
I Certificati blu, una proposta di legge per eliminare lo spreco d’acqua

L’Italia è tra i primi Paesi in Europa, per estensione di territorio, con un tasso di stress idrico elevatissimo. Dodici Regioni su venti hanno uno stress idrico che supera l’80%, con ai primi posti la Sicilia, la Puglia e la Calabria. Nel 2022 il Paese ha perso oltre il 50% delle risorse idriche rinnovabili rispetto alla media storica, il manto nevoso ha presentato un deficit di circa il -60% rispetto alla media a causa delle elevate temperature e dell’evapotraspirazione.
L’impatto del cambiamento climatico sull’area mediterranea è allarmante e sta già avendo i suoi effetti negativi sulla produzione agricola, influenzata dagli anticicloni africani con precipitazioni estreme imprevedibili che rendono difficile pianificare la semina o l’irrigazione.
A fine 2023, il Comitato economico e sociale europeo, ha lanciato il Blue deal europeo, un progetto per sostenere lo sviluppo di tecnologie che consentano l’efficienza idrica, il riciclo dell’acqua e la riduzione dell’inquinamento. Le azioni da intraprendere devono perseguire l’adattamento al cambiamento climatico, con infrastrutture adeguate, l’adozione di tecnologie innovative, la formazione di nuove professionalità e il monitoraggio delle strutture idriche esistenti, per raccogliere dati aggregati sull’acqua potabile e sull’acqua reflua, e poi la mitigazione, intervenire a monte agendo sui processi antropici per abbattere i gas climalteranti.
Nel G7 Ambiente, Energia e Clima tenutosi a Torino, i Ministri di Italia, Canada, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti hanno raggiunto un accordo ed è nata la Coalizione del G7 per l’acqua, con l’obiettivo di predisporre strategie comuni, condivise, per affrontare la crisi idrica globale: sarà redatto un inventario preliminare di processi e opportunità, per arrivare a definire una vera e propria agenda globale sull’acqua.
Il Governo italiano ha istituito una Cabina di regia, coadiuvata dal Commissario straordinario nazionale per la siccità: possiamo affermare allora che l'esistenza del cambiamento climatico e del problema idrico è finalmente riconosciuto? Ma il lavoro che si sta effettuando a livello governativo non risulta sufficiente, e soprattutto non è posto come priorità, quando invece dovrebbe esserlo.
Ieri alla Camera ho presentato una proposta di legge a mia prima firma, su “Disposizioni per la gestione e l’utilizzazione sostenibile delle risorse idriche”; alla conferenza stampa erano presenti come relatori figure politiche come Giuseppe Conte, Segio Costa, Ilaria Fontana, Pietro Lorefice, Ida Carmina, Alessandro Caramiello, Arnaldo Lomuti, Dolore Bevilacqua. I relatori esterni: Nicolò Sacchetti, presidente di Coldiretti Roma e presidente Consorzio di bonifica litorale nord; Alessandro Maggioni, direttore relazioni istituzionali Anima di Confindustria; Luigi Bottos, head of Esg management di Rina; Samir Traini del Laboratorio Ref ricerche; Alfonso Pecoraro Scanio, presidente di Univerde.
L’acqua è una risposta scarsa e lo sarà sempre di più. Si è provato ad aumentare i prelievi: più pozzi, più sorgenti intercettate, più fiumi deviati. Ma siamo al limite, molte falde si sono abbassate, altre sono state inquinate, in varie aree l’acqua salina è avanzata guadagnando spazio a spese di quella dolce. E nel frattempo le richieste dell’uso dell’acqua crescono, dalle case alle fabbriche, dai campi agli alberghi. Tutti hanno un disperato bisogno di acqua, un bisogno che cresce man mano che la crisi climatica si aggrava. I vecchi metodi come le cisterne e gli invasi non sono più sufficienti, ormai faticano a risolvere i problemi di siccità e anche delle alluvioni. Dunque bisogna agire anche rivedendo le modalità di uso dell’acqua, tagliando gli sprechi.
