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Coldiretti Toscana: + 10% nubifragi nel 2024, due terzi a settembre. Aiuti Ue alle imprese in ritardo

Nicola Casagli: in Toscana ci saranno sempre più eventi estremi, imparare a convivere con il rischio
 |  Crisi climatica e adattamento

Coldiretti Toscana, basandosi sull’analisi dei dati dell’European Severe Weather Database, evidenzia che «Dall’inizio dell’anno bombe d’acqua ed nubifragi sono aumentati de 10% rispetto al 2023. Due eventi su tre si sono verificati nel mese di settembre causando la seconda alluvione in pochi mesi di Prato e i recenti disastri di Livorno e Pisa. Piove a catinelle in Toscana mentre si continua ancora a spalare il fango delle alluvioni degli scorsi mesi in territori sempre più fragili ed inermi».

Lla presidente di Coldiretti Toscana, Letizia Cesani, spiega che «Le precipitazioni, che sono sempre più intense e violente, si abbattono su un territorio reso più fragile da un consumo di suolo sfrontato e dalla mancanza di prevenzione e pianificazione esponendo i cittadini e le imprese a pericoli enormi. La verità è che di fronte a questo tipo di precipitazioni ed eventi estremi le nostre città non sono pronte. Non c’è un territorio che oggi sia al sicuro considerando che nove comuni su dieci si trovano in zone a rischio idrogeologico. Stiamo mettendo toppe quando c’è da cucire un nuovo abito per le nostre città». 

Tutto vero e tutto giusto, peccato che Coldiretti sia forse l’associazione più in sintonia – in compagnia di Confindustria -  con il governo Meloni nel chiedere che l’Unione europea rinunci alle politiche climatiche troppo ambiziose dell’European Green Deal e della Nature Restoration Law e che niente abbia detto contro il nuovo condono edilizio targato Salvini e che si batta strenuamente – anche in Toscana – contro le energie rinnovabili necessarie per combattere il riscaldamento globale.

Eppure è la stessa Coldiretti Toscana a far notare che «Nei primi otto mesi dell’anno sono caduti in Toscana oltre 100 mm in più di acqua rispetto alla media stagionale ma nello stesso numero di giorni del 2023 che era stato un anno nella norma. Ha piovuto non solo di più ma in periodi e momenti dell’anno molto diversi ritardando le lavorazioni nei campi e le semine, impedendo allegagioni ottimali, favorendo lo sviluppo di funghi e parassiti e danneggiando produzioni, serre, strutture ed attrezzi. Fattori che hanno fatto venire meno la capacità delle imprese di produrre il reddito necessario alla loro sussistenza e che contano anche sugli aiuti per ripartire. Sostegni che però tardano ad arrivare come nel caso dei 67 milioni di euro del Fondo di Solidarietà dell’Unione Europea destinati alla Toscana in seguito ai gravi eventi naturali del 2023».

Che ogni anno gli agricoltori debbano aspettare ristori “climatici” derivanti anche dalle “eccessive” politiche climatiche europee sembra essere una contraddizione di poco conto e Coldiretti Toscana si lamenta perché «I fondi giungono intempestivamente dopo un anno in cui le aziende agricole hanno dovuto affrontare enormi difficoltà economiche da sole».  E la Cesani denuncia che si tratta di «Un lasso di tempo inaccettabile nei confronti del quale Coldiretti Toscana punta il dito sulla burocrazia che non riesce a rispondere con la rapidità necessaria per affrontare le emergenze che affliggono i nostri agricoltori.  L'attivazione del Fondo è un primo passo, ma è fondamentale l'immediata disponibilità di ulteriori risorse, come già richiesto, per sostenere un settore agricolo gravemente colpito da problematiche ben più ampie, aggravate dai cambiamenti climatici».

Proprio per questo Coldiretti ha chiesto all’Europa, con una lettera indirizzata al Governo italiano, di poter attivare anche in Italia l’opportunità di utilizzare i fondi coesione come annunciato dalla Presidente Von der Leyen per altri Paesi, per un totale di 10 miliardi di euro al 100% a fondo perduto.  

Quale sia il quadro reale, al netto delle simpatie politiche governative, lo spiega bene Nicola Casagli, geologo, docente all'Università di Firenze, presidente dell'l'Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale (Ogs) e membro della commissione grandi rischi che supporta la Protezione civile, in una dichiarazione all'Agenzia Dire che parte dagli stessi dati di Coldiretti: «Succede e succederà quest'anno, l'anno prossimo, tra dieci anni. Perché il problema del dissesto geologico in Toscana, così come in tutta Italia e direi in gran parte dell'Europa meridionale, è un ormai cronico. La questione parte da lontano ed è legata a due fattori ugualmente importanti: il cambiamento climatico e il massiccio consumo di suolo. Il primo ha cambiato il volto delle piogge. In generale, guardando alle medie annue, piove meno, ma in maniera più violenta e concentrata su aree ristrette. Gli eventi che avvengono e che avverranno nei prossimi anni saranno di una violenza tale da mettere in crisi qualsiasi territorio, indipendentemente dalle opere che si possono fare. Perché, quando piovono 200, 300, 400 millimetri di pioggia in poche ore, pressappoco la metà della pioggia che cade a Firenze in un anno, non c'è territorio che tenga per quanto lo possa regimare. E’ una cattiva notizia, che però contiene anche degli aspetti positivi: non ci aspettiamo più alluvioni ricorrenti tipo quella di Firenze del '66. Che non fu solo l'alluvione a Firenze, ma anche del nord-est Italia. Voglio dire, cose così grandi ed estese non saranno impossibili, ma più rare. Tuttavia, per stare in Toscana, eventi come a Livorno nel 2017, a Campi Bisenzio nel 2023, a Marradi nel 2023 e di nuovo nel 2024, sono ormai da mettere all'ordine del giorno».

