
Cina, il video virale contro l’inquinamento che piace anche al governo

Ieri scrivevamo della rivoluzione annunciata dal nuovo ministro cinese della protezione dell’ambiente, Chen Jining, ed una conferma che per le politiche ambientali qualcosa nel Paese più popolato del mondo sta cambiando è venuta da un fatto clamoroso: durante lo scorso fine settimana: 175 milioni di cinesi, più di tutta la popolazione del Bangladesh, quasi tre volte quella italiana, hanno potuto vedere indisturbati e senza censure un documentario di 104 minuti: "Under the Dome – Investigating China’s Smog” (che pubblichiamo anche noi di greenreport.it) girato dalla regista ed ex giornalista ambientale, Chai Jing.
Questo film pubblicato su You Tube ha catturato l’attenzione del pubblico cinese perché parla di uno dei temi più sentiti: i devastanti effetti dell'inquinamento atmosferico prodotto dalle centrali elettriche a carbone e dalle emissioni del crescente traffico automobilistico. La sorpresa è che il governo ed il Partito comunista cinese non abbiano censurato e oscurato un documentario che mette in cattiva luce le politiche ambientali della Cina. Anzi, il nuovo ministro Chen Jining, anche elogiato il film ambientalista dicendo che «Riflette la crescente preoccupazione dell’opinione pubblica per la tutela dell'ambiente e le minacce per la salute umana» e lo ha paragonato alla pubblicazione nel 1962 di “Primavera silenziosa” di Rachel Carson, il libro che ha dato l’avvio alla nascita del movimento ambientalista negli Usa e in Europa.
Se in molti paragonano il film della Chai, pieno di grafici e rimandi visivi, ad “An Inconvenient Truth” di Al Gore, in realtà il film autofinanziato della regista cinese ha una motivazione fortemente personale, che ricorda quella che ha spinto la famosa saggista canadese Naomi Klein a scrivere il suo recente “Una rivoluzione ci salverà . Perché il capitalismo non è sostenibile”. Infatti, come la Klein, Chai non aveva mai dato molta attenzione all’ambiente e nemmeno allo smog che avvelenava la sua città natale, Pechino, ma le cose sono cambiate quando nel 2013 ha scoperto di essere incinta e poco dopo ha saputo dall’ecografia che suo figlio aveva un tumore benigno.
Nel video CHai spiega: «Prima non avevo mai avuto paura dell’inquinamento e non avevo mai indossato una mascherina, non importa dove vivessi. Ma quando si porta una vita dentro di sé, quel che respira, mangia e beve è una nostra responsabilità, e quindi si prova paura».
La Chai è stata addirittura intervistata dal Quotidiano del Popolo, l’organo ufficiale del Partito comunista cinese, al quale ha confermato che la figlia, sopravvissuta ad un intervento chirurgico, è stata una ragione importante della sua decisione di girare il video: «Se non avessi avuto questo tipo di slancio emotivo, avrei trovato molto difficile trascorrere così tanto tempo a realizzare tutto questo».
Naturalmente le accuse non mancano: Chai e suo marito sono criticati perché sono abbastanza ricchi da poter far nascere la loro figlia negli Usa e qualcuno ha detto che l'inquinamento non era la causa del tumore della sua bambina. Ma questo misto di invidia e recriminazione sembra essersi affievolito dopo il successo del documentario e la benevola ed inaspettata accoglienza del regime che sembra voler usare il film come un elemento della radicale campagna contro l’inquinamento – e i funzionari corrotti - in un Paese con 1,35 miliardi di abitanti e con circa 600 milioni di loro colpiti dagli effetti di un inquinamento diffuso e persistente prodotto da una crescita sfrenata durata 30 anni, effetti che "Under the Dome" mostra senza infingimenti propagandistici.
Un recente rapporto dell’Health Effects Institute stimato che lo smog in Cina abbia causato circa 1,2 milioni di morti premature solo nel 2010. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2012 circa 7 milioni di persone sono morte per l'esposizione all'inquinamento atmosferico e la maggior parte di questi decessi è avvenuto nell’Asia meridionale e in Asia orientale.
Il pericolo in Cina viene soprattutto dal particolato PM 2,5 che diversi studi collegano alla crescita esponenziale di malattie cardiache, diabete, malattie autoimmuni, lupus ed altri disturbi.
Nel 2014 ad Harbin, nel nord-est della Cina l’indice del PM 2,5 ha raggiunto quota 1.000, più di tre volte la soglia giornaliera di 300 che è considerata pericolosa per la salute, l’Oms raccomanda un’esposizione a non più di 20. Un altro studio dice che l’inquinamento riduce di 5 anni e mezzo la speranza di vita media nel nord della Cina, dove l’aria tossica ha fatto esplodere i casi di ictus, malattie cardiache e cancro.
Il film di Chai, che nello stile si ispira ai TED TalK, utilizza interviste al pubblico in studio e filmati esterni, sia in Cina che all’estero. In una scena particolarmente straziante, un medico rimuove un linfonodo sporco e annerito da una donna di 50 anni che no ha mai fumato. Il film non lesina le critiche ai funzionari locali cinesi, all’applicazione lassista delle normative ambientali, in particolare per quanto riguarda il rispetto dello standard “China IV” da parte di auto e mezzi di trasporto.
Uno dei più noti ambientalisti cinesi, Ma Jun, ha detto al GUardian che questo documentario costato solo 160.000 dollari è diventato «Uno dei pezzi più importanti di tutti i tempi della costruzione della consapevolezza pubblica da parte dei media cinesi. E' potente perché è motivato da una storia personale e ha feeling con quel che può riguardare le persone. Inoltre aver mantenuto sia standard di giornalismo investigativo, sia aver vagliato correttamente le parte scientifica e tecnologica, è una combinazione potente».
