuori dai confini africani ampliando di molto le sue abilità dispersive, ma evitando di colonizzare aree situate ad alte latitudini caratterizzate da condizioni climatiche inusuali. Soltanto con la comparsa delle specie umane più avanzate, tra cui la nostra specie, si è avuta la completa colonizzazione del vecchio Mondo».
I ricercatori sono convinti che «Il processo è stato sicuramente favorito da un incremento delle abilità cognitive che ha permesso in primo luogo un arricchimento dal punto di vista culturale. Probabilmente proprio lo stress generato dalle continue fluttuazioni climatiche ha facilitato l’incremento di nuove interazioni sociali e nuove innovazioni culturali, come l’uso del fuoco e la produzione di indumenti. Tutta la serie di vantaggi che ne è derivata ha promosso la colonizzazione di tutti i biomi terrestri».
Mondanaro conclude: «In definitiva abbiamo dedotto che la capacità di colonizzare ed adattarsi a nuovi ambienti caratterizzati da nuove condizioni climatiche sono stati fattori determinanti per l’estinzione di determinate specie umane e la nascita di nuove. In particolare, l’avanzamento culturale sembra aver giocato un ruolo fondamentale per la sopravvivenza della nostra specie fino ad oggi».