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Difendere la Corte penale internazionale dopo l’avvio del procedimento contro Netanyahu e Gallant

Il diritto internazionale si rispetta o si viola. No al dominio dell’illegalità, dell’arbitrio e dell’impunità
 |  Approfondimenti

Di fronte alla decisione della Corte Penale Internazionale di emettere un mandato d’arresto contro Netanyahu e Gallant, il Governo Italiano, anziché ribadire la volontà di rispettare le decisioni della Corte, aveva deciso di sottoporre la questione alla riunione dei Ministri degli Esteri del G7 che si è svolta a Fiuggi il 25-26 novembre 2024. L’esito di questo maldestro tentativo di contrapporre il G7 alla Corte Penale Internazionale è stato disastroso. Al punto che nel comunicato finale del Vertice la decisione della Corte non è stata nemmeno citata e il nostro Ministro degli Esteri è stato costretto a dire: “Rispetteremo i nostri obblighi”. Pubblichiamo il documento completo su questa vicenda del Centro Diritti Umani “Antonio Papisca” – Università di Padova e della Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace.
La Corte Penale Internazionale (CPI) è una pietra miliare della costruzione di un mondo più giusto, pacifico e democratico. Uno strumento di giustizia internazionale che trova il suo fondamento giuridico nella Carta delle Nazioni Unite e nelle Convenzioni internazionali sui diritti umani.
La sua istituzione rappresenta il più straordinario e rivoluzionario avanzamento nella civiltà del diritto internazionale. Il suo Statuto –detto anche “Statuto di Roma”- è stato adottato a Roma, il 17 luglio 1998, al termine della "Conferenza Diplomatica sulla Istituzione di una Corte Penale Internazionale" (15 giugno – 17 luglio 1998) ed entrato in vigore il 1 luglio 2002.
L'istituzione di un tribunale indipendente, imparziale, equo ed efficace, in grado di assicurare alla giustizia i responsabili di tutti i crimini di guerra, i crimini contro l'umanità e dei genocidi è frutto della mobilitazione di tantissimi cittadini e organizzazioni della società civile che nel 1995 hanno dato vita ad una “Coalizione internazionale per la Corte Penale Internazionale” di 150 Paesi, fortemente sostenuta dall’Unione Europea.
Per molti anni, la Commissione Europea ha messo in campo una politica di lungo termine a sostegno della giustizia penale internazionale e della lotta contro l’impunità sulla base di un partenariato organico con le organizzazioni della società civile e con l’avallo di uno strumento finanziario denominato «Iniziativa europea per la democrazia e i diritti umani», creato nel 1994 per iniziativa del Parlamento Europeo.
Nel periodo 1995-2002, la Commissione ha finanziato con oltre 12 milioni di euro i progetti delle organizzazioni della società civile volti (1) a sostenere le campagne di informazione e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla istituenda “Corte Penale Internazionale”, (2) a intraprendere azioni miranti alla ratifica dello Statuto di Roma in tutte le regioni del mondo e (3) a sostenere l’azione di esperti giuridici per la messa in opera di legislazioni nazionali di cooperazione con lo Statuto di Roma.
Nella “Posizione comune” del Consiglio UE del giugno 2001 si afferma che «i principi dello Statuto di Roma sono perfettamente in linea con i principi e gli obiettivi dell’Unione» e che «l’osservanza del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani è necessaria al mantenimento della pace e al consolidamento dello stato di diritto». Nello stesso documento, il Consiglio auspica la rapida entrata in vigore dello Statuto e si impegna ad adoperarsi affinché nel più breve tempo possibile venga raggiunto il numero richiesto di strumenti di ratifica e venga data piena attuazione allo Statuto di Roma. L’art. 2 stabilisce espressamente che l’UE e i suoi stati membri si adopereranno per favorire questo processo sollevando il problema della ratifica e dell’attuazione dello Statuto nell’ambito dei negoziati e dei dialoghi politici con gli Stati terzi e le organizzazioni internazionali.
