
Guerra del Sudan: la più grande tragedia umanitaria del mondo ignorata dalla comunità internazionale

A due anni esatti dallo scoppio della brutale guerra in Sudan tra i militari golpisti delle Sudanese Armed Forces (SAF) e i loro ex alleati delle Rapid Support Forces (RSF) - che insieme avevano impedito la transizione verso un governo civile dopo il rovesciamento del dittatore Omar Al-Bashir – il segretario generale dell’Onu António Guterres ha fatto appello alla comunità internazionale perché non dimentichi le sofferenze del popolo sudanese.
E mentre la violenza cresce ancora, alimentata dal massacro di civili legato all'avanzata delle SDF nel Darfur nel fine settimana, Guterres ha ricordato che «A due anni dall'inizio di una guerra devastante, il Sudan è ancora in preda a una crisi di proporzioni sconcertanti, con i civili che pagano il prezzo più alto. Bombardamenti indiscriminati e attacchi aerei continuano a uccidere e mutilare. Mercati, ospedali, scuole, luoghi di culto e campi di sfollati vengono attaccati. La violenza sessuale è dilagante, con donne e ragazze sottoposte ad atti orribili. I civili subiscono gravi violazioni e abusi da parte di tutte le parti in conflitto. Quasi 12 milioni di persone sono fuggite dalle loro case, in quella che è diventata la più grande crisi di sfollamento del mondo. Oltre 3,8 milioni di queste persone hanno attraversato il confine verso i Paesi confinanti. Oltre 30 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria. Metà della popolazione – circa 25 milioni di persone – soffre di una fame acuta. Con l'avvicinarsi della stagione magra, la carestia è stata identificata in almeno cinque località e si prevede che si estenderà ulteriormente».
Luca Renda, rappresentante dell’United Nations Development Programme Programma (UNDP) per il Sudan, aggiunge che, dopo la recente riconquista della capitale sudanese da parte delle SAF, «La situazione a Khartoum è estremamente critica, soprattutto nelle zone in cui il conflitto è stato intenso. Ho visto una massiccia distruzione delle infrastrutture, nessun accesso all'acqua, nessuna elettricità e naturalmente molta contaminazione da ordigni inesplosi».
Il massacro, attribuito alle RSF e alle milizie loro alleate nei campi di Zamzam e Abu Shouk nel Darfur, è costato la vita a 400 civili e 10 operatori sanitari della ONG Relief International. Si tratta solo dell'ultima tragedia di un conflitto segnato da livelli orribili di violenza sessuale. Secondo l' International Organization for Migration (IOM), circa 80.000 persone sono già fuggite da Zamzam, ma potrebbero presto arrivare a 400.000. Gli uomini rifugiati erano il bersaglio principale delle milizie ribelli e sono fuggiti per raggiungere il capoluogo regionale, El Fasher, che rimane sotto il controllo dell’esercito sudanese nonostante i continui attacchi delle RSF.
Mentre la comunità internazionale finge di non vedere quella che è diventata la più grande tragedia umanitaria del mondo (oppure ne è complice), il capo dell’Onu ha denunciato che «Gli operatori umanitari sono stati presi di mira: almeno 90 hanno perso la vita dall'inizio dei combattimenti. I servizi di base sono stati decimati, milioni di bambini sono stati privati dell'istruzione e meno di un quarto delle strutture sanitarie è operativo nelle aree più colpite. Gli attacchi alle infrastrutture hanno lasciato le persone senza elettricità e accesso all'acqua potabile. Lo scorso anno, le Nazioni Unite e i suoi partner hanno raggiunto oltre 15,6 milioni di persone con almeno una forma di assistenza. Ma i bisogni rimangono enormi. Il conflitto e l'insicurezza, uniti agli ostacoli burocratici e ai drastici tagli ai finanziamenti, hanno impedito agli operatori umanitari di aumentare la loro presenza in molte aree dove l'assistenza è più necessaria. I civili continuano a sopportare il peso del disprezzo delle parti per la vita umana. Oltre ai loro obblighi ai sensi del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale dei diritti umani, le parti in conflitto si sono impegnate a proteggere i civili, anche nella Dichiarazione di Jeddah del maggio 2023. Tali impegni devono tradursi in azioni concrete. Sono inoltre cruciali indagini indipendenti, imparziali e trasparenti su tutte le segnalazioni di violazioni e abusi».
Parlando da Port Sudan, Mohamed Refaat, capo della missione IOM in Sudan, ha detto che «Le donne sopravvissute alla violenza sessuale MI hanno raccontato di essere state aggredite davanti ai loro mariti feriti, davanti ai loro figli urlanti».
