Acque reflue e meteoriche, l’Italia al lavoro verso Piani di gestione integrata
Se le società del passato hanno guardato alle acque piovane soprattutto come una risorsa preziosa da conservare, oggi la situazione è decisamente mutata. Le conseguenze dei cambiamenti climatici – come precipitazioni concentrate in eventi brevi ed estremamente intensi – e la crescente impermeabilizzazione del suolo hanno trasformato le cosiddette acque di dilavamento in un elemento di forte rischio. E non solo, visto che a inondazioni e alluvioni si deve aggiungere anche il pericolo di possibili contaminazioni per i corpi idrici recettori. Un problema serio che va affrontato non solo in termini di quantità, ma anche di qualità.
Specialmente in un territorio come quello italiano, molto urbanizzato, la corretta gestione delle acque meteoriche diventa strategica. Le soluzioni devono essere pensate in funzione delle caratteristiche climatiche e idrologiche dei singoli territori. Nel nostro Paese, negli ultimi decenni, vi è stato un aumento del consumo di suolo apparentemente inarrestabile: nel solo 2022 sono andati persi 77 kmq di suolo agricolo o naturale, corrispondenti a circa 2,4 mq al secondo, in aumento del 10% rispetto al 2021. E il crescente uso del suolo con l’incremento delle superfici impermeabilizzate a scapito di quelle naturali amplifica gli effetti degli ormai frequenti fenomeni di precipitazioni estreme. Si calcola che in condizioni normali, in presenza di superfici con copertura vegetale, il deflusso superficiale arrivi al 20% del volume delle precipitazioni. Al contrario, nel caso di superfici impermeabilizzate, defluisce superficialmente oltre il 90% dell’acqua piovana.
Ma non solo. Come si ricordava poc’anzi, le acque meteoriche che dilavano le superfici urbane portano con sé contaminanti di vario tipo, primi tra tutti quelli derivanti dal traffico (da gas di scarico, perdite di olio, usura di pneumatici e asfalto), dal deposito atmosferico (combustione di carburanti fossili, emissioni industriali), da attività ed eventi di vario tipo (es. rifiuti abbandonati, pesticidi). Tali contaminanti sono in crescita e generalmente associati al particolato solido ma si possono trovare anche in forma disciolta, quindi difficile da rimuovere mediante i sistemi di trattamento più comunemente usati per le acque di dilavamento stradali. A questo si devono aggiungere i rischi per la qualità delle acque legati agli inquinanti emergenti, quali le microplastiche.
Ma è sempre così? Bisogna fare un distinguo. Se in alcuni casi le acque di dilavamento possono portare con sé contaminazioni anche rilevanti, va anche detto che in altri le acque meteoriche, dilavando superfici sostanzialmente pulite, restano acque che necessitano di trattamenti limitati o nulli, pertanto, in situazioni di scarsità idrica, potrebbero essere sfruttate come risorsa idrica alternativa. Allo stesso tempo non bisogna dimenticare che la gestione delle acque meteoriche tramite la raccolta in un sistema fognario, che sia misto o dedicato, è un sistema che priva di una parte di risorsa il naturale ciclo dell’acqua: meno acque che si infiltrano nel terreno significano anche meno acque che ricaricano le falde e che evaporano, con conseguente riduzione dell’umidità dell’aria e dunque temperature più elevate.
Sarebbe quindi importante adottare soluzioni che consentano un giusto equilibrio tra le necessità di assecondare i naturali processi di infiltrazione e l’esigenza di accumulare e riutilizzare queste acque per ridurre l’uso di acqua potabile.
Acque meteoriche: in attesa di una disciplina di settore
La Direttiva europea sulle acque reflue oggi in vigore (Urban Wastewater Treatment Directive – UWWTD – 91/271/EEC) dedica scarsa considerazione alle acque meteoriche e alla possibilità di contaminazioni da esse derivanti.
Pur tuttavia, con la WFD è stato introdotto l’obbligo di redigere i Piani di Gestione dei Bacini idrografici, che programmano la gestione delle acque a scala di bacino idrografico. Tra i requisiti fondamentali di questi piani vi sono l’analisi e la gestione delle pressioni e degli impatti delle attività umane sui corsi d’acqua e sulle acque sotterranee. In questo contesto, emerge che le acque meteoriche di dilavamento potenzialmente contaminate, così come quelle provenienti dagli sfioratori di piena, sono fonti di pressione che possono influenzare in modo diretto la qualità dei corsi d’acqua.
Un’analisi recente a livello europeo sul carico inquinante rilasciato nell’ambiente dalle varie fonti di contaminazione delle acque, rivela che gli sfioratori di piena e le acque di dilavamento sono tra le maggiori fonti puntuali di contaminazione, ciascuno per circa il 3% dei fiumi europei e contribuiscono per circa il 19% del BOD, il 7,2% dell’azoto, il 9,5% del fosforo, quasi il 30% degli Escherichia coli e il 25% dei microinquinanti.
