Ecco perché dopo gli incendi arrivano le frane, soprattutto in caso di piogge intense
L’incendio verificatosi sulla collina di Monte Mario, a Roma, porta nuovamente l’attenzione dei media e delle comunità interessate, in questo caso gli abitanti dei quartieri romani più direttamente colpiti dall’evento, a prendere atto delle criticità che questi eventi possono causare sul territorio, inteso sia come paesaggio che come risorsa. Le cause dell’accaduto saranno acclarate e, come sempre accade in questi casi, troveranno nelle opportune sedi giudiziarie il loro esito.
Resta, però, in mano alla comunità scientifica che si occupa del territorio e dei processi geologici che lo fanno evolvere, il compito di riflettere e di dare prospettive future agli effetti di quanto già accaduto e, soprattutto, di ciò che potrebbe nuovamente accadere.
Nella Società Geologia Italiana (SGI) operano ricercatori e ricercatrici da più di un decennio interessati a studiare gli effetti che incendi, quali quello al quale abbiamo assistito a Roma, possono causare sul territorio e non solo nell’imminenza dei fatti ma anche, se non soprattutto, nel seguito, ovvero quando, al succedersi delle condizioni meteo-climatiche stagionali, il territorio “ferito” dall’incendio potrebbe rispondere diversamente a sollecitazioni derivanti da eventi meteorologici (come le piogge) o da vibrazioni (sia di natura antropica, specie se pensiamo alle aree urbane, che sismica)
Nell’ambito di progetti di ricerca di rilevanza nazionale, quali il progetto RETURN (MultiRisk sciEnce for resilienT commUnities undeR a changiNg climate) finanziato dal PNRR sul tema dei Rischi naturali, ambientali ed antropici nel contesto di un clima che cambia, che vede coinvolti molti ricercatori e ricercatrici della SGI, si stanno ampiamente affrontando aspetti inerenti l’effetto concatenato di eventi che possono colpire il territorio per cause naturali o antropiche, andando a distinguere la sua predisposizione, per così dire “fisiologica” da ciò che, nel tempo, prepara il territorio stesso ad essere danneggiato con il formarsi di instabilità (quali frane, sprofondamenti o cedimenti) impattanti sull’edificato e, più in generale, sulle infrastrutture antropiche.
Viene, dunque posto in risalto il ruolo preparatorio di eventi che di per sé non arrivano ad innescare processi di instabilità ma possono preparare altri agenti, tipicamente intensi e molto impulsivi, a farlo. È questo, appunto, il caso dei versanti incendiati dove, quale conseguenza della combustione della copertura vegetale, possono innescarsi o riattivarsi, nelle stagionalità successive ed in concomitanza di piogge intense, fenomeni di instabilità del terreno, come le frane.
Insomma, è come se la “cicatrice” lasciata dal fuoco, prima di sanarsi nuovamente, indebolisse il territorio rendendolo più soggetto a “contrarre altre malattie”. Recenti studi condotti a Napoli (versante della collina dei Camaldoli adiacente al quartiere Pianura) e all’Isola di Ischia (versante occidentale del Monte Epomeo tra gli abitati di Forio e Sant’Angelo), entrambi scenario di importanti incendi dolosi avvenuti meno di un anno fa in aree urbane adiacenti a versanti, hanno dimostrato che incendi durante la più secca stagione estiva possono aumentare la pericolosità all’innesco di frane, nelle successive stagioni di pioggia, di circa il 10%. Ciò, in pratica, significa che 1 frana su 10, nella successiva stagione piovosa, si giustifica quale conseguenza dell’incendio avvenuto nella precedente stagione estiva.
Nel caso specifico della collina di Monte Mario, è ben nota alla comunità tecnico-scientifica, l’attitudine dei suoi versanti alla franosità; tale attitudine, documentata nel Piano di Assetto Idrogeologico (PAI) dell’area municipale di Roma come anche nella Carta Geomorfologica di Roma, si è diffusamente manifestata di recente, nel Gennaio-Febbraio 2014, a seguito di importanti eventi di pioggia, come anche, nella seconda metà degli anni ’80 proprio a causa del movimento franoso che ha interessato il versante adiacente Via Teulada, giusto alle spalle dell’attuale caserma dei Carabinieri evacuata nella giornata del 31 Luglio a causa dell’ultimo incendio. Questo evento franoso portò, già all’epoca, alla necessità di realizzare interventi di stabilizzazione del versante, mediante opere di contenimento alla sua base. Infrastrutture a servizio dell’antincendio sono operative sul versante adiacente Via Teulada sin dall’inizio degli anni 2000 e, di recente, hanno subito importanti interventi manutentivi.
Ciononostante, le proporzioni dell’ultimo incendio non hanno reso possibile, per ragioni di sicurezza degli operatori, mettere in funzione tale sistema essendo inibito l’accesso da terra all’area colpita dal fuoco. La consapevolezza del concatenarsi di possibili effetti indotti da eventi che colpiscono il territorio, nonché le avanzate capacità di analisi numerica, che consentono oggi di simulare il possibile futuro manifestarsi di e$etti conseguenti, i cosiddetti “scenari attesi”, può o$rire alle comunità ed a chi le amministra elementi fondamentali per pianificare interventi mitigativi nei confronti delle conseguenze di medio-lungo termine che, come nel caso degli incendi, possono interessare i territori colpiti. L’Università di Roma “Sapienza” ha giusto in corso un progetto, denominato FIRE (wildFIre-relatedlandslide scenarIos for territorial planning and Risk managemEnt), che sta sperimentando un approccio multidisciplinare attraverso importanti collaborazioni tra la geologia ed altri ambiti tecnico-scientifici, quali l’ingegneria e l’architettura del paesaggio, proprio in relazione agli effetti sul territorio degli incendi. In ciò, sono anche coinvolti ricercatori e ricercatrici di altre università, come la Federico II di Napoli, nonché startup, come NHAZCA S.r.l che offre un ampio supporto tecnologico a questa iniziativa di ricerca. Questo ulteriore sforzo della comunità scientifica italiana va proprio nella direzione di mettere a sistema quanto appreso da eventi già accaduti, nell’ottica di proporre strategie per una maggiore resilienza a eventi simili, da parte territorio urbanizzato e delle comunità che in esso abitano”.
di Salvatore Martino - Società Geologica Italiana e Ordinario di Geologia Applicata presso il Dipartimento di Scienze della Terra ed il Centro di Ricerca per i Rischi Geologici CERI dell’Università La Sapienza di Roma