Migrazione climatica, ActionAid: ampliare il permesso di soggiorno per calamità
Grazie a una indagine svolta in Gambia, uno dei Paesi africani dove la migrazione interna e internazionale è più forte e la crisi climatica mostra i suoi segni attraverso siccità, desertificazione, salinizzazione ed erosione del suolo, il nuovo rapporto “Il Cambiamento Climatico non conosce frontiere” pubblicato da ActionAid analizza il rapporto tra clima e migrazioni internazionali, gli aspetti giuridici, normativi della mobilità umana legata ai disastri naturali, al degrado ambientale e al clima che cambia e le politiche europee e italiane improntate alla deterrenza e all’esternalizzazione delle frontiere.
ActionAid fa notare che «In Paesi come il Gambia, dove il 65% della popolazione vive nelle aree urbane e dove la povertà generalizzata, la disoccupazione, il declino del turismo e dell’agricoltura sono determinanti per la spinta alla migrazione, è necessario rafforzare le strategie di adattamento climatico e ambientale, sostenendo coloro che decidono di rimanere nel luogo di origine, ma, allo stesso tempo, proteggere e supportare chi decide o è costretto a spostarsi verso i centri urbani o al di fuori del Paese, massimizzando così il potenziale della migrazione come strategia di adattamento».
Il rapporto mette in luce come «Unione Europea e Italia non riconoscano la necessità di garantire maggiore protezione a chi si sposta e si sposterà per fuggire da luoghi divenuti invivibili». Per ActionAid «L’Italia deve rafforzare la protezione per chi si muove in risposta ai disastri, al cambiamento climatico e al degrado ambientale».
Il rapporto ricorda che «La crisi climatica è uno dei fattori di vulnerabilità che influenza le decisioni migratorie di milioni di persone del pianeta: movimenti dalle campagne ai centri urbani, spostamenti interni ai paesi, fino alle migrazioni internazionali. Un fattore destinato a contare sempre di più con l’inasprirsi dell’impatto degli eventi ambientali estremi improvvisi e progressivi. Siccità, ondate di calore, inondazioni e tempeste stanno causando devastanti conseguenze sociali ed economiche, costringendo la metà della popolazione mondiale a fronteggiare difficoltà nell’accesso all’acqua, riduzioni della produttività agricola e il deterioramento e l’erosione dei mezzi di sussistenza».
Se i fattori ambientali sono identificati come minacce o “moltiplicatori di vulnerabilità”, capaci di esacerbare condizioni di iniquità preesistenti, come si decide di migrare o restare? ActionAid mostra come «Le disuguaglianze e le dinamiche di potere esistenti svolgono un ruolo determinante nel risultato del percorso migratorio, influenzandone la destinazione, la durata e le condizioni».
Roberto Sensi, policy advisor global inequality ActionAid Italia, denuncia che «La governance internazionale delle migrazioni attuale è il risultato di profonde disuguaglianze economiche e sociali. In questo contesto, gli interessi degli stati prevalgono sui diritti umani, con un’agenda incentrata sul paradigma della deterrenza e sull’esternalizzazione delle frontiere. La risposta alle migrazioni climatiche risente di questo approccio, focalizzandosi esclusivamente sulla dimensione esterna che promuovere l’adattamento in situ, trascurando l’ampliamento della protezione legale interna come efficace intervento a sostengo della migrazione come forma adattamento ai cambiamenti climatici».
Oggi non esiste una protezione umanitaria stabilita dal quadro giuridico europeo per i migranti climatici e il rapporto fa notare che «L’Unione Europea sotto la presidenza di Ursula Von Der Leyen ha creato frammentazione e separazione delle politiche di risposta distinguendo nettamente le iniziative del Green Deal Europeo dalla governance della migrazione e dell’asilo attraverso il Nuovo Patto sulla Migrazione e sull’Asilo, inspirato dal paradigma della deterrenza. Il Patto menziona il cambiamento climatico tra le maggiori sfide globali che caratterizzano il presente e il futuro dei flussi migratori, senza tuttavia adottare impegni concreti in tal senso. La sua definitiva messa in atto consoliderà però di fatto le tendenze escludenti e selettive sperimentate su scala europea e nazionale negli ultimi dieci anni. Attraverso l’adozione uniforme sul territorio degli Stati membri dell’approccio hotspot e dell’esternalizzazione delle frontiere il rischio concreto è quello di un sostanziale svuotamento del diritto d’asilo».
Attualmente, la protezione per chi è costretto a fuggire a causa di fattori climatici ed ambientali è affidata alla competenza nazionale. ActionAid spiega che «In Italia, nonostante le modifiche alle norme sul diritto d’asilo apportate dal 2018 in poi con il susseguirsi di Governi di colori e composizioni diversi, la protezione temporanea – che fornisce protezione collettiva e temporanea “per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in Paesi non appartenenti all’Unione Europea”- viene affiancata proprio nel 2018 da uno strumento specifico e individuale, il Permesso di soggiorno per calamità, che da protezione a chi fugge per cause climatico-ambientali di migrazione. Il Governo Meloni elimina la possibilità di convertire in permesso di soggiorno per motivi di lavoro quello ottenuto per calamità e limita le possibilità di rinnovo, garantendo un livello minimo di protezione e non lascia spazio per una maggiore permanenza del beneficiario sul territorio nazionale».
Nelle raccomandazioni finali il report chiede al Governo italiano di: «Chiarire l’ambito di applicazione e i criteri specifici di ogni status di protezione nazionale in grado di coprire le cause ambientali e climatiche della migrazione, con particolare riferimento alla protezione speciale e al permesso di soggiorno per calamità, per facilitarne la corretta attuazione a beneficio dei potenziali beneficiari. Riportare l’Articolo 20bis del Testo Unico sull’Immigrazione (TUI) nella sua versione del 2020, in modo da garantirne la convertibilità in un permesso di soggiorno per motivi lavorativi e la possibilità di rinnovo, facilitando così l’integrazione economica e l’inclusione sociale dei beneficiari. Valutare l’attivazione delle misure di emergenza e collettive previste dall’articolo 20 del Testo Unico sull’Immigrazione (TUI) sulla Protezione Temporanea nel contesto dei disastri naturali, nel caso in cui ce ne sia bisogno, affinché diventi una norma operativa e attuativa».