In Italia l’incidenza delle fonti di pressione legate alle acque meteoriche sui corsi d’acqua cresce fino al 13% se si considerano solo le acque di dilavamento urbano. Il nostro Paese, inoltre, registra i maggiori volumi di acque derivanti dagli sfioratori di piena riversati nei corpi idrici superficiali, seguito da Francia e Germania.
Dall’esame degli aggiornamenti 2021-2027 dei Piani di Gestione di alcuni distretti idrografici italiani, il dilavamento urbano viene confermato tra le principali fonti di pressione per i corpi idrici superficiali, in alcuni casi anche per quelli sotterranei. Gli sfioratori di piena, invece, sono costantemente annoverati tra le principali fonti di pressione puntuali.
Pur tuttavia, solo alcuni piani di distretto introducono misure specifiche per le acque meteoriche, concentrandosi solitamente solo sulle acque potenzialmente contaminate. In pochi casi vengono previste specifiche misure finalizzate a incrementare la ritenzione naturale delle acque, a migliorare la capacità di infiltrazione e di drenaggio per ridurre le inondazioni e a tutelare la qualità delle acque superficiali. Gli interventi si concentrano quindi tendenzialmente sulla gestione della qualità delle acque, trascurando in parte la gestione della quantità e soprattutto le opportunità di riutilizzo.
In Italia, il testo unico ambientale D.Lgs. 152/06 non riserva una specifica classificazione alle acque meteoriche, che rimangono disciplinate insieme a quelle superficiali e sotterranee nella generica definizione di “acque”. La normativa assegna alle Regioni il compito di disciplinare le acque meteoriche attraverso i Piani di tutela delle acque, basandosi sul principio che non siano necessari vincoli o prescrizioni, salvo casi specifici identificati a livello locale.
Tale scelta appare comprensibile, considerando che il territorio italiano presenta una notevole eterogeneità dal punto di vista idrologico, orografico e climatico. D’altro canto, però, ciò comporta un approccio disomogeneo nella gestione delle acque meteoriche, non sempre giustificato dalle diversità del territorio, ma anche influenzato da diverse scelte e politiche amministrative.
Tuttavia, nonostante l’importanza del riutilizzo delle acque nelle aree soggette a scarsità idrica, né il Regolamento (UE) 2020/741 sul riutilizzo delle acque né il DM 185/2003, che in Italia già disciplina tale pratica, includono le acque meteoriche. Di conseguenza, queste ultime restano in un’area grigia, senza una chiara regolamentazione o un percorso normativo ben definito.
In sintesi, finora nel nostro Paese le acque meteoriche non sono state considerate né un problema né una risorsa strategica.
Acque reflue e meteoriche: verso Piani di gestione integrata
Se in passato la Direttiva 91/271/ECC non ha considerato adeguatamente il potenziale inquinamento da acque meteoriche, oggi, mentre sono in corso i lavori di valutazione e revisione, la gestione delle acque meteoriche è tornata una questione centrale.
La revisione della direttiva richiede agli Stati membri di predisporre Piani di gestione integrati delle acque reflue urbane, investendo sia sulle infrastrutture verdi sia sull’ottimizzazione e la digitalizzazione dei sistemi di collettamento, accumulo e trattamento esistenti. I Piani hanno lo scopo di regolare la gestione delle acque meteoriche individuate come fonte di inquinamento, sia a causa del dilavamento nelle aree urbane sia degli scolmatori di piena della fognatura.
Si dovranno definire obiettivi di riduzione degli impatti negativi degli scolmatori di piena e delle acque di dilavamento urbano, tra cui l’obiettivo non vincolante che le acque riversate dagli scolmatori di piena rappresentino una percentuale non superiore al 2% del totale delle acque reflue urbane raccolte (calcolata in condizioni di secco): l’obiettivo dovrà essere raggiunto entro il 2039 per agglomerati sopra i 100.000 abitanti equivalenti, ovvero entro il 2045 negli agglomerati superiori ai 10.000 a.e. esposti a rischio per l’ambiente o per la salute.
