Il cambiamento climatico potrebbe portare a grandi cambiamenti nella pesca nell’Artico Pacifico
La pesca marina è una fonte essenziale di proteine per gran parte della popolazione mondiale, oltre a garantire la sussistenza di circa 390 milioni di piccoli pescatori e lavoratori del settore ittico, è anche un'industria che secondo la Fao vale circa 141 miliardi di dollari. Ma il cambiamento climatico è una grossa minaccia per la pesca mondiale, in particolare nell'Artico Pacifico. Il Mare di Bering orientale e il Mare dei Ciukci, che ospitano 8 delle attività di pesca più produttive al mondo, stanno già subendo significativi cambiamenti climatici che hanno contribuito al sorprendente crollo degli stock di due specie importanti, il granchio delle nevi e il merluzzo del Pacifico.
Lo studio “Future redistribution of fishery resources suggests biological and economic trade-offs according to the severity of the emission scenario”, pubblicato recentemente su PLOS ONE da un team di ricercatori delle università di Hokkaido e di Tokyo e del National Institute of Polar Research giapponese, ha cercato di comprendere meglio il potenziale impatto del cambiamento climatico sulla pesca nella regione utilizzando la modellazione bioeconomica per studiare come l'abbondanza e la distribuzione di 8 specie di pesci e invertebrati marini commercialmente importanti potrebbero cambiare in una serie di scenari climatici dal 2021 al 2100.
L’autrice principale dello studio, Irene D. Alabia, ricercatrice sui cambiamenti climatici all'Arctic Research Center dell'università di Hokkaido, spiega che «Lo spostamento di stock o popolazioni ittiche fuori dalle loro tradizionali zone di pesca può rappresentare una sfida per i gestori delle risorse e gli stakeholders, esacerbando i rischi di sfruttamento eccessivo e la corsa alla pesca»
Il modello utilizzato dai ricercatori include parametri biologici, come il tasso di crescita della popolazione e il tasso di mortalità per pesca, e parametri economici, come i costi e il reddito associati alla pesca di ogni specie. Il team ha modellato 4 scenari di percorsi socioeconomici basati sul clima: sviluppo sostenibile, una via di mezzo, rivalità regionale e sviluppo basato sui combustibili fossili ed evidenzia che «Con livelli di cambiamento climatico da bassi a moderati, gli ecosistemi marini ben gestiti potrebbero subire solo impatti economici limitati da qui al 2040. Tuttavia, un riscaldamento più estremo, inclusa la perdita di ghiaccio marino, avrebbe impatti più gravi».
Comunque, tutti gli scenari climatici indicano uno spostamento verso nord per tutte le specie studiate a causa della perdita dell'habitat del ghiaccio marino e delle temperature più calde dell'acqua nel Mare di Bering orientale. Lo spostamento più significativo nell'abbondanza è previsto per l'halibut della Groenlandia, con il baricentro della pesca che, nello scenario climatico di impatto più elevato, dovrebbe spostarsi di oltre 80 chilometri per decennio, mentre la pesca del merluzzo dell’Alaska si sposterebbe di circa 30 chilometri per decennio.
Anche nello scenario climatico più estremo, le notizie non sono tutte negative: il merluzzo del Pacifico dovrebbe diventare più abbondant, però ci sarebbe un’ulteriore diminuzione del redditizio granchio delle nevi.
La Alabia sottolinea che «L'entità dei cambiamenti nell'abbondanza variava a seconda delle specie, identificando potenziali vincitori e vinti nel contesto del cambiamento climatico e suggerendo la potenziale ristrutturazione delle future comunità marine nella regione artica del Pacifico».
I ricercatori concludono ribadendo «L'importanza di soluzioni climaticamente intelligenti per proteggere e preservare la pesca marina, al fine di sostenere la sicurezza alimentare e garantire un settore della pesca sostenibile nell'ambito dei cambiamenti climatici».