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Ma contro la siccità servono dighe: caso per caso vanno visti pregi e difetti della possibile soluzione

Altro che pulire tombini e alvei, per difenderci dalle alluvioni bisogna ridare più spazio ai fiumi

Una rassegna delle principali fake news emerse dopo il nubifragio in Toscana mostra l’urgenza di buona informazione: i cittadini devono conoscere i rischi reali cui sono esposti
 |  Acqua

Indi la valle, come ‘l dì fu spento,
da Pratomagno al gran giogo coperse
di nebbia; e ‘l ciel di sopra fece intento,
sì che ‘l pregno aere in acqua si converse;
la pioggia cadde e a’ fossati venne
di lei ciò che la terra non sofferse;

(purg. V, 115-120)

Così disse Bonconte di Montefeltro a Dante, raccontando la sua fine e il perché il suo corpo non fu ritrovato dopo la battaglia di Campaldino. A parte la incredibile semplicità con cui il Poeta spiega il perché delle alluvioni, ogni evento fa storia a sé e anche se ce ne fossero due identici, il territorio reagirebbe in maniera differente, perché incidono molto le condizioni iniziali e il 14 marzo oltre alla eccezionalità delle precipitazioni un’altra circostanza ha contribuito non poco al disastro: la perturbazione si è inserita dopo un periodo umido a causa del quale i fiumi erano già alti e il suolo era saturo e quindi, per dirla come il Poeta sull’acqua, a’ fossati venne di lei ciò che la terra non sofferse (cioè quasi tutta, ed è stata tanta). Purtroppo anche questa volta la ridda di idiozie scritte sui social riesce a dire tante fesserie senza arrivare al nocciolo del problema: bisogna ridare ai fiumi almeno una parte dello spazio che gli è stato tolto negli ultimi secoli e specialmente dalla seconda metà del XIX secolo.

L'EVENTO ALLUVIONALE DEL 14 MARZO 2025. La caratteristica comune a molte ondate di maltempo degli ultimi anni non è soltanto l'anomala intensità delle precipitazioni, ma il fatto che queste si concentrino in poco tempo e tendano a persistere sulle stesse aree senza muoversi come farebbero le normali perturbazioni. La dinamica di quanto è successo il 14 marzo 2025 è stato molto simile ai fatti del 2 novembre 2023 (e non solo a questo): un fronte anche temporalesco rimasto praticamente fermo per ore. L’immagine confronta i due eventi.

Il LAMMA certifica piogge eccezionali cadute in un intervallo temporale ristretto: il 14 marzo 140 mm di pioggia a Borgo San Lorenzo, e oltre 100 a Firenze (160 nel periodo 12-14 marzo, che diventano 250 nello stesso periodo a Vaglia). Insomma, in 3 giorni la pioggia di un mese come marzo, che dovrebbe essere abbastanza umido di suo.

Inoltre le precipitazioni tra il 12 e il 14 marzo sono arrivate dopo un bimestre gennaio-febbraio particolarmente piovoso, che aveva reso il terreno saturo (quindi non in grado di ricevere ulteriori apporti) e particolarmente vulnerabile alle frane.

GLI ASSURDI COMMENTI SUI SOCIAL. Sono stufo di leggere desolanti scempiaggini sotto forma di commenti di molta gente sui social, in cui ormai una parte di utenti è stata avvelenata da cattivi e probabilmente non disinteressati maestri.

Il buon Paride Antolini, il quale essendo presidente dei geologi dell’Emilia Romagna non è esattamente un bischero (e che oltretutto solo per non sostenere la vox populi è stato persino offeso da un utente, a cui spero arrivi presto una bella denuncia per diffamazione), ha fatto un sondaggio su un campione rappresentativo di commenti, stilando la nuova classifica dei rimedi più gettonati nei social:

  1. dighe e traverse sui fiumi (questa in verità sarebbe giusta)
  2. pulire gli argini
  3. dragare i fiumi
  4. pulire i tombini
  5. le nutrie

Questo per l’Emilia – Romagna. Invece, in Toscana, a parte i soliti delle scie chimiche (per l’appunto nei giorni precedenti un aereo sarebbe passato sul Mugello, e avrebbe irrorato l’aria con particelle che poi hanno fatto piovere) e chi dice che l’acqua scorre più lentamente per via delle antenne 5G e così i torrenti escono dagli alvei, il mantra ripetuto fino allo sfinimento è quello della pulizia degli alvei.

