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La caduta della dittatura di Assad in Siria: dal nazional-socialismo cleptomane al jihadismo filo-turco?

Ora toccherà ai Kurdi? Israele tra i vincitori. Russia e Iran tra gli sconfitti
 |  Approfondimenti

Il leader di Hayat Tahrir al-Sham – considerata organizzazione terroristica dal Consiglio di sicurezza dell’Onu - il jihadista Abu Mohammed al Jolani sul quale pende una taglia statunitense da 10 milioni di dollari, è stato incoronato, come un monarca islamico, nella Ğāmi' Banī 'Umayya al-Kabīr (Grande Moschea degli Omayyadi) nuovo capo della Siria liberata dalla dittatura familistica degli Assad degli Assad e del partito Baath che avevano trasformato le promesse socialiste e panarabe in un regime fascista dove la corruzione, la paura e la tortura erano la normalità.
Nella quarta moschea più importante dell’Islam al Jolani ha compiuto la nuova trasmutazione, riprendendo il suo nome civile di Ahmed al-Sharaa per far dimenticare il suo passato in Al Qaeda, le sue contiguità con lo Stato Islamico/Daesh e gli orrori compiuti dalle sue milizie.
Il regime siriano si è squagliato come neve al sole e Bashir al Assad è già esule a Mosca che – insieme agli iraniani – ha già cominciato a trattare con i vincitori e soprattutto con chi li ha armati fino ai denti e finanziati: la Turchia e il Qatar. Preoccupano le dichiarazioni di al Jolani/ al-Sharaa di quando da capo Jihadista sunnita prometteva di farla finita con la comunità cristiana e con e quella alauita/sciita della quale fanno parte gli Assad, preoccupa che Hayat Tahrir al-Sham sia tra le più feroci milizie filo-turche che Erdogan ha usato per massacrare i kurdi.
Prima di andare in moschea per ricevere la benedizione come nuovo capo della Siria, al Jolani/ al-Sharaa era comparso alla televisione definendo la caduta di Assad «Una vittoria per la nazione islamica. Non si torna indietro, il futuro è nostro». E in molti temono che questo futuro possa somigliare a quello libico dopo la caduta di Gheddafi in un Paese diviso in aree di influenza di milizie islamiste, con l’area autonome sotto controllo dei kurdi e dei loro alleati democratici che si estende su un terzo della Siria, con i confini a nord occupati direttamente dall’esercito turco, con truppe statunitensi sul campo a sorvegliare pozzi petroliferi ed aree strategiche e con aree ancora in mano lo Stato Islamico/Daesh, mentre Israele che aveva già annesso le alture siriane del Golan, ieri si è presa anche la zona cuscinetto senza trovare nessuna resistenza da parte degli islamisti vincitori e ha continuato a bombardare obiettivi in territorio siriano.
Una situazione ben presente anche ai vincitori che cercano di mostrare la loro faccia istituzionale e tollerante. In un comunicato, l’autoproclamato governo di transizione siriano rassicura: óIn questo giorno storico, dichiariamo che le forze della rivoluzione e dell'opposizione hanno preso il controllo della situazione nella nostra amata Siria . Riaffermiamo il nostro impegno a costruire uno Stato libero, giusto e democratico in cui tutti i cittadini sono uguali e liberi da tutti. Discriminazione. Il governo di Bashar al Assad è caduto ed egli è fuggito dal Paese, lasciando dietro di sé un'eredità di distruzione e sofferenza». Certo, non è un buon segno che le prime congratulazioni al nuovo potere siriano siano venute dal Califfato Islamico dell’Afghanistan governato dai Talebani e che ieri per le strade a festeggiare ci fossero quasi solo uomini e pochissime donne completamente velate.
Dalle strade sono scomparse le divise del prima onnipresente esercito siriano che aveva in mano quel che restava dell’economia legale e anche la più florida economia illegale. La resa senza condizioni è stata comunicata da comando dell'esercito nazionale semplicemente informando gli ufficiali della caduta del governo Assad. E l’8marzo 203245 è stato per il regime di Assad quello che l’8 settembre fu per il regime di Benito Mussolini, senza però più nessuna forza straniera a rimettere il dittatore sul trono di una qualche repubblichina di Salò.
Che la transizione in un Paese con milioni di profughi interni e interni non sarà un pranzo di gala lo si capisce anche dal fatto che i nuovi padroni della Siria hanno lasciato come primo ministro ad interim il premier di Assad Mohammad Ghazi al Jalali, che si era detto subito disposto a cooperare.