Sono tre le direttrici secondo le quali devono muoversi questi Piani:
- evitare che acque di pioggia non contaminate siano raccolte nella rete fognaria, favorendone la dispersione con sistemi di ritenzione naturale, aumento degli spazi verdi e riducendo le superfici impermeabilizzate;
- predisporre misure per il miglioramento dei sistemi di intercettazione, stoccaggio e trattamento delle acque potenzialmente contaminate per evitare che siano scaricate senza essere trattate;
- infine, quando le infrastrutture esistenti non sono sufficienti sarà necessario prevederne di nuove, dando priorità alle infrastrutture verdi e laddove possibile al riuso delle acque
Tuttavia, il testo della nuova direttiva si limita a individuare alcune best practice di riferimento, lasciando alle autorità locali la possibilità di adeguarle agli specifici territori, dal momento che la gestione delle acque meteoriche va valutata in relazione alle caratteristiche del territorio. Vengono in particolare definiti dei contenuti minimi, quali una iniziale analisi dello stato di fatto dei sistemi di raccolta e collettamento e degli impianti di depurazione per ciascun agglomerato, valutando le capacità di stoccaggio delle acque di pioggia delle reti e degli impianti.
Gestione delle acque meteoriche e soluzioni basate sulla natura
L’assenza di disposizioni specifiche ha reso le modalità di gestione delle acque meteoriche in Europa uno degli aspetti più incerti da valutare, a causa della presenza di approcci eterogenei e della mancanza di informazioni. Tra i pochi dati a disposizione vi sono quelli riguardanti la presenza di fognature miste o separate, da cui emerge che solo metà degli Stati membri vede un ruolo prevalente delle reti fognarie separate rispetto a quelle miste. In Italia, il 71% del totale delle reti è di tipo misto (si veda anche il Position Paper n. 202). L’obiettivo di incrementare i chilometri di rete di tipo separato è particolarmente sfidante per la complessità del territorio, l’estensione del sistema di reti idriche e per le difficoltà operative di un Paese con una rilevante incidenza di centri abitati storici (con le conseguenti difficoltà di scavo).
Tuttavia, la separazione delle reti è solo una delle soluzioni che possono essere adottate per gestire le acque meteoriche e non necessariamente la più appropriata da perseguire, anche a fronte dei cambiamenti climatici in corso.
Maggiore attenzione dovrebbe essere data alle soluzioni che permettono, in base alla qualità delle acque raccolte, la loro decontaminazione e ritenzione e infiltrazione nel suolo. Soluzioni utili sia per ridurre l’eccesso di acqua meteorica sia per limitare le conseguenze della siccità, quali l’inaridimento del suolo e l’impoverimento delle falde, grazie all’effetto spugna che generano, trattenendo l’acqua per metterla a disposizione quando ve ne è più bisogno. La stessa revisione della direttiva sulle acque reflue urbane e la Tassonomia europea delle attività ecosostenibili incoraggiano, per le acque meteoriche, l’adozione di soluzioni basate sulla natura (Nature Based Solution, NBS), con priorità rispetto alle più classiche infrastrutture grigie (per un approfondimento si rimanda al Position Paper n. 228).
Le infrastrutture “verdi” costituiscono una scelta spesso ottimale per affrontare problemi legati ai cambiamenti climatici come le inondazioni o le alte temperature, con il vantaggio di fornire contemporaneamente la risposta a differenti tipi di rischio. Le esperienze in corso dimostrano che nel caso delle aree a rischio di inondazioni le infrastrutture verdi sono particolarmente efficaci nell’intercettare le acque meteoriche e ridurne il dilavamento, proprio perché consentono di avvicinare il più possibile il ciclo delle acque al suo stato di equilibrio.
Solo luci o anche qualche ombra? Un aspetto critico pare riguardare le tempistiche legate agli effetti delle NBS rispetto alle infrastrutture grigie. Tali soluzioni richiedono infatti una programmazione di lungo termine, con tempi di realizzazione e di restituzione dei benefici attesi più lunghi, che potrebbero non essere compatibili con gli obiettivi indicati dalla UE. Per le infrastrutture grigie, adottate in prevalenza fino ad oggi, la realizzazione e gli effetti hanno ricadute più immediate con costi apparentemente più ridotti.
Tuttavia, diverse valutazioni dimostrano che nel medio-lungo termine queste ultime non sono la soluzione più economica e soprattutto non costituiscono misure sufficienti per risolvere i problemi legati ai rischi climatici. In questo senso laddove vi fosse un bisogno di intervento immediato ma duraturo, sono da preferire combinazioni di ambedue le soluzioni. Il ricorso a NBS è presente in diverse strategie adottate in sede europea, sia ai fini della tutela della biodiversità che per l’adattamento ai cambiamenti climatici. Anche nel nostro Paese, le soluzioni basate sulla natura trovano spazio nei più recenti Piani di bacino idrografico, nonché nel Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) approvato a dicembre 2023.
Verso un cambio di approccio e una pianificazione e gestione integrata
Uno dei tasselli imprescindibili, mancato finora, poggia su un lavoro di pianificazione congiunta e coordinata tra i diversi livelli di governance fatto di obiettivi comuni da calare sul territorio: dai Piani di gestione dei bacini idrografici ai Piani di tutela delle acque regionali, dai Piani di gestione integrati delle acque ai Piani di gestione dei rischi per il riutilizzo delle acque reflue depurate.
