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La denuncia di Greenpeace: «Attività illecite della flotta fantasma russa al largo della Sicilia»

Nell’inchiesta condotta dall’associazione ambientalista si parla anche di complicità italiane in queste operazioni illecite
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Le operazioni illecite sono andate avanti per mesi. Con complicità italiane. Da metà 2024 la cosiddetta “flotta fantasma” russa, costituita dalle navi usate da Mosca per aggirare l’embargo europeo sul petrolio imposto dopo l’invasione dell’Ucraina, opera al largo della Sicilia, a poche centinaia di metri dalle acque territoriali del nostro Paese. È quanto emerge da un’inchiesta di Greenpeace Italia, diffusa ieri sera in anteprima dalla trasmissione Report di Rai3, che denuncia connivenze italiane in attività vietate che, oltre a finanziare la macchina da guerra di Putin, costituiscono un grave rischio per l’ambiente.

L’Unità investigativa di Greenpeace Italia ha monitorato le attività di 52 petroliere al largo del Golfo di Augusta da gennaio a novembre 2024, individuando 33 trasferimenti di petrolio da una nave all’altra (ship to ship transfer) in mare aperto. Circa 1,26 milioni di tonnellate di petrolio e combustibili (pari al 24% dei volumi scambiati) sono state trasferite tra coppie di imbarcazioni di cui una riconducibile alla flotta fantasma russa. Quasi 1,9 milioni di tonnellate di petrolio (il 36% del totale) sono state scambiate da navi vecchie e non adeguatamente assicurate, che aumentano i rischi ambientali ed economici di eventuali sversamenti di petrolio in mare. 

L’organizzazione ambientalista ha documentato che, in violazione delle sanzioni europee, l’Italia ha permesso a navi sanzionate o sanzionabili di attraccare nei nostri porti, mentre alcune società italiane hanno prestato servizi di assistenza tecnica a navi parte della flotta fantasma russa. L’inchiesta ricostruisce anche i legami tra la flotta fantasma e alcune petroliere che navigano impunite nel Mediterraneo, talvolta con i sistemi di tracciamento spenti e che, finora, sono riuscite a sottrarsi alle sanzioni europee. Alcune di queste sono coinvolte in trasferimenti riconducibili al contrabbando di prodotti petroliferi raffinati di origine russa in Libia. Nella flotta fantasma russa, Greenpeace Italia ha scoperto infine la presenza di navi che fino a poco tempo fa erano italiane.

«Da tre anni i pacifisti sono accusati di fare il gioco di Putin. La nostra inchiesta rivela che a fare gli interessi di Mosca sono, in realtà, le società private che continuano a fornire servizi alle navi della flotta fantasma russa senza le dovute verifiche, così come le autorità italiane che non vigilano a sufficienza sulla corretta applicazione delle sanzioni. Complice è anche l’Unione Europea, che ha costruito un sistema di sanzioni lacunoso e facilmente violabile pur di non rinunciare del tutto alle fonti fossili russe», afferma Sofia Basso, research campaigner Pace e disarmo di Greenpeace Italia. «Il risultato è che alcune navi della flotta fantasma sono riuscite ad aggirare l’embargo sul petrolio russo sotto il naso dell’Italia, contribuendo a finanziare la guerra in Ucraina».

Greenpeace Italia chiede al governo Meloni e all’Unione europea di identificare le petroliere della flotta fantasma russa e di includerle nei pacchetti di sanzioni per garantire che non possano partecipare al commercio del petrolio. L’associazione ambientalista chiede inoltre alla UE più coraggio nella transizione ecologica, la messa al bando di tutte le fonti fossili russe, compreso il GNL e il gas trasportato via gasdotto, il veto a ogni nuova infrastruttura per lo sfruttamento di fonti fossili all’interno dell'Unione Europea, la rapida riduzione dei consumi di gas e petrolio e l’eliminazione del gas entro il 2035.

«L’Unione Europea prevede il phase out delle fonti fossili russe solo per il 2027, quando Mosca avrà auspicabilmente smesso di bombardare l’Ucraina. Troppo tardi sia per i civili sotto il fuoco russo da tre anni, sia per il pianeta sconvolto dai cambiamenti climatici», conclude Basso.

Redazione Greenreport

Greenreport conta, oltre che su una propria redazione giornalistica formata sulle tematiche ambientali, anche su collaboratori specializzati nei singoli specifici settori (acqua, aria, rifiuti, energia, trasporti e mobilità parchi e aree protette, ecc….), nonché su una rete capillare di fornitori di notizie, ovvero di vere e proprie «antenne» sul territorio.