Ma come efficientiamo il sistema di prelievo dell’acqua? Solitamente quando si parla di risparmio idrico, si pone l’attenzione sull’uso domestico dell’acqua, promosso anche con campagne di sensibilizzazione, che enfatizzano i benefici di un utilizzo accorto della risorsa da parte dei cittadini, e meno attenzione è riposta all’uso dell’acqua a scopi irrigui e produttivi. Guardando i dati (riportati nel grafico in basso) il consumo di acqua nell’industria è pari al 20% e l’agricoltura assorbe oltre il 70% della risorsa idrica, contro 11% delle famiglie. Allora forse dovremmo porre in atto una strategia di riduzione degli sprechi dei consumi di acqua complessivi, rivolta soprattutto agli usi agricoli e produttivi. Il principio “chi inquina, paga” può essere declinato sulla gestione della risorsa acqua, accollando i costi a chi utilizza in modo inefficiente la risorsa scarsa oltre a inquinarla. Sulla base dall’analisi degli strumenti di politica ambientale disponibili si ritiene che il meccanismo di mercato regolamentato possa contribuire in modo decisivo alla salvaguardia della risorsa idrica nel nostro Paese.
L’obbiettivo è principalmente di sostenibilità sociale: senza acqua non cresce il nostro cibo, non possiamo bere, cucinare, lavare e igienizzare la nostra casa. E il risparmio idrico deve essere ottenuto al minor costo sociale, ovvero distribuendo il peso dell’intervento sugli operatori in modo proporzionale al loro contributo al depauperamento della risorsa e all’inquinamento.
Il meccanismo dei permessi negoziabili ha un regolatore che definisce l’obiettivo a livello sistemico e i soggetti obbligati sono chiamati a scambiare titoli di risparmio idrico in un mercato organizzato. Nella proposta di legge presentata, all’articolo 2 si propone la creazione di un mercato specifico per il risparmio idrico, con i Certificati blu. Da mesi si discute di questo sistema: si tratta di certificati simili a quelli già in uso per il contenimento delle emissioni inquinanti (Emission trading system - Ets) o per l’efficientamento energetico (Certificati bianchi). Un meccanismo di incentivi per sostenere la riduzione dei consumi di acqua, negli usi produttivi e agricoli.
Il primo passo è quello di individuare degli obiettivi vincolanti di riduzione del consumo idrico e i soggetti, ovvero il perimetro delle imprese tenute a realizzare l’efficientamento richiesto; sicuramente una grandezza da misurare è l’intensità idrica di settore, o ancora il calcolo dell’indicatore water footprint, (impronta idrica) in grado di misurare l’acqua utilizzata nell’intero ciclo di vita di un prodotto – questo è stato introdotto nell’articolo 4 della proposta di legge.
Un Certificato blu andrebbe a riconoscere il risparmio nell’uso finale di acqua, premiando le imprese con un certificato per ogni litro di acqua risparmiata. Questo risparmio potrà essere correlato ad interventi quali eco-innovazioni di prodotto o di processo, ecodesign sistemico, che permettano di ridurre il consumo di acqua come input produttivo.
Con i fondi del Pnrr si prevedono già interventi per eliminare le perdite dal sistema di condotte: nell’ultima relazione annuale nel 2023 di Arera il valore delle perdite idriche di rete si attesta in media a 17,9 m³/km al giorno, con valori più contenuti al Nord e valori più elevati al Centro, nel Sud e nelle Isole. Nel recente Pniissi, il “Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza nel settore idrico” messo a punto dal Governo, vi è una pianificazione di azioni spalmata su dodici anni, ma c’è un piccolo particolare: mancano i fondi per realizzare tutte le opere necessarie.
Nella proposta di legge introduciamo un fondo, il Blue deal italiano, per il monitoraggio delle infrastrutture idriche, per la ricerca applicata, con interventi di raccolta delle acque piovane per l’ammodernamento della rete di drenaggio urbano per migliorare il deflusso dell’acqua per allagamenti, per migliore la gestione delle acque reflue e appunto sostenere il sistema id certificati blu. È necessaria una chiarezza di regole, redigere bilanci idrici reali, per evitare la tendenza degli utilizzatori "idrovori" a richiedere maggiori quantità rispetto al dovuto. Una più accurata pianificazione territoriale degli usi, che possiamo dire non è stata finora effettuata, forse per la frammentazione della governance dell’acqua che ha comportato una scarsa o assente manutenzione delle opere esistenti.
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