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Diritto, non crimine: in Italia cresce la repressione degli attivisti per il clima

Onufrio (Greenpeace): «Comprendere che stiamo correndo un serio pericolo anziché continuare a reprimere il dissenso nonviolento e alimentare una narrazione anti-ambientalista»
 |  Crisi climatica e adattamento

Il primo rapporto italiano sull’ondata repressiva che sta investendo chi manifesta pacificamente per la giustizia climatica è stato presentato oggi a Genova, a bordo della nave MV Arctic Sunrise di Greenpeace ormeggiata al Porto Antico.

Il report, dal titolo “Diritto, non crimine. Per la Madre Terra, la giustizia sociale, ambientale e climatica”, è il risultato di un lavoro collettivo coordinato dalla Rete In Difesa Di e da Osservatorio Repressione; è scaturito da un gruppo di lavoro promosso all’indomani della visita accademica nell’aprile 2023 in Italia di Michel Forst, relatore speciale delle Nazioni Unite per i difensori dell’ambiente, nell’ambito della Convenzione di Aarhus.

Da allora, legali, avvocati di movimenti quali No TAP e No TAV, rappresentanti della rete In Difesa Di, organizzazioni tra cui Greenpeace Italia, Amnesty International Italia, Yaku, A Sud, Extinction Rebellion XR! Italia, Fridays for Future, Ultima Generazione, Osservatorio Repressione, Per il Clima fuori dal Fossile, Controsservatorio Valsusa e CASE Italia si sono incontrati periodicamente per scambiare esperienze e pratiche di repressione e difesa legale.

«Nel caso dell’Italia, disposizioni normative adottate ad hoc per contrastare, reprimere o dissuadere associazioni e movimenti dal praticare il loro legittimo diritto a difendere l’ambiente e il clima risultano in gravi restrizioni – se non violazioni – degli impegni presi dal nostro Paese sul rispetto delle libertà civili, di espressione, associazione, manifestazione e sulla tutela e il rispetto dell’operato di chi difende i diritti umani e dell’ambiente», dichiara Francesco Martone, portavoce della Rete in Difesa Di.

Nel rapporto si denuncia la crescente criminalizzazione della protesta pacifica per il clima, attuata attraverso leggi, provvedimenti e processi contro attivisti e attiviste che praticano la disobbedienza civile e l’azione diretta nonviolenta, spesso etichettati come “criminali”, “eco-vandali” o “nemici dell’ordine pubblico”. La torsione repressiva vissuta da queste realtà in Italia è il riflesso di un fenomeno che da tempo persiste e si aggrava a livello internazionale e in Europa, in modo particolare, negli ultimi anni.

«Gli impatti sempre più evidenti della crisi climatica investono anche il nostro Paese, da Nord a Sud, così come evidenziano le cronache recenti e i dati da noi registrati – osserva Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia – Anziché continuare a reprimere il dissenso nonviolento e alimentare una narrazione “anti-ambientalista” che non giova alla causa, politica, aziende e finanza dovrebbero comprendere che stiamo correndo un serio pericolo e ascoltare finalmente la voce di chi protesta per attuare misure concrete e mitigare gli effetti del surriscaldamento globale: è in gioco il futuro di tutte e tutti noi».

Negli ultimi mesi, l’Italia ha vissuto un’impennata di azioni legali e amministrative contro individui e gruppi impegnati per la giustizia climatica, inclusi arresti, multe e misure preventive, come fogli di via e Daspo.

La gran mole di procedimenti aperti e lo spropositato numero di persone sotto indagine, insieme all’introduzione di reati e circostanze aggravanti specificamente modellati sulle proteste ambientaliste e ai reiterati aumenti delle pene previste per blocco stradale (da ultimo anche nella bozza di “Pacchetto Sicurezza” al vaglio del Parlamento), hanno comunque prodotto un disincentivo ad agire, indipendentemente dall'esito dei procedimenti.

Un quadro ulteriormente aggravato da sanzioni pecuniarie spropositate che, insieme alle alte spese legali, mirano ad azzoppare la capacità di iniziativa di organizzazioni e movimenti, di fatto pregiudicando il diritto alla libertà di associazione.

«Le nostre richieste a governo e Parlamento sono chiare e fondate sul diritto internazionale – conclude Ludovico Basili di Osservatorio Repressione – Anzitutto, contrastare le narrazioni che dipingono i difensori dell’ambiente e i loro movimenti come criminali e promuovere la tutela delle loro libertà di espressione, riunione pacifica e associazione. Garantire il diritto al ricorso a pratiche di disobbedienza civile senza limitare lo spazio civico e l’esercizio delle libertà fondamentali. Abbandonare ogni misura o pratica che risulti in un effetto dissuasivo sull’attivismo ambientale e climatico. L’operato del settore giudiziario ed eventuali sentenze riguardo i casi di protesta ambientale e per la giustizia climatica dovranno essere in linea con gli impegni internazionali sui diritti civili e ambientali sottoscritti dall’Italia».

Redazione Greenreport

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