Vale la pena ricordare che sotto la presidenza Bush (2001-2009) gli USA avviarono una campagna per promuovere accordi bilaterali in materia di immunità i quali, attraverso un uso scorretto dell’art. 98 dello Statuto di Roma, avevano l’obiettivo di evitare che funzionari, dipendenti o personale militare o cittadini statunitensi potessero essere consegnati alla Corte penale internazionale.
La Corte Penale Internazionale è la prima e unica giurisdizione internazionale permanente competente a giudicare gli individui responsabili dei più gravi crimini internazionali: crimini di genocidio, crimini contro l'umanità, crimini di guerra, crimine di aggressione.
I Paesi che riconoscono la giurisdizione della Corte Penale Internazionale e che hanno ratificato il suo Statuto sono 124 e, tra questi, ci sono tutti gli stati membri dell’Unione Europea. L’Italia lo ha ratificato il 26 luglio 1999.
Tra i Paesi che non riconoscono la giurisdizione della Corte Penale Internazionale ci sono: Stati Uniti, Russia, Cina, India, Israele, Iran, Egitto, Arabia Saudita, Turchia.
L’Assemblea dei 124 Stati parte dello Statuto, composta da un rappresentante per ciascuno Stato, elegge i giudici della Corte: 18 individui scelti in base alle candidature presentate dagli Stati e dotati di alte qualità morali, di imparzialità ed integrità. Una volta eletti i giudici rimangono in carica per nove anni e non sono rieleggibili. Spetta sempre all’Assemblea degli Stati parte nominare il Procuratore generale e i Procuratori aggiunti. Il Presidente, i Vicepresidenti e i Cancellieri sono eletti dalla Corte stessa.
Lo “Statuto di Roma” prevede tre differenti modalità attraverso cui la Corte può esercitare il proprio potere giurisdizionale. La prima procedura consiste nella segnalazione – da parte di uno o più Stati aderenti alla CPI- al Procuratore riguardo crimini compiuti nel proprio territorio o nel territorio di un altro Stato. La seconda modalità prevede l’attivazione della Corte su iniziativa del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che si pronuncia con una Risoluzione. In questo caso, la competenza della Corte può estendersi anche a Stati non aderenti allo Statuto. La terza modalità prevede che la Corte sia attivata a seguito dello svolgimento di un’indagine motu proprio del Procuratore.
Il procedimento contro Netanyahu e Gallant
Su richiesta formale di avvio di indagini presentata da diversi Stati -Sudafrica, Bangladesh, Bolivia, Comore, Gibuti, Cile, e Messico-, il Procuratore della CPI ha emesso mandati di arresto per il primo ministro israeliano Binyamin Netanyahu e l’ex ministro della difesa Yoav Gallant. Ha anche emesso un mandato di arresto per il leader di Hamas Muhammad Deif. E’ la prima volta che la Corte emette un mandato d’arresto per un capo di governo “occidentale”.
La Corte ha stabilito che ci sono ragionevoli motivi per credere che Netanyahu e Gallant siano responsabili di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Tra i crimini contestati ci sono: il blocco degli aiuti umanitari a Gaza, la fame come metodo di guerra, l’omicidio, la persecuzione e altri atti disumani. La Corte ritiene altresì che Netanyahu e Gallant siano responsabili, in quanto “superiori civili”, per il crimine di guerra di dirigere intenzionalmente attacchi contro la popolazione civile.
Con il mandato d’arresto internazionale, il Procuratore ha dato seguito a due principi fondamentali: quello dell'effettività della giurisdizione della Corte sui Territori Palestinesi e quello di «complementarietà». In base a quest’ultimo principio, la Corte interviene se le giurisdizioni nazionali non dimostrano di avere avviato procedimenti giudiziari «indipendenti e imparziali». Dunque l’intervento della Corte si è imposto di fronte al "difetto di volontà o di capacità" da parte di Israele e Palestina.