Ora, i detriti ci sono davvero e spesso ostacolano la corrente, ma succede a causa di ponti idraulicamente demenziali, e inoltre la maggior parte di essi proviene dai versanti e non dagli alvei stessi, e quello della pulizia degli argini è un mantra della serie “soluzioni semplici a problemi complessi”: soluzioni semplicistiche che notoriamente non vanno mai bene. Invito a confrontare la portata registrata con quella necessaria e prendere atto dei risultati. Ma tutti questi mancati ingegneri idraulici preferiscono sputare sentenze a caso, dall'asciutto del proprio divano, senza saperne niente, invece di informarsi o meglio ancora fare qualcosa di concreto per dare una mano.

Anche il dragare gli alvei è una operazione sbagliata: a parte che in Italia molti fiumi, Arno compreso, negli ultimi 40 anni hanno eroso e non poco i loro alvei (come ad esempio si vede a Santa Croce sull'Arno) ho spiegato qui perché non si deve fare, se non in piccole porzioni particolari (per esempio il tratto fiorentino dell’Arno).

Naturalmente se le dighe sono un rimedio intelligente per laminare le piene (e le magre), per molti i problemi sono, al contrario, forniti proprio da esse. Si tratta di un “classico” per l’alluvione della Romagna del 2023. Peccato che gli ingegneri idraulici da tastiera non si siano resi conto che solo un fiume romagnolo ha una diga e cioè il Bidente e che proprio grazie alle manovre della diga di Ridracoli è stato il fiume che ha dato meno problemi.

Anche in Toscana si parla delle dighe e quindi se nel 1966 "hanno state le dighe", il 14 marzo la piena della Sieve sarebbe stata colpa dell'apertura di Bilancino. Ci viene in soccorso Publiacqua: a questo link dichiara che lo scarico del “troppo pieno” è entrato in funzione alle 6 del mattino di venerdì con una portata di 10 m3/s, cresciuta a 25 m3/s alle 8.00, 63 alle 12.00, 81 alle 14.00 e 100 m3/s alle 17.00. La Sieve a Dicomano ha registrato una portata di oltre 1000 m cubi al secondo e quindi si capisce che non è stato Bilancino a fare il guaio. Per rendere l'idea di quanto enorme sia questo valore, l’Arno a valle di Firenze ha una portata massima di 2.800 mc/sec e questo da solo basta a spiegare sia il perché del disastro in Mugello e Valdisieve sia perché la piena abbia interessato il fiume solo da Pontassieve in giù.

Questo fa capire anche quanto sono idioti quelli che “le casse del Valdarno superiore non sono entrate in funzione” (e quindi l’inefficienza della Regione, che di colpe ne ha ma non in questo caso): mi pare ovvio visto che la Sieve confluisce nell’Arno a valle di queste. Sempre sulle casse di espansione è stato persino detto che sarebbero state fatte talmente male al punto tale che le loro "porte" "non si possono aprire".

È sconsolante e si deve pure notare come questi soggetti oltre a parlare a sproposito non hanno la minima voglia di approfondire la conoscenza di queste tematiche perché sono già convinti di sapere tutto.

Tra tutti questi rimedi non compare mai quello vero: (ri)dare più spazio ai fiumi. È tristissimo tutto ciò. Viene da sperare che accada qualcosa di diverso, in modo da spostare l’attenzione di quelli che si stanno improvvisando geologi o ingegneri idraulici ad altre faccende: geologi e ingegneri idraulici saranno lieti di lasciare ad altri esperti veri del nuovo problema l’onere di perdere la pazienza per gli inevitabili commenti demenziali.