Perché il sistema funzioni diventa pertanto indispensabile ridurre la frammentazione dei processi in capo ad enti di gestione diversi, ognuno operante in modo autonomo, per traguardare un lavoro corale e coordinato da tutti i soggetti coinvolti, in funzione del ruolo specifico ma senza perdere mai di vista il percorso comune.
Anche la prospettiva temporale degli interventi da programmare e realizzare va cambiata: se da un lato, infatti, vi è l’urgente bisogno di intervenire, dall’altro va superato l’approccio emergenziale e sostituito da una programmazione di ampio respiro.
In questo senso, la Cabina di regia sulla crisi idrica potrebbe assumere il ruolo di centro di analisi e indirizzo per una rinnovata gestione delle acque meteoriche, affiancando in ottica integrata e sinergica le competenze di cui già è depositaria in materia di sicurezza degli approvvigionamenti. Occorrerebbe in tal senso anche un piano nazionale di interventi prioritari per la gestione delle acque meteoriche nelle aree del Paese più esposte ai rischi ad esse connessi e che maggiormente beneficerebbero di una strategia in materia.
Quali soggetti attuatori? I gestori del servizio idrico, non abbiamo alternative
Non da ultimo servono soggetti in grado di realizzare gli interventi progettati e gestire le infrastrutture di drenaggio urbano. I naturali candidati a questo ruolo, grazie agli assetti industriali e alle competenze maturate in termini di programmazione e realizzazione degli interventi, sono i gestori del servizio idrico integrato. Diviene tuttavia fondamentale chiarire il perimetro della responsabilità gestionale e definire adeguati meccanismi abilitanti.
Già oggi, infatti, una parte delle acque meteoriche è gestita, una volta convogliata nelle reti fognarie miste, dagli operatori del servizio idrico integrato (come illustrato nel Position Paper n. 202). In tali casi, tuttavia, i gestori sono chiamati a farsi carico della raccolta e del trattamento delle acque meteoriche sostenendo uno sforzo tecnico, economico e organizzativo.
Laddove esistono reti di tipo separato, la porzione pluviale è generalmente affidata alla gestione comunale, con oneri a carico della fiscalità locale: una gestione approssimativa a causa della mancanza di risorse e competenze tecniche. Solo in casi circoscritti anche le reti bianche e i sistemi di drenaggio urbano sono gestiti dagli operatori del servizio idrico integrato, non senza problematiche connesse alla mappatura territoriale e alla conoscenza dello stato funzionale delle infrastrutture. Alcuni gestori idrici hanno, infatti, già effettuato un ampliamento di perimetro inserendo all’interno del le attività del Servizio Idrico Integrato il drenaggio e lo smaltimento delle acque meteoriche, i cui costi sono coperti da tariffa. Il tutto approvato dall’Autorità d’ambito e da ARERA. E di recente, sempre ARERA con l’arrivo del quarto periodo regolatorio MTI4 ha esteso il perimetro del servizio idrico integrato, permettendo di includervi anche la gestione del drenaggio urbano, dunque il riconoscimento dei relativi costi operativi e di capitale nella tariffa del Sistema Idrico Integrato.
Si tratta di una misura che, da sola, potrebbe non essere sufficiente, considerando che in alcune città europee la gestione delle acque meteoriche incide fino a un terzo della tariffa, con il rischio che il volume degli sforzi di investimento necessari sia tale da spiazzare altri ambiti di intervento in presenza di un limite alla crescita annuale della tariffa.
È chiaro che l’allargamento del perimetro del servizio idrico può tradursi in un conflitto tra obiettivi a parità di risorse, oltre a richiedere una ulteriore evoluzione in termini di capacità finanziaria e organizzativa da parte dei gestori industriali. Per questo motivo potrebbe essere auspicabile una componente tariffaria dedicata, al di fuori del limite di crescita annuale della tariffa per il servizio idrico “ordinario”, finalizzata agli interventi in ambito di drenaggio urbano e acque meteoriche, affiancata e sostenuta da programmi statali o regionali dedicati al fine di garantirne la sostenibilità economico-sociale delle fasce più deboli della popolazione.
Non possiamo permetterci di sprecare l’opportunità dei Piani di gestione integrata delle acque reflue: serve dunque una governance coordinata e solida che guardi alla gestione della risorsa idrica in senso ampio e con logiche di area vasta. La proposta è allora quella di estendere le competenze della cabina di regia che si occupa di siccità: perché abbondanza e scarsità sono due facce della stessa medaglia.
a cura di Donato Berardi, Francesca Casarico, Samir Traini, Barbara Zecchin