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Un’economia a energia pulita, l’impegno di Harris mentre Big oil finanzia la corsa di Trump

La candidata Dem promette investimenti contro la crisi climatica. E i magnati del fossile, intanto, hanno donato circa 14 milioni di dollari allo sfidante Repubblicano
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«Biden e io sappiamo che queste elezioni non riguardano solo la sconfitta di Donald Trump, riguardano qualcosa di molto più grande», dice Kamala Harris nel suo discorso di accettazione della candidatura per la corsa alla Casa bianca. E in questo «qualcosa» c’è la difesa della democrazia e dei diritti civili, di un’assistenza sanitaria di qualità e di salari dignitosi, certo. Ma quando chiudendo la Convention Democratica parla di come «rivendicare il nostro futuro», Harris parla anche di un modello di sviluppo ben preciso, nel quale «possiamo fare gli investimenti che dobbiamo fare per affrontare la crisi climatica e passare a un'economia a energia pulita».

Solo apparentemente il tema della transizione ecologica non occupa una posizione centrale, in questa campagna elettorale per il voto Usa di novembre. Gli espliciti impegni green, nello stesso discorso della candidata Dem, sono stati marginali, rispetto agli allarmi per una «democrazia a rischio» e ai passaggi programmatici riguardanti il mercato del lavoro, il potere d’acquisto delle famiglie, la possibilità di una formazione universitaria che non comporti l’assunzione di pesanti debiti, i diritti delle donne e le pari opportunità e molto altro ancora sul piano dei diritti civili e dell’assistenza sociale. Ma quando dice che oggi «l’America è al bivio», quando aggiunge che «la strada su cui siamo stati portati ci sta facendo a pezzi», quando conclude che il voto di novembre «determinerà il futuro dell'America per molte generazioni a venire», la questione ambientale e la scelta del modello economico da realizzare nei prossimi quattro anni è fondamentale. Lo sanno bene i magnati del petrolio, che come scrive “Sierra”, la rivista dell’associazione ambientalista Sierra club, stanno tutti finanziando con grosse somme di denaro la corsa di Trump per la Casa bianca. Secondo le informazioni ottenute dalla rivista americana e i dati diffusi dal Center for Responsive Politics, dall'inizio del 2024 le lobby del petrolio e del gas hanno già contribuito complessivamente per le iniziative dei due schieramenti «con quasi 80 milioni di dollari», in generale in questa campagna elettorale le donazioni ai Repubblicani «superano quelle ai Democratici di più di tre a uno», le compagnie petrolifere e del gas e i loro massimi dirigenti hanno donato personalmente per la corsa di Trump «13,7 milioni di dollari, al contrario, la campagna di Biden e ora di Harris ha fruttato 726.000 dollari» e, in termini più semplici, le lobby del fossile «hanno donato circa 18 dollari a Trump per ogni dollaro donato al candidato Democratico». 

Il motivo di questa spinta di Big Oil per un ritorno di Trump? È semplice, ed è sempre il Sierra club a evidenziarlo: «L’attuale amministrazione ha intrapreso più azioni sul clima di qualsiasi altro governo federale nella storia e ha realizzato più di cento politiche per la protezione dell’ambiente nel corso del mandato Biden-Harris. L’amministrazione ha annullato 98 politiche anti-ambientali di Trump, inclusa l’approvazione del gasdotto Keystone XL. Trump, d’altro canto, ha promesso fedeltà a un’industria che distrugge il clima e probabilmente manterrà le sue promesse». Quali? Semplice: «L’industria dei combustibili fossili sa che una seconda presidenza Trump le darebbe  il pieno controllo di tutte le terre pubbliche e favorirebbe decenni di maggiori estrazioni di petrolio e gas, anche se ciò distruggerà il nostro clima - ha affermato Brett Hartl del Center for Biological Diversity Action Fund - Trump ha scatenato un’estrazione di combustibili fossili quasi senza precedenti, e ora promette di essere un dittatore fin dal primo giorno per trivellare, trivellare, trivellare».

Le aspettative degli ambientalisti su Harris sono però giustificate non soltanto in chiave anti-Trump. Sono invece fondate su un duplice motivo. Il primo risiede in quanto realizzato in questi anni come vice di Biden. Il secondo in quanto già dimostrato in una delle primissime decisioni da candidata Dem per la Casa bianca: la scelta di Tim Walz come vice. Non a caso, quando Harris ha ufficializzato la sua volontà di correre in tandem con il governatore del Minnesota, di cui sono ben note le battaglie in favore dell’ambiente, avevano espresso commenti di grande entusiasmo personaggi come l’ex vicepresidente Usa e premio Nobel per la pace Al Gore, lo stesso Sierra club e molte altre sigle ambientaliste e conservazioniste. 

Ora, se è vero che, come scrive il New York Times, «il presidente Biden ha fatto del cambiamento climatico una pietra angolare della sua agenda, la vicepresidente Kamala Harris deve ancora dettagliare il suo piano», è anche vero che come titola il Guardian, «gli attivisti ambientali esortano Kamala Harris a fare le cose in grande sul clima: “Deve cogliere l’attimo”». Harris non ha colto l’attimo sfruttando il discorso alla Convention Dem per rispondere a Trump, che la accusa di «muovere guerra all’energia americana», quella basata su petrolio, gas e carbone, ovviamente, nella testa dell’ex presidente. Ma da qui all’inizio di novembre ci saranno ancora per Harris molte altre occasioni per «dettagliare» il modo in cui abbandonare al passato l’energia fossile tanto cara al candidato Repubblicano.

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Consulente per la comunicazione e attività di ufficio stampa anche per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, Unisin/Confsal, Ordine degli Architetti di Roma. Ha pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.