OGGI ALLUVIONI, DOMANI SICCITÀ. In Toscana la situazione è quella che è, come nel resto d’Italia: ma fino a quando non si capirà che questi fatti avvengono perché i corsi d’acqua sono stati ristretti e il nuovo regime di precipitazioni sta peggiorando le cose non si andrà da nessuna parte.

Oggi si parla di alluvioni, ma utenti dei social, opinione pubblica e buona parte del mondo politico si sono ormai dimenticati la siccità. Eppure temo che fra qualche mese si parlerà della siccità e ci si dimenticherà delle alluvioni. 

È evidente quindi come si debba pensare a opere per mitigare entrambi i problemi. Lo ha sostenuto in questi giorni in diverse interviste anche il presidente dei geologi della Toscana, Riccardo Martelli che ha invocato un piano per la mitigazione delle piene. 

Come ho già scritto spesso, una soluzione intelligente sarebbe quella di costruire dighe: la loro apertura prima delle piene consente di stoccarvi immediatamente una grande quantità di acqua (come è successo a Ridracoli nel 2023); specularmente, l’Arno nelle ultime fasi siccitose ha avuto pochi problemi grazie all’acqua stoccata nell’invaso di Bilancino. Certo, qualcuno dirà che le dighe provocano dei problemi ai fiumi, modificando l’apporto dei sedimenti e interrompendo la continuità biologica, ma non si può fare una frittata senza rompere le uova. Insomma, caso per caso vanno visti pregi e difetti della possibile soluzione.

Per le piene anche i canali scolmatori hanno il loro perché e infatti sono in realizzazione a Genova gli scolmatori per il Bisagno e il Fereggiano. Di fatto un’opera che si è rivelata utilissima il 14 marzo è stata proprio lo scolmatore di Pontedera, la cui realizzazione è stata completata nel 1966: intercettando l’acqua dell’Arno a valle della cittadina e portandola direttamente in mare a Calambrone, anche stavolta ha evitato l’inondazione a Pisa. Purtroppo l’operazione non è stata indolore, perché ha provocato una inondazione nella piana fra Pisa e Livorno.

IN ITALIA PERÒ È DIFFICILE FARE LE OPERE. Facciamo un esempio. Parlavo con gli studenti di una scuola di Campi Bisenzio, cittadina tra Firenze e Prato martoriata negli ultimi decenni da una serie di alluvioni. Il suo territorio comunale è stato completamente strappato a un ambiente paludoso e quindi se si vuole evitare al 100% il rischio di alluvione in quell’area non vi dovrebbe vivere nessuno (applicando in parte il detto fiorentino di Prato fare campi e di Campi fare prato). Il problema maggiore non è rappresentato da quanto piove lì (anche se il sistema fognario è, ad andar bene, progettato per eventi molto inferiori a quello del 14 marzo), ma quello che piove a monte e gonfia il Bisenzio. E in caso di piena si corre il rischio della rottura degli argini, che in questa zona – attenzione – in genere non si rompono per cedimento, ma per la loro erosione quando le acque, traboccando dall’alveo, li sormontano.

Allora, come difendersi da un problema del genere? Poniamo che sia difficile trovare il posto per realizzare una o più casse di espansione a monte di Campi perché il territorio è pesantemente urbanizzato e quindi si decida di realizzare un canale scolmatore che intercetti le acque del Bisenzio tra Prato e Campi per bypassare la cittadina e magari realizzare pure una cassa di espansione nella zona tra Indicatore e Lecore.

Bene. Allora, supponiamo che qualcuno in Regione trovi intelligente questa idea (o ci abbia già pensato). Non solo c’è da progettare il lavoro, ma ci sono da fare una serie di passaggi fra i quali la valutazione di impatto ambientale, la conferenza dei servizi, definire gli espropri, indire la gara per i lavori (sperando che chi la perderà non faccia ricorso al Tar, pena ulteriori ritardi); iniziati i lavori c’è da sperare che la ditta appaltatrice non fallisca e/o che non intervengano altri problemi di qualsiasi genere (ad esempio sull’Arno i lavori per la cassa di espansione di Fibbiana tra Empoli e Montelupo sono fermi per “problemi burocratici”); c’è inoltre il rischio che dei cittadini si costituiscano in un comitato contrario all'opera, come per esempio è accaduto per esempio per una cassa del Misa a Senigallia, o quelle del Seveso a Milano. Insomma, dopo quanti anni l’opera sarebbe pronta?