Per Casagli c’è poi il secondo fattore di peso specifico uguale al primo: «Abbiamo costruito in maniera troppo allegra e disinvolta dovunque, in zone franose, alluvionabili, nelle golene dei fiumi, sugli argini e su pendii instabili, sui vulcani e sulle faglie. E continuiamo a farlo perché il consumo di suolo, monitorato ogni anno dall'Ispra, non accenna a diminuire. Costruire su un terreno vergine costa molto meno che recuperare un'area dismessa. Proprio per questo se sul cambiamento climatico il processo di inversione della rotta, a cui si dovrebbero legare le politiche dei Paesi del globo, è molto lungo, sul consumo di suolo c'è più possibilità di agire, ad esempio rendendo più conveniente, anche con incentivi istituzionali, costruire sul costruito e demolire tante schifezze fatte in passato per ricostruire in maniera più appropriata».

Il presidente Ogs evidenzia la complessità di una situazione che non può essere semplificata o bollata come estremismo ambientalista: «C'è una combinazione di due fattori e su uno è difficilissimo incidere. Sull'altro, invece, si potrebbe agire. Tutto il resto sono palliativi. Per carità, tutto fa bene, però quando piovono 2-300 millimetri di pioggia... La chiave, quindi, è imparare a convivere con il rischio. E cito le Nazioni Unite: al primo posto del protocollo di Sendai c'è proprio la comprensione del rischio dei disastri. Bisogna comprendere come funziona un fiume, una frana, un terremoto. E farlo comprendere ai cittadini, che, se lo fanno, si possono difendere meglio. Mi spiego: i 226 millimetri di pioggia caduti sulla costa toscana sono una quantità spaventosa. Non c'è territorio che possa resistere. Ma le persone possono organizzarsi per subire meno danni possibile, salvandosi la vita. Ancora oggi, infatti, la gran parte delle vittime, così come dei danni alle persone, succedono per comportamenti sbagliati. Faccio un esempio tipico: inizia a piovere forte. C'è l'allerta meteo, ma non ci faccio troppo caso ed esco per spostare la macchina. Questa è la cosa più stupida da fare: quando ho più di 50 centimetri d'acqua sul terreno la macchina comincia a galleggiare; quando ne ho più di 80 non si aprono più gli sportelli e resto in trappola. Se questa cosa la insegnassimo a scuola guida, un sacco di persone si salverebbero. Si muore in macchina durante le alluvioni, raramente in casa. Succede anche quello, ma è molto più difficile. Fino al 2010-12 l'allertamento era incomperabile dalla popolazione. Poi sono stati introdotti i codici colorati: giallo, arancione e rosso. Lì, con il sistema a semaforo, le persone hanno cominciato a capirlo. E posso testimoniare, anche sulla base dell'esperienza maturata in commissione grandi rischi, che il piano ha salvato molte vite. Il punto, piuttosto, sta nel modo con cui vengono maneggiati i dati. Nel sistema di allertamento nazionale è già incorporato il monitoraggio satellitare. A fianco di questi ci sono le reti di sensori a terra. Dieci, quindici anni fa costavano un sacco di soldi, adesso che le spese si sono decisamente abbassate li possiamo disseminare a centinaia di migliaia sul territorio. Questo già avviene, però tutte le attività sono un po' scoordinate. I progetti sono tanti, ma non c'è un sistema organico e integrato capace di mettere insieme tutti gli attori per poter suonare insieme come in un'orchestra. Ci sono tanti solisti, tanti dati e informazioni, ma ancora siamo un po' lontani dal farli suonare insieme, in maniera armonica. Ecco, c'è bisogno di questo».

Umberto Mazzantini

Scrive per greenreport.it, dove si occupa soprattutto di biodiversità e politica internazionale, e collabora con La Nuova Ecologia ed ElbaReport. Considerato uno dei maggiori esperti dell’ambiente dell’Arcipelago Toscano, è un punto di riferimento per i media per quanto riguarda la natura e le vicende delle isole toscane. E’ responsabile nazionale Isole Minori di Legambiente e responsabile Mare di Legambiente Toscana. Ex sommozzatore professionista ed ex boscaiolo, ha più volte ricoperto la carica di consigliere e componente della giunta esecutiva del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.