I più poveri pagano di più i danni legati al clima
Gli individui più poveri all'interno dei singoli paesi subiscono gli impatti economici più gravi del cambiamento climatico. Il dato emerge da uno studio condotto interamente da ricercatori del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) appena pubblicato. Il risultato dell’indagine conferma, in generale, ciò che è già ampiamente riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale, e cioè che il cambiamento climatico impatta società ed economie in tutto il mondo e che questi effetti negativi sono destinati ad aumentare proporzionalmente all’aumentare della temperatura media terrestre. Ma questo studio conferma anche, in particolare, un fattore da tempo dibattuto, e cioè se gli impatti del cambiamento climatico siano o no differenti a seconda dei gruppi di reddito di appartenenza. Ebbene, da quel che risulta ai ricercatori del CMCC non ci sono dubbi: le persone più povere pagano più di tutti gli altri i dannosi effetti della crisi climatica.
Lo studio introduce un nuovo metodo per stimare l’elasticità del reddito degli impatti climatici, fornendo input cruciali per l'analisi delle politiche climatiche. Questa analisi, spiegano fonti del CMCC, è stata possibile combinando più modelli di impatto climatico con dati dettagliati sulla distribuzione del reddito, che insieme offrono una visione più completa delle potenziali disuguaglianze future. Spiega il senior scientist al CMCC Johannes Emmerling: «La nostra ricerca rivela che il cambiamento climatico non è solo una questione globale, ma anche profondamente locale. Abbiamo scoperto che all'interno di ogni paese, sono spesso i più poveri a essere i più vulnerabili agli impatti climatici. Questo sottolinea l'urgente necessità di politiche climatiche che non solo riducano le emissioni, ma affrontano anche queste potenziali disuguaglianze». Aggiunge il ricercatore: «In particolare, abbiamo scoperto che il grande impatto sul PIL, confermato anche in altri studi recenti, ammonta ad una media di quasi zero per il 10% delle persone più ricche all'interno dei paesi. Questo avviene perché le famiglie più ricche hanno un maggior numero di alternative a disposizione in termini di assicurazione e adattamento».
Lo studio mostra che a livello globale, per ogni aumento dell'1% del reddito, i danni climatici diminuiscono di circa lo 0,4% (cioè, un'elasticità dello 0,6), indicando che i danni ricadono in modo sproporzionato sui poveri. Inoltre, la vulnerabilità alle temperature crescenti diminuisce tra i gruppi di reddito all'interno dei paesi e, entro il 2100, il cambiamento climatico potrebbe aumentare l'indice di Gini (una misura della disuguaglianza) fino a 6 punti in alcuni paesi, in particolare nell'Africa subsahariana e nel Medio Oriente. Uno scenario che fa trarre la seguente conclusione, al co-autore dello studio e ricercatore postdoc al CMCC Francesco Granella: «È cruciale considerare i gap di adattamento e gli effetti distributivi quando si progettano strategie di adattamento e mitigazione climatica».