Netanyahu e Gallant sono così entrati a far parte del gruppo di criminali colpevoli di crimini di guerra e contro l’umanità tra i quali ci sono Vladimir Putin, i congolesi Germain Katanga, Thomas Lubanga Dyilo e Jean-Pierre Bemba Gombo, l’avoriano Laurent Gbagbo, l’ugandese Dominic Ongwen e il sudanese Omar Al Bashir.
Le norme della Corte Penale Internazionale sono inderogabili. Tutti gli Stati membri della Corte Penale Internazionale –compresi tutti gli Stati membri dell’UE, la Norvegia e il Regno Unito– sono obbligati a rispettare le sue decisioni e quindi ad arrestare Netanyahu e Gallant se entrano nel loro territorio.
L’UE e si suoi Stati membri sono sostenitori storici della CPI e dello stato di diritto internazionale. Dovrebbero dichiarare senza se e senza ma il loro sostegno alla Corte quale organo giudiziario indipendente ed eseguire i mandati d’arresto. In realtà le prime dichiarazione dei governi dell’Italia e dell’Ungheria stanno mettendo in discussione la legittimità della CPI.
Alla luce dell’incondizionato sostegno europeo al mandato d’arresto emesso dalla CPI nel 2023 contro il presidente russo Vladimir Putin, tali dichiarazioni minano la nostra credibilità politica. La giurisdizione della CPI è universale, non può valere soltanto per i paesi che non appartengono al blocco “occidentale”.
L’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha ammesso la «mancanza di unità» nell’UE riguardo alla difesa coerente della giustizia e delle norme internazionali e ha espresso preoccupazione per le divisioni interne tra i membri dell’Unione sulle decisioni della CPI. Egli ha affermato che quella della Corte «è una decisione legale, non politica, e non c’è nulla di antisemita in essa».
Il diritto internazionale si rispetta o si viola.
L’alternativa alla Corte Penale Internazionale e al sistema multilaterale è la legge del più forte, il dominio dell’illegalità, dell’arbitrio e dell’impunità, la violazione sistematica dei fondamentali diritti umani, delle libertà e della democrazia.
Chi rifiuta la centralità del diritto e delle istituzioni (democratiche) anche per il sistema della politica internazionale si pone al di fuori dell’ordinamento giuridico internazionale e alla testa di un progetto di ordine internazionale gerarchico dove a prevalere è la legge della forza sulla forza della legge. Dunque un progetto cinico e criminale.
Insomma, l’Italia, l’Unione Europea e i suoi stati membri non hanno più alibi. Devono una volta per tutte decidere da che parte stare.
Dalla parte del diritto internazionale, della CPI, dell’ONU e del multilateralismo o dalla parte di coloro che rifiutano autorità sovraordinate agli Stati, agiscono unilateralmente o per coalizioni e rifiutano di rispettare quelle norme internazionali che i loro predecessori, all’indomani della seconda guerra mondiale, hanno posto a fondamento dell’ordine internazionale “per salvare le future generazioni dal flagello della guerra”.
Il diritto internazionale deve valere per tutti, a partire dagli Stati democratici. E’ la legge che esercita il suo controllo sul potere politico. Se fosse il contrario, come vorrebbero la Presidente del Consiglio e il Ministro degli Esteri del nostro paese, allora sarebbe la fine della democrazia e dello stato di diritto, principi su cui si fondano la nostra Carta costituzionale e il Trattato sull’Unione Europea. L'Italia e l’UE, che sono stati i principali sostenitori della Corte penale internazionale, devono essere coerenti. Lo Statuto della Corte è stato approvato e aperto alla firma in Campidoglio il 18 luglio 1998, ed è conosciuto come lo “Statuto di Roma”. Noblesse oblige.
Marco Mascia
presidente Centro Diritti Umani “Antonio Papisca” – Università di Padova
Flavio Lotti
presidente Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace

Redazione Greenreport

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