L’allarmate impatto dei cambiamenti climatici sulle comunità di rifugiati
Secondo l’United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR), «Eventi climatici estremi e disastri naturali devastanti stanno sconvolgendo molte comunità di rifugiati e di sfollati in tutto il mondo, aggravando la loro condizione e, in alcuni casi, costringendoli a ripartire da zero».
Un allarme che arriva dopo che una serie di inondazioni catastrofiche, terremoti, cicloni, tempeste e ondate di caldo hanno colpito i rifugiati e gli sfollati interni in Africa, nelle Americhe e in Asia.
A maggio, in Brasile le devastanti inondazioni che hanno colpito lo Stato del Rio Grande do Sul hanno ucciso almeno 170 persone e causato 630.000 sfollati, colpendo circa 2,39 milioni di persone, tra queste ci sono 43.000 rifugiati e altre persone che necessitano di protezione internazionale, tra i quali venezuelani, haitiani e cubani.
I rifugiati del Rio Grande do Sul hanno raccontato ai team dell’UNHCR come sono sfuggiti alla morte, hanno perso i loro insediamenti, le loro case, i loro beni e persino le loro attività. Nella periferia della capitale Porto Alegre, una madre rifugiata ha raccontato che la favela dove viveva è stata spazzata via e ha dovuto rifugiarsi su un tetto, aspettando due giorni prima di essere salvata. Sebbene le acque si stiano ritirando, le conseguenze si fanno ancora sentire. ALL’UNHCR spiegano che «I brasiliani e i rifugiati che hanno perso le loro case sono ora ospitati in rifugi di emergenza o condividono case private con molte altre famiglie colpite. A quasi due mesi di distanza, molti scelgono di tornare alle loro case, anche in aree ad alto rischio e senza condizioni di vita decenti. Con l’avvicinarsi dell’inverno e l’abbassamento delle temperature, aumentano anche i rischi per la salute».
Le ultime inondazioni in Brasile fanno seguito a una sequenza di altri eventi climatici estremi, compreso mega-incendi e una delle siccità peggiori di sempre.
L’UNHCR sta collaborando con le autorità brasiliane per fornire un riparo d’emergenza agli sfollati, identificare le persone più vulnerabili e sostenerle con consulenze e orientamento per la documentazione e l’assistenza di protezione sociale, distribuendo beni di soccorso – come materassi e articoli da cucina – e fornendo sostegno psicosociale e altri servizi di base e specializzati. Ma i bisogni sono enormi e continueranno a crescere.
Nelle ultime settimane, disastri climatici hanno colpito anche regioni dell’Afghanistan, del Bangladesh e dell’Africa orientale.
In tutta l’Africa orientale e nella regione dei Grandi Laghi, centinaia di migliaia di rifugiati e sfollati interni stanno ancora affrontando le gravi conseguenze delle devastanti inondazioni che hanno colpito la regione tra aprile e maggio. l’UNHCR sottolinea che «In Burundi, Etiopia, Kenya, Ruanda e Somalia – i Paesi più colpiti – le case di molti rifugiati sono state inondate o distrutte e le infrastrutture critiche, tra cui strade, sistemi di drenaggio e strutture igieniche, sono state danneggiate. Perdendo le loro case e i loro mezzi di sostentamento, molti rifugiati sono stati costretti a spostarsi ancora una volta in cerca di sicurezza».
L’UNHCR è molto preoccupato anche per l’elevato rischio di inondazioni in Sudan e Sud Sudan, dove sono in corso forti piogge stagionali nelle aree che ospitano migliaia di persone fuggite dalla sanguinosa guerra civile scoppiata un anno fa tra esercito e milizie. Anche in Ciad, che ha accolto 600.000 rifugiati sudanesi dall’inizio della guerra, le forti piogge stanno danneggiando i rifugiati e le infrastrutture nella parte orientale del Paese.
L’UNHCR avverte che «Sebbene ci sia ancora un’opportunità per rafforzare la preparazione, la grave mancanza di fondi per l’assistenza umanitaria di base sia in Sudan che nei Paesi vicini rischia di peggiorare la situazione. L’UNHCR è sul terreno, a sostegno dei governi e dei partner, per fornire assistenza urgente alle persone più colpite e rafforzare gli sforzi di preparazione. Poiché si prevede che la situazione peggiorerà nel corso dell’anno».
L’UNHCR ha lanciato un appello per quasi 40 milioni di dollari per assistere e proteggere 5,6 milioni di rifugiati, rimpatriati, sfollati interni e comunità locali in Burundi, Etiopia, Somalia, Ruanda, Sud Sudan e Sudan. I fondi serviranno a fornire beni di prima necessità, tra cui alloggi, assistenza in denaro per aiutare le famiglie colpite dalle inondazioni ad acquistare beni primari, nonché a potenziare i servizi idrici e igienico-sanitari nei luoghi di sfollamento e nelle comunità ospitanti. Il sostegno sarà destinato anche alla riabilitazione e alla ricostruzione di infrastrutture come sistemi idrici, strade di accesso e dighe di protezione dalle inondazioni.
L’UNHCR continua a chiedere a tutti i Paesi ospitanti e alla comunità internazionale di «includere i rifugiati e le altre popolazioni sfollate nei programmi di protezione sociale, nei piani di emergenza, nei piani di mitigazione dei rischi, di ricostruzione e di adattamento. Le comunità ospitanti e i governi hanno bisogno di sostegno e investimenti per garantire che queste popolazioni siano attrezzate per resistere e rispondere a questi shock quando si verificano, per costruire la resilienza e per mantenere la stabilità».
l’Agenzia Onu per i rofugiati conclude: «La frequenza, l’intensità e l’entità di questi disastri climatici sono un segnale di allarme per il mondo che non deve essere ignorato. Sebbene la crisi climatica abbia un impatto su tutti a livello globale, a farne le spese sono i più vulnerabili, che hanno contribuito in misura minore ai cambiamenti climatici. Il mondo deve agire ora per garantire che le comunità più vulnerabili non vengano lasciate indietro».