Quindi ci vuole una spinta, diciamo un Pnrr del dissesto idrogeologico sul tipo di quella che fu l’esperienza di Italiasicura (grazie alla quale sono partiti ad esempio i lavori per le casse di espansione nel Valdarno superiore e gli scolmatori di Bisagno e Fereggiano a Genova).

IL PROBLEMA POLITICO. La presenza dei rapidissimi cambiamenti climatici è scientificamente ineccepibile (tranne che per i soliti noti) ed è altrettanto ineccepibile che a causa di essi gli eventi estremi stanno aumentando di numero in maniera impressionante. Ma i cambiamenti climatici non sono e non dovranno essere un alibi per tutto quello che è stato fatto che non doveva essere fatto, e per tutto quello che non è stato fatto ma avrebbe dovuto essere fatto.

Perché tombamenti e restringimenti degli alvei, impermeabilizzazione del terreno, abitati messi in posizioni pericolose avrebbero problemi anche col clima di 50 anni fa e le alluvioni non sono solo un problema di oggi, anche se adesso sono più frequenti.

Purtroppo nel settore della sicurezza del cittadino c’è una diversa percezione della dimensione dei problemi anche in termini di risorse e il rischio idrogeologico non viene percepito come tale, se non per pochi giorni dopo i disastri e come si è visto i rimedi presentati dalla vox populi sono assurdi. Un mio amico che è stato sindaco venne persino criticato perché, a detta di qualcuno, aveva esagerato con la mitigazione del rischio nei versanti!

Per cui costruire una strada o organizzare una sagra paesana conta più che impiegare risorse per sistemare un versante, anche perché la “gente” si accorger di avere un problema idrogeologico solo e soltanto in presenza del disastro. E allora giù contestazioni contro chi non ha fatto nulla per evitarlo. Invece dopo un evento meteorologico importante nessuno va a ringraziare l'Ente locale semplicemente perché non ha la minima idea di essersela sfangata proprio grazie a quella sistemazione.

Anche per questo i finanziamenti dedicati alla prevenzione sono molto scarsi. Devono essere i cittadini a richiedere sicurezza del territorio alle amministrazioni e a vigilare sul territorio stesso per segnalare abusi e violazioni che possano aggravare le condizioni di rischio. Se tutti sono indifferenti perché non hanno idea del rischio che corrono non andremo molto lontano.

Il problema maggiore che abbiamo quindi sulla questione dell’assetto del territorio e del suo dissesto viene quindi da una mancata o errata percezione dei rischi legati ad uno sfruttamento del territorio spesso completamente folle.

Aldo Piombino

Laureato in Scienze Geologiche, si interessa di vari ambiti delle Scienze della Terra. Collabora con il gruppo di Geologia applicata dell’Università di Firenze diretto dal prof. Nicola Casagli e con la Scuola di Scienze dell’università di Camerino occupandosi di monitoraggi satellitari e di divulgazione sulle problematiche dell’assetto del territorio. Ha collaborato con l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale e con l’International Institute of Humankind Studies diretto dal prof. Chiarelli. Studia anche i rapporti fra fenomeni geologici, cambiamenti climatici ed evoluzione della vita lungo la storia della Terra. Ha scritto alcuni articoli scientifici su questi argomenti e “Il meteorite e il vulcano – come si estinsero i dinosauri”, un saggio scientifico nel quale indicale cause geologiche delle numerose estinzioni di massa che hanno punteggiato la storia della vita sulla Terra. Nel 2007 crea il blog “Scienzeedintorni” È nel consiglio della associazione “Caffèscienza Firenze – Prato APS”