Anna Mutavati, direttrice regionale di UN Women per l'Africa orientale e meridionale conferma la gravità dell’attacco alle donne: «A ciò si aggiunge un sorprendente aumento del 288% nella richiesta di assistenza salvavita in seguito a stupro e violenza sessuale. Abbiamo anche assistito a quello che sta iniziando ad apparire come un uso sistematico dello stupro e della violenza sessuale come arma di guerra. In questa guerra, abbiamo visto le vite e i corpi delle donne trasformarsi in campi di battaglia».
Guterres sottolinea che «L'unico modo per garantire la protezione dei civili è porre fine a questo conflitto insensato. Sono profondamente preoccupato per il fatto che armi e combattenti continuino ad affluire in Sudan, permettendo al conflitto di persistere e diffondersi in tutto il Paese. Il sostegno esterno e il flusso di armi devono cessare. Coloro che hanno maggiore influenza sulle parti in causa devono utilizzarli per migliorare la vita della popolazione sudanese, non per perpetuare questo disastro. Sono urgentemente necessari sforzi politici globali, rivitalizzati e ben coordinati per impedire l'ulteriore frammentazione del Sudan. Come comunità internazionale, dobbiamo trovare il modo di aiutare il popolo sudanese a porre fine a questa indicibile catastrofe e stabilire accordi di transizione accettabili».
Quella in atto in Sudan è anche la più grande crisi di sfollamento di bambini al mondo: la metà deglio oltre 30 milioni di persone che necessitano di assistenza umanitaria sono bambini. A causa del conflitto quasi 15 milioni di persone sono sfollate all'interno del Sudan e oltre i confini. Più della metà degli sfollati sono bambini. Quasi uno su tre ha meno di cinque anni. Nelle aree in cui si presentano opportunità di ritorno, gli ordigni inesplosi e l'accesso limitato ai servizi essenziali mettono a rischio la vita dei bambini. La carestia si sta diffondendo, i tassi di vaccinazione sono in calo e circa il 90% dei bambini non va a scuola.
Con l'inizio del terzo anno di guerra, in Sudan il numero di bambini che hanno bisogno di assistenza umanitaria è raddoppiato, passando dai 7,8 milioni dell'inizio del 2023 agli oltre 15 milioni di oggi. Per l’Unicef, «Senza un'azione urgente, la grave crisi umanitaria del Sudan potrebbe sfociare in una catastrofe ancora più grave. La violenza delle parti contro i bambini, la fame e le malattie sono in aumento. Lo sfollamento continua a sconvolgere le vite, l'accesso degli operatori umanitari alle famiglie e i finanziamenti si riducono e la stagione delle piogge da maggio a ottobre - che spesso provoca inondazioni dirompenti e un aumento della malnutrizione e delle malattie - incombe».
La direttrice generale dell'Unicef, Catherine Russell, è molto preoccupata: Due anni di violenze e sfollamenti hanno sconvolto la vita di milioni di bambini in tutto il Sudan. I bisogni continuano a superare i finanziamenti umanitari. "Con la stagione delle piogge alle porte, i bambini che stanno già soffrendo per la malnutrizione e le malattie saranno più difficili da raggiungere. Esorto la comunità internazionale a cogliere questa finestra d'azione cruciale e a farsi avanti per i bambini del Sudan. Il Sudan è oggi la più grande crisi umanitaria del mondo, ma non riceve l'attenzione del mondo. Non possiamo abbandonare i bambini del Sudan. Abbiamo le competenze e la determinazione per aumentare il nostro sostegno, ma abbiamo bisogno di accesso e di finanziamenti sostenuti. Soprattutto, i bambini del Sudan hanno bisogno che questo orribile conflitto finisca».
Guterres conclude: «Il Sudan rimane una priorità assoluta per le Nazioni Unite. Continuerò a collaborare con i leader regionali per individuare le modalità per potenziare i nostri sforzi collettivi per la pace. Questo integrerà il lavoro in corso del mio Inviato Personale, Ramtane Lamamra, che cercherà di garantire che gli sforzi di mediazione internazionale si rafforzino reciprocamente. Continuerà inoltre a esplorare con le parti le modalità per avvicinarle a una soluzione pacifica e sostenere e rafforzare i civili nel loro impegno verso una visione comune per il futuro del Sudan. Dobbiamo rinnovare la nostra attenzione sulla fine di questa brutale guerra che potrebbero portare alla sua frammentazione in regioni controllate dal governo e dall'opposizione. Il mondo non deve dimenticare il popolo sudanese».
