
«La guerra non fa che devastare le comunità e l’ambiente, senza offrire soluzioni ai conflitti»

Il Pontefice si sta lentamente riprendendo dalla lunga fase di malattia che l’ha costretto in ospedale, al policlinico Gemelli di Roma, da ormai oltre un mese. Da qui ha rivolto una missiva al Corriere della Sera per riaccendere la speranza della pace, oggi così travagliata dall’Ucraina a Gaza.
«La fragilità umana – scrive Papa Francesco – ha il potere di renderci più lucidi rispetto a ciò che dura e a ciò che passa, a ciò che fa vivere e a ciò che uccide. Forse per questo tendiamo così spesso a negare i limiti e a sfuggire le persone fragili e ferite: hanno il potere di mettere in discussione la direzione che abbiamo scelto, come singoli e come comunità».
Da qui l’appello a mettere in campo sforzi di pace, per l’umanità quanto per l’ambiente dal quale tutti traiamo la vita: «Mentre la guerra non fa che devastare le comunità e l’ambiente, senza offrire soluzioni ai conflitti, la diplomazia e le organizzazioni internazionali hanno bisogno di nuova linfa e credibilità». Uno sforzo cui anche al giornalismo è chiesto di collaborare, con un incoraggiamento a «tutti coloro che dedicano lavoro e intelligenza a informare, attraverso strumenti di comunicazione che ormai uniscono il nostro mondo in tempo reale: sentite tutta l’importanza delle parole. Non sono mai soltanto parole – osserva Papa Francesco – sono fatti che costruiscono gli ambienti umani. Possono collegare o dividere, servire la verità o servirsene. Dobbiamo disarmare le parole, per disarmare le menti e disarmare la Terra. C’è un grande bisogno di riflessione, di pacatezza, di senso della complessità».
Si tratta di un messaggio ampiamente in linea con quello ecologista proposto dal grande economista Nicholas Georgescu-Roegen, ispiratore della moderna economia ecologica, che ha lasciato in eredità al mondo un Programma bioeconomico minimale, fondato sull’idea di ridurre gli sprechi e di usare le risorse scarse a nostra disposizione per godersi le comodità prodotte dallo sviluppo tecnologico. Un programma in otto “semplici” punti, in vetta ai quali spicca un’esortazione categorica: «La produzione di tutti i mezzi bellici, non solo la guerra, dovrebbe essere completamente proibita».
Un orizzonte cui oggi anche l’Ue e i suoi Stati membri sono chiamati a riflettere, per aumentare la difesa del Vecchio continente senza portare a una corsa al riarmo nazionale; già oggi la spesa militare degli Stati membri e Nato europei eccede quella russa del 56%, ma è il mancato coordinamento tra le forze armate a rendere deboli. Se dunque sembra oggi inevitabile dover aprire a nuovi investimenti in difesa e armamenti per garantire una maggiore autonomia strategica all’Ue rispetto all’alleato (ex?) statunitense, è indispensabile metterli in campo attraverso una regia e un debito unico in Europa, improntando ogni spesa aggiuntiva all’efficienza, senza togliere spazio agli ancora più necessari investimenti in welfare e contro la crisi climatica; altrimenti, la conseguenza del riarmo non sarà che quella ci alimentare rabbia, estremismi e nuova conflittualità (anche) all’interno dei nostri confini.
