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Piani della Politica agricola comune più verdi ma non all’altezza delle ambizioni dell’Ue

La Corte dei conti europea segnala che c’è «un abisso» tra gli obiettivi climatici e ambientali comunitari e i programmi dei singoli Stati membri. I quali, tra l’altro, non sono allineati con il Green deal
 |  Crisi climatica e adattamento

La politica agricola comune (Pac) è un ambito di intervento chiave dell’Unione europea e non a caso rappresenta il 31 % (387,5 miliardi di euro) del bilancio 2021-2027 dell’Ue. Negli ultimi decenni la Pac è stata oggetto di diverse riforme per aiutare il settore agricolo nell’affrontare le sfide riguardanti i cambiamenti climatici e l’uso sostenibile delle risorse naturali. Oltre a garantire un sostegno al reddito degli agricoltori, la sicurezza alimentare e i mezzi di sussistenza delle zone rurali, la Pac è stata sempre più sviluppata per «sostenere e rafforzare la tutela dell’ambiente, compresa la biodiversità, e l’azione per il clima». Nell’ultima relazione sullo stato dell’ambiente, l’Agenzia europea dell’ambiente (Aea) ha infatti constatato che l’intensificazione agricola resta una delle principali cause della perdita di biodiversità e del degrado degli ecosistemi in Europa, accanto alla selvicoltura intensiva, all’abbandono dei terreni e all’espansione urbana. La politica agricola comune è stata introdotta ormai quasi sessant'anni fa ed è stata nel tempo aggiornata allo scopo di ottenere risultati sempre migliori anche in materia di sostenibilità, perché già nella relazione speciale 13/2020 la Corte dei conti europea aveva rilevato che in molte zone d’Europa l’intensificazione di colture ha trasformato paesaggi precedentemente diversificati, con tanti piccoli appezzamenti e habitat, in distese uniformi e ininterrotte di campi gestiti con grandi macchinari.

Ora però, passati altri quattro anni da quella relazione e avviate misure e finanziamenti nell’ambito Pac, sempre la Corte dei conti europea segnala che c’è un problema di fondo che in questi anni non è stato debitamente affrontato. Tuttora, viene sottolineato dall’istituzione comunitaria, «c’è un abisso tra i valori-obiettivo climatico-ambientali dell’Ue e i piani agricoli elaborati dagli Stati membri». Ed è proprio questa la conclusione di una nuova relazione pubblicata dalla Corte dei conti europea. La politica agricola comune per il periodo 2023-2027 ha dato agli Stati membri la flessibilità necessaria per riflettere nei propri piani gli ambiziosi obiettivi ecologici dell’Ue, sottolineano i giudici che si occupano dei conti comunitari e della gestione finanziaria europea. Ma questa flessibilità, viene aggiunto, è stata utilizzata dai singoli paesi per non ottemperare come avrebbero dovuto agli impegni assunti in sede comunitaria. Tutti gli Stati membri si sono avvalsi delle esenzioni per le condizioni agricole e ambientali, viene sottolineato nella relazione appena diffusa dal Lussemburgo, sede della Corte, ma alcuni di essi hanno ridotto o ritardato l’applicazione delle misure verdi necessarie per ottenere i fondi dell’Ue. «Nel complesso – si legge nella sintesi della relazione pubblicata sul sito dell’istituzione europea - gli auditor della Corte concludono che i piani nazionali della Pac non sono molto più ambiziosi di prima per la tutela ambientale». E questo, viene sottolineato, nonostante i 378,5 miliardi di euro erogati dalla Pac 2021-2027 che mirano, oltre che ad assicurare il sostegno a un reddito adeguato per gli agricoltori, la sicurezza alimentare e i mezzi di sostentamento nelle zone rurali, anche a difendere l’ambiente dai danni e dai cambiamenti climatici, che possono anch’essi avere ripercussioni dirette sulla produzione agricola (in caso, ad esempio, di condizioni meteorologiche estreme).

«L’impostazione della politica agricola comune è migliorata sotto il profilo ecologico. Tuttavia, rispetto al passato, non abbiamo riscontrato differenze sostanziali nei piani agricoli degli Stati membri», ha dichiarato Nikolaos Milionis, membro della Corte dei conti europea responsabile dell’audit. «La nostra conclusione è che le ambizioni climatico-ambientali dell’UE non trovano sponda a livello nazionale e che mancano, inoltre, elementi chiave per valutare la performance ecologica».

Il problema è che la nuova Pac ha sì introdotto maggiori condizioni per ottenere i fondi dell’Ue, ma allo stesso tempo ha consentito agli Stati membri di usufruire di una maggiore flessibilità nell’applicazione di determinate norme. Ha istituito i regimi ecologici, che premiano le pratiche benefiche per il clima, l’ambiente e il benessere degli animali, e ha riconfermato le misure di sviluppo rurale, prevedendo in entrambi i casi l’obbligo, assolto da tutti gli Stati membri, di assegnare una percentuale minima di fondi alle misure climatico-ambientali. Tuttavia, segnala la Corte dei conti Ue, rispetto al periodo precedente non è stato riscontrato un miglioramento sostanziale dei piani Pac sotto il profilo ecologico. Inoltre, «in risposta alle proteste degli agricoltori del maggio 2024 sono stati allentati alcuni requisiti di condizionalità (come la rotazione delle colture per migliorare la qualità del suolo, ora divenuta facoltativa) e, pertanto, l’impatto verde dei piani potrebbe essere ancora inferiore».

E poi c’è anche un altro problema, tutt’altro che secondario. La Corte ha inoltre rilevato, infatti, che «i piani Pac non sono ben allineati al Green deal, che pure rappresenta una delle principali politiche dell’Ue a favore del clima e dell’ambiente». Il motivo? Semplice: «Le norme non impongono agli Stati membri di includere nei rispettivi piani agricoli una stima dei contributi della Pac ai valori-obiettivo del Green deal».

A giudizio della Corte, l’aumento dei terreni coltivati con metodi biologici è l’unico obiettivo misurabile. E, segnala peraltro l’istituzione comunitaria, sarà molto difficile raggiungere il valore fissato dal Green deal a questo riguardo per il 2030. Stando all’analisi diffusa dal Lussemburgo, il conseguimento degli obiettivi del Green deal dipende in larga misura da azioni che esulano dalla Pac. E gli auditor segnalano poi che il quadro di monitoraggio per verificare la performance ecologica della Pac è stato semplificato, ma manca di elementi chiave. Ad esempio, viene rilevato, la mera comunicazione delle azioni intraprese per ridurre le emissioni non è indicativa di una loro riduzione effettiva. 

In considerazione di tutto quanto evidenziato in questa relazione, la Corte raccomanda alla Commissione europea di agire su più fronti e di adottare quanto prima delle misure che obblighino gli Stati membri a rispettare gli impegni comunitari. In particolare, viene raccomandato alla Commissione Ue di promuovere lo scambio di buone pratiche green nei piani, di allineare il contributo della Pac con gli obiettivi del Green deal e di rafforzare il futuro quadro di monitoraggio della Pac per il clima e l’ambiente.

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Consulente per la comunicazione e attività di ufficio stampa anche per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, Unisin/Confsal, Ordine degli Architetti di Roma. Ha pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.