In realtà il destino di Assad e del suo regime era stato già decretato il giorno prima a Doha da un summit sul processo di pace in Siria ministri nel quale i ministri degli esteri di Qatar, Arabia Saudita, Giordania, Egitto, Iraq, Iran, Turchia e Russia si sono accordati per una soluzione politica alla crisi nel Paese arabo, sottolineando che «L'attuale crisi siriana rappresenta un pericolo per la sicurezza del Paese e per la sicurezza regionale e internazionale».
Probabilmente, mentre i suoi ex amici e i suoi nemici si riunivano in Qatar, Assad stava già preparando le valige per salire sull’aereo russo che lo avrebbe portato a Mosca, mentre la Turchia si accordava con l’esercito siriano perché si dileguasse senza colpo ferire di fronte alle sue milizia jihadiste, cercando di tener a bada i peggiori tagliagole.
Il segretario generale dell’Onu António Guterres ha detto che «Dopo 14 anni di guerra brutale e la caduta del regime dittatoriale, oggi il popolo siriano può cogliere un'opportunità storica per costruire un futuro stabile e pacifico. Il futuro della Siria è una questione che spetta ai siriani determinare e il mio inviato speciale lavorerà con loro per raggiungere questo obiettivo. C'è molto lavoro da fare per garantire una transizione politica ordinata verso istituzioni rinnovate. Ribadisco il mio appello alla calma e ad evitare la violenza in questo momento delicato, proteggendo al contempo i diritti di tutti i siriani, senza distinzione».
Dopo l’irruzione di miliziani jihadisti nel giardino dell’ambasciata italiana e dopo gli attacchi all’ambasciata iraniana, Guterres ha avvertito: «L'inviolabilità dei locali e del personale diplomatico e consolare deve essere rispettata in tutti i casi in conformità con il diritto internazionale. Avremo bisogno del sostegno della comunità internazionale per garantire che qualsiasi transizione politica sia inclusiva e completa e che soddisfi le legittime aspirazioni del popolo siriano, in tutta la sua diversità. La sovranità, l'unità, l'indipendenza e l'integrità territoriale della Siria devono essere ripristinate. L'Onu onorerà la memoria di coloro che hanno sopportato il peso di questo conflitto. Restiamo impegnati ad aiutare i siriani a costruire un Paese in cui riconciliazione, giustizia, libertà e prosperità siano realtà condivise per tutti. Questa è la strada per una pace sostenibile in Siria».
Giorgio Marasà, responsabile esteri di Sinistra Italiana ha sottolineato che «Ora la Siria ha diritto di riprendere in mano il suo destino, ad autoderminare le proprie scelte attraverso un percorso libero e democratico. Purtroppo non possiamo oggi dare per scontato che così sarà, visto che troppe ombre ruotano attorno a questa vicenda, a partire da quella turca e senza dimenticare che i “liberatori” sono dei jihadisti. Il nostro compito non dovrà essere quello di imporre qualcosa, ma di vigilare affinché questa libertà che oggi tutti festeggiamo non sia una breve illusione. E senza dimenticarci dei curdi che devono avere diritto ad autodeterminarsi nella e dalla Siria».
E proprio la sorte dei kurdi, che sono già sotto attacco dell’esercito turco e dei loro alleati Jihadisti, che si stanno trincerando sulla sponda orientale dell’Eufrate e che hanno occupato anche le aree lasciate libere nel nord-est della Siria dell’esercito siriano, desta più preoccupazione: si teme una vendetta di Erdogan e una prossima offensiva contro di loro del nuove regime siriano che è costitito da forze che odiano il socialismo democratico e partecipativo e l’eco-femminismo professato dal kurdi.
In un comunicato stampa, il Consiglio democratico kurdo in Francia (CDK-F) ha salutato la caduta del regime autoritario di Damasco come un momento cruciale nella storia della Siria, e ha insistito sulla necessità di «Costruire una nuova Siria basata sulla democrazia, sull’uguaglianza e sull’inclusione di tutte le componenti della società siriana».
I curdi siriani, a lungo emarginati dal regime di Damasco, sono emersi negli ultimi anni come attori chiave nella lotta per la democrazia. Dall’inizio del conflitto siriano, hanno sviluppato un modello di autonomia democratica in Rojava, basato sulla coesistenza pacifica tra curdi, arabi, assiri e altre minoranze.
Il CDK-F ha ricordato che «Questo modello potrebbe servire come base per la costruzione di una Siria unita e democratica. I Kurdi hanno dimostrato che un altro futuro è possibile per la Siria, un futuro in cui i diritti di ogni comunità sono rispettati».
Ma è difficile che sia lo stesso futuro che sogna al Jolani/ al-Sharaa che quando era un capo terrorista invocava una Siria sottoposta alla Sharjah. E i kurdi sanno meglio di tutti che dietro le milizia jihadiste vincitrici c’è la ruolo della Turchia, accusata di approfittare dell'attuale transizione per seminare il disordine, in particolare nelle regioni curde: «Queste interferenze mettono in pericolo la stabilità e sabotano gli sforzi per una pace duratura - avverte il CDK-F – Invitiamo a comunità internazionale a condannare fermamente queste azioni, che indeboliscono ulteriormente un Paese già martoriato (,,.) I kurdi hanno pagato un prezzo alto per difendere la libertà e la stabilità nella regione. La loro esclusione dalle discussioni politiche sarebbe un errore storico. Invitiamo le parti siriane ad avviare negoziati per costruire insieme una Siria in cui il suono delle armi lasci il posto al dialogo e alla pace. La diversità della Siria deve essere vista come una risorsa e non come una fonte di divisione. Mentre la Siria inizia una nuova fase della sua storia, i kurdi si posizionano chiaramente come attori essenziali nel garantire un futuro democratico e inclusivo al paese».
Intanto, mentre a Damasco si festeggia, l’esercito r turco e i suoi mercenari hanno scatenato una nuova offensiva contro le Sirian Democratic Forces (SDF) filo-kurde sui fronti orientale, occidentale e meridionale di Manbij anche con droni e fuoco di artiglieria pesante e offensive di terra.
Tra gli sconfitti (insieme alla Russia) c’è sicuramente l’Iran – che in difesa di Assad aveva schierato migliaia di uomini e fornito armi - e il suo ministero degli esteri ha cercato di far buon viso a cattivo gioco dicendo che «Il futuro della Siria dovrebbe essere determinato dal suo popolo, senza interferenze straniere», e ha espresso la speranza che le relazioni tra i due Paesi continuino. «La Repubblica islamica dell'Iran, sottolineando la posizione della Siria come paese importante e influente nella regione dell'Asia occidentale, non risparmierà alcuno sforzo per contribuire a stabilire sicurezza e stabilità in Siria e, a tal fine, continuerà le sue consultazioni con tutte le parti influenti, in particolare nella regione».
Tra i vincitori c’è sicuramente Israele e il governo di Benjamin Netanyahu ha lasciato trapelare precedenti contatti e accordi con i jihadisti vincitori, mente la tv israeliana KAN 11 ha intervistato un leader di Hay'at Tahrir al-Sham, quale sia la posizione del HTS nei confronti di Israele e lui risponde: «Cari vicini e amici israeliani! Non ci sarà alcun estremismo. Condividiamo questa passione. Chiediamo a Israele di venire in Siria e investire in essa».
Ma la situazione potrebbe essere più complicata di quanto spera Isreale: la Turchia – vera padrona dei vincitori in Siria – appoggia Hamas, mentre Assad appoggiava altre fazioni palestinesi in versione anti-islamica. Si temeva una vendetta Jihadista verso i campi profughi palestinesi che hanno appoggiato il regime appena caduto, ma ieri, insieme alle nuove bandiere siriane verdi, bianche e nere con le tre stelle rosse, nelle piazze siriane in festa per la caduta di Assad sventolavano anche, indisturbate, diverse bandiere palestinesi.
Forse è per questo che Israele festeggia la caduta di un nemico – rivelatosi in tutti questi anni abbastanza innocuo – rafforzando la sua presenza e occupando nuovi territori che apparterrebbero a un “amico” che potrebbe presto rivelarsi molto problematico.

Umberto Mazzantini

Scrive per greenreport.it, dove si occupa soprattutto di biodiversità e politica internazionale, e collabora con La Nuova Ecologia ed ElbaReport. Considerato uno dei maggiori esperti dell’ambiente dell’Arcipelago Toscano, è un punto di riferimento per i media per quanto riguarda la natura e le vicende delle isole toscane. E’ responsabile nazionale Isole Minori di Legambiente e responsabile Mare di Legambiente Toscana. Ex sommozzatore professionista ed ex boscaiolo, ha più volte ricoperto la carica di consigliere e componente della giunta